Intervista a Giorgio Montefoschi

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Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica.

Da oltre quarant’anni, Giorgio Montefoschi organizza le sue giornate con disciplina ferrea, “impiegatizia” dice lui. Si alza prestissimo, legge i giornali, si siede al tavolo di una grande stanza, spalle a una montagna di classici di letteratura greca e latina, impugna la stilografica e soffre di fronte alla pagina bianca. Dopo tre ore, se ha riempito quindici o sedici righe, ossia mezza cartella dattiloscritta, è felice. La felicità e la soddisfazione in un lavoro del genere sono necessariamente brevi. Il pomeriggio, Montefoschi torna nella stanza e legge, lavora ai libri che recensisce e accende il computer che i quotidiani gli hanno imposto di usare. In questa maniera, oltre a innumerevoli articoli, contributi critici e reportage, Montefoschi ha scritto sedici romanzi, uno dei quali – La casa del padre – esattamente vent’anni fa vinse il Premio Strega. L’ultimo esce oggi, s’intitola La fragile bellezza del giorno (Bompiani, pp. 223, euro 17) e per lui conta forse più di tutti i quindici precedenti.

Dice che è il suo libro più autobiografico e che gli è costato troppo e ora la mattina non può rimettersi a scrivere e soffre il vuoto e la vita monacale a cui si è costretto senza sceglierla. Forse allora partirà. Forse per l’India, il paese che ama di più. O dovunque possa trovare un po’ di pace. Perché lui non ne ha affatto. Del resto non è come lo descrivono – ripete – solo perché legge ogni giorno la Bibbia e s’interroga costantemente sulla fede che non riesce a trovare. È inquieto, aspetta il giudizio dei lettori con l’ansia con cui vive il tempo, la stessa ansia dei suoi personaggi e in particolare di Ernesto Chiarini, protagonista di questo libro “trasgressivo, perché oggi una storia di amore lunga una vita intera è una storia trasgressiva”. Ma l’amore che Ernesto ha conosciuto, rincorso e custodito con gelosia, in realtà è eterno, dura più della vita stessa, era iniziato prima e continuerà dopo, è l’amore più grande che si possa immaginare, e apre le porte al mistero con cui Montefoschi tenta di fare i conti da sempre, sempre fallendo – dice lui – “perché il mistero è destinato a rimanere tale”.

È per questo che i suoi personaggi sembrano sempre sporgersi su qualcosa che non possono afferrare?

Proprio così. Si sporgono. Io metto uomini apparentemente irrilevanti di fronte al mistero e cerco ogni volta di accompagnarli ma poi c’è solo il vuoto. Io, del resto, quando scrivo, se posso non dico. In questo libro il momento più importante arriva con una carezza che il protagonista dà a suo nipote. In quella carezza sta il mio modo di intendere la letteratura.

Si tratta di un libro esplicitamente pieno di letteratura. Ernesto è uno scrittore e scopriamo che i libri che ha scritto sono gli stessi di Montefoschi. Nella lotta contro il suo dolore inizia a scrivere un romanzo che costituisce un libro dentro il libro. Eppoi sono costantemente citate opere di grandi scrittori. Innanzitutto Gita al faro.

Un romanzo sublime. La fragile bellezza del giorno comincia da lì, dal secondo capitolo di Gita al faro, quando la Signora Ramsey che è Tutto con la T maiuscola non c’è più. Cosa succede quando Tutto è assente?

Risponde un altro libro: L’airone di Bassani.

Bassani è un gigante della nostra letteratura. Nell’Airone c’è l’uomo disperato, senza dio, che avanza nel buio. Come il mio protagonista.

Ma Ernesto non perde completamente la speranza. E lì appare Cime tempestose.

Emily Brontë ha scritto il romanzo perfetto sull’amore assoluto. Quando Heathcliff si getta sulla tomba di Catherine e cerca di scavare e di raggiungere l’amata. Ha presente di cosa parlo? Mai io ho letto un romanzo capace di raccontare un amore così travolgente.

Come sempre, tutto accade a Roma. Ma questa città che lei descrive minuziosamente sembra diventato un non-luogo.

Quando mi domandano “ancora Roma?” divento pazzo. Queste strade, sempre le stesse, i palazzi della Roma borghese, io li uso per mostrare altro, ossia il contrasto fra l’ambiente chiuso e ciò che l’ambiente non può contenere.

Lo scorrere del tempo, innanzitutto?

Il tempo è il protagonista assoluto della letteratura. Domina sulla nostra quotidianità e non possiamo e non vogliamo sottrarci. Io vivo il tempo in maniera ossessiva e non pacificata. Leggevo Schopenhauer, aspettandola, eccolo qui, dice di liberarsi dell’apparenza e del tempo. Ma come? Noi amiamo il tempo. Sappiamo che finisce eppure non possiamo immaginare nessun dopo se non attraverso i parametri del tempo.

È per questo che ciò che scrive sembra dominato dall’idea del ritorno?

Se andrò in India, ora, andrò per tornare. Rivedere posti che conosco e amo mi dà una rassicurazione che sfiora l’immortalità.

Lei è cresciuto tra i grandi scrittori del Novecento italiano. Su tutti Elsa Morante.

Una scrittrice eccezionale. Pessimo carattere: perfida, bizzosa, intransigente e violenta. Chiusa su se stessa. In anni e anni non mi ha mai fatto una domanda sulla mia vita, mia moglie, i miei figli, nulla. La migliore scrittrice del Novecento.

E Moravia?

Intelligentissimo. Però i suoi libri mi piacciono fino alla Noia esclusa. Lui, diversamente dalla Morante, era di una curiosità infinita. La prima volta che c’incontrammo mi fece un’interrogatorio che sembrava di essere in questura.

