Non dimenticare la propria storia

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Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica. (Fonte immagine.)

La conferma che A.M. Homes sia una delle più grandi scrittrici americane viventi arriva puntuale insieme a ogni suo romanzo. Che Dio ci perdoni (Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini, 19 euro, pagine 464) è l’ultimo della sua opera. Uscito lo scorso anno negli Stati Uniti, amato e celebrato dai colleghi scrittori Jay McInerney, Salman Rushdie, Gary Shteyngart e Jeanette Winterson, il romanzo è ambientato in questo ventunesimo secolo e in una cittadina non lontana da New York, nei 365 giorni che vanno da un giorno del Ringraziamento all’altro.

Protagonisti un professore di storia innamorato di Richard Nixon, Harold Silver, e suo fratello George, che nelle primissime pagine del libro scopre la moglie a letto con Harold e la uccide fracassandole una lampada in testa. George viene arrestato e Harold si trasferisce a casa sua prendendosi cura dei due nipoti, del cane e del gatto. Di lì in avanti, malgrado Harold abbia già superato la mezza età, il libro procede come un romanzo di formazione che di quest’uomo segue la vita quotidiana alla ricerca di un punto fermo da cui ricominciare.

“Non voglio scrivere storie che si limitino a documentare la vita quotidiana”, mi dice Homes in una sala da tè di New York a pochi passi da Washington Square. “Per me scrivere è andare oltre”, dice. “Scrivendo cerco di portare all’estremo il confine di ciò che è reale e possibile. Quello che cerco di fare è dare una lettura culturale e sociale del dove stiamo andando. E spesso le storie che racconto finiscono per diventare realtà”.

Perché fare innamorare il suo protagonista proprio di Nixon?

Ottima domanda. Innanzitutto perché sono cresciuta a Washington D.C. e Nixon è stato presidente per gran parte della mia infanzia, per cui sono abbastanza informata sull’argomento. Poi trovo sia un personaggio affascinante. E tenebroso, complicato, irrisolto. Si possono condividere o meno le sue scelte, ma la sua psicologia resta comunque molto interessante. E in ultimo non andrebbe dimenticato che è lui ad avere aperto l’America alla Cina.

La memoria storica è anche uno dei temi dominanti del libro.

Sì, mi sta a cuore l’idea che la gente non debba dimenticare la propria storia. Ma l’America non sembra così interessata alla memoria.

Dov’è esattamente la casa di questo suo romanzo?

Nel Westchester County, a sudest di New York. La cittadina è inventata ma è un mix di due città: Bronxville e Larchmont. Non sono nemmeno lontane tra loro. E distano mezz’ora da qui.

Come in Musica per un incendio, la casa a un certo punto sembra diventare la vera protagonista della storia.

Sì, e nella mia mente è anche la stessa casa di Musica per un incendio. La gente che ci abita è diversa, ma la casa me la immagino uguale. Ed è una casa che esiste veramente. Conoscevo una famiglia che a un certo punto era andata a vivere fuori New York, e andavo spesso a trovarli, in una casa come questa. È interessante come le cose stagnino nella mente e poi vengano a galla quando scrivi. Per cui le cose che inventi finiscono per diventare reali, o quantomeno non poi così distanti dalla realtà.

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