Accanto alla Morante allora chi mette?

Gadda e Bassani. Poi vengono Cassola, Parise e Volponi.

Bassani e Cassola. Come ha vissuto le celebrazioni del cinquantennale del Gruppo 63?

Parliamo dell’entità culturale che si è più autocelebrata nella storia della letteratura, eppure non ha lasciato un’opera da ricordare. Svillaneggiavano Bassani e Cassola cui non erano neppure degni di allacciare le scarpe.

E degli scrittori di oggi che pensa?

Domina le classifiche ciò che non è letteratura, come Volo e Mazzantini, ma almeno il primo non pretende di essere riconosciuto in quanto scrittore. Una volta c’era la protezione del PCI, oggi c’è solo la tv. L’egemonia statunitense potrebbe dare buoni frutti. Io però ammiro scrittori come Bellow, Malamud, Updike. Non mi si dica che Franzen può essere messo sul loro stesso piano.

Lei non è stato protetto dal PCI ma fu socialista.

Io sono sempre stato un antifascista non comunista, liberale, cristiano ma non cattolico. Mi hanno messo il marchio di socialista perché facevo Mixer, una trasmissione con cui abbiamo prodotto cose di grande pregio. Poi, certo, andavo a cena con Martelli, ossia il miglior ministro di Giustizia che abbia avuto il nostro Paese. Mi divertivo anche, ma verso l’una i politici andavano al sodo e cominciavano a parlare di potere, allora mi alzavo e salutavo.

Cristiano ma non cattolico. Mi dica di più.

Che vuole che le dica. Io non sono credente, però non posso accettare che tutto finisca qui. Cerco disperatamente un senso. Voglio ritrovare tutti i miei cari, quando sarà finita. Ma voglio ritrovare loro. Non tre miliardi di cinesi.

Commenti
6 Commenti a “Intervista a Giorgio Montefoschi”
  1. Mariateresa ha detto:

    Ho letto solo “La casa del padre”, l’ho trovato un romanzo immenso…vedrò di leggere tutto il resto, Giorgio Montefoschi è un prezioso patrimonio italiano, peccato che la Rai, archiviata Mixer, lo abbia dimenticato…del resto ormai contano solo cuochi e calciatori in tv!

  2. Fernando Villanelli ha detto:

    Giorgio Montefoschi riesce sempre a farmi provare una malinconica gioia per la vita, se così si può dire. Il timore di perdere le persone care, non solo a causa della morte, è così forte nei suoi romanzi fino al punto da esorcizzarlo con la scrittura nella scrittura, con il “raddoppio” come lo definisce lo stesso autore. “La fragile bellezza del giorno” sembra quindi alludere alla fragilità della vita stessa, che diventa sospeso distacco negli attimi immediatamente precedenti alla scomparsa della persona amata: “Camminavo lentamente. Come sospinto. Come se ogni passo nella fragile bellezza del giorno mi distaccasse da me stesso”. E ancora, da ‘L’idea di perderti’: “Passarono dieci minuti; venti minuti; mezz’ora. Ogni minuto era un minuto, ogni secondo un secondo..”
    Dalle strade assolate di una Roma metafisica, dalla rovente e profumata campagna pontina, sale forte l’invito, il grido direi, di amare fino in fondo la persona della nostra vita. Il “solito” rapporto si rvela, se curato, un grande tesoro sempre nuovo. Non è mai troppo tardi per parlare, per dirsi le cose belle (e non), per una carezza.. “Poi mi sedetti sul letto e le cercai gli occhi. Stavolta non li distolse: come nel pomeriggio. Invece, con una tenerezza infinita, mi carezzò la guancia”.
    Grazie Giorgio.
    Fernando Villanelli

  3. Maria Peruzzini ha detto:

    Oggi ho ascoltato la bellissima intervista di Loredana Lupperini durante la trasmissione di Radio Tre,Fahrenheit,: che gioia ho provato quando ha criticato la messe di elogi per Umberto Eco. Ha detto. «Lo hanno celebrato come se fosse stato Manzoni.» e quanto mi è piaciuta l’espressione che ha usato: giocolieri della letteratura.
    Molto interessante e affascinante le sue riflessioni sull’India. Grazie!

  4. Cassandra ha detto:

    Non toccate i grandi “giocolieri” della conoscenza perché la vita è fatta anche di chi sa far dimenticare,anche se per pico, che siamo mortali.
    Grazie Professor Eco
    Cassandra

  5. Manardo ha detto:

    Pico non dimenticava nulla!

  6. mauro ha detto:

    Confesso la mia ignoranza e di Montefoschi ho provato a leggere solo qualche articolo sul Corriere, trovandoli normalmente insipidi, il che potrebbe anche non essere un cattivo segno per uno scrittore, diciamo così, ” vero”. Anche questa intervista mi pare infarcita di luoghi comuni, uno per tutti il ” cerco disperatamente un senso” finale, a parte i giudizi scontati e che non vogliono dire molto, Moravia “intelligentissimo” e la Morante “eccezionale” e Bassani un ” gigante”. Così a occhio parrebbe una trascrizione letteraria di quel “socialismo di Dio” che ha avuto in Sergio Zavoli il suo esponente più riuscito e popolare, e in Giovanni Minoli la sua versione giornalistica “da bere” aggiornata ai gusti della nuova borghesia non disposta a farsi sedurre dall’ adesione ai club aristocratici di massa della premiata ditta Scalfari- Eco- l’Espresso. Proverò un suo romanzo, anche se per gli occidentali che amano l’India e la prima cosa che ci descrivono di lei è l’odore non ho mai sentito un gran bisogno, e una grande simpatia.

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