Padri e figli secondo Ota Pavel

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Questo pezzo è uscito su la Repubblica. (Immagine: Fernand Léger)

In un suo frammento Franz Kafka immagina un padre che al cospetto dei figli cerca di tagliare con un coltello una forma di pane, solo che la lama non riesce neppure a scalfire la crosta; mentre l’uomo si ostina e i figli lo guardano sempre più imbarazzati, si impone una specie di disperazione tragicomica. Nella sua incapacità – nel fare dell’inadeguatezza a compiti ordinari una regola – il personaggio immaginato da Kafka risalta come l’emblema di che cosa può voler dire essere padre nella contemporaneità.

Un’incarnazione splendidamente commovente di questa paternità – maldestra, inadatta, magnifica – è raccontata in La morte dei caprioli belli (Keller editore, traduzione di Barbara Zane). L’autore, Ota Pavel, praghese come Kafka, nasce nel 1930 e muore nel 1973. I testi che compongono il libro – racconti che si connettono a formare un vero e proprio romanzo – sono descrizioni di un piccolo mondo accampato tra la città e la campagna e attraversato da figure dominate dalla medesima sostanza narrativa (stralunata e inventiva, argutamente ingenua) che sembra originare dal Buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hašek.

Questa complessione psicofisica da idiot savant è la gloria e la miseria di Leo, il padre del narratore. Ambizioso, sempre alle prese con nuovi progetti commerciali (sarà piazzista di frigoriferi e aspirapolvere per la svedese Electrolux, allevatore di carpe e di conigli, venditore di uno strabiliante acchiappamosche), Leo arranca nello spazio e nel tempo – tra i prodromi, la tragedia e poi la conclusione della seconda guerra mondiale – rivelandosi in tutta la sua vulnerabilità. Perché il nuovo mirabile acchiappamosche non funziona come dovrebbe, perché gli elettrodomestici sono indocili, i conigli sono belli e saggi ma non riescono a vincere premi e le carpe che dovrebbero popolare il laghetto generando il patrimonio familiare sono in realtà una sola carpa, buona per una cena e nulla più (ma ciò che conta – il vero bene, il patrimonio immateriale – è l’attesa ai bordi del laghetto mentre lo specchio d’acqua viene drenato, è il desiderio di vedere una moltitudine di pesci affiorare dal prosciugamento, è quell’illusione di una vita migliore che l’ostinazione del padre rende possibile).

La morte dei caprioli belli è un libro al netto di qualsiasi enfasi. C’è la guerra, c’è la persecuzione nazista, ci sono le deportazioni, ma Pavel usa la Storia come un fondale al contempo incombente e rarefatto: a imporsi sono le microvicende di un uomo normale al quale è toccato in sorte di essere padre. Al quale, ancora, è toccato il privilegio di venire osservato e raccontato da uno sguardo che scioglie le ragioni ancestrali del conflitto padre-figlio in comprensione e tenerezza. Che riconosce le inettitudini del padre, la sua vanità (bellissimo l’inverosimile corteggiamento di Irma, l’inarrivabile moglie del suo capo); un’inaffidabilità così tetragona da rendere la sfiducia nei suoi confronti – cauta, paziente, premurosa – una forma d’amore.

Commenti
Un commento a “Padri e figli secondo Ota Pavel”
  1. libreria palomar ha detto:

    Da quando l’abbiamo casualmente scoperto, nell’aprile 2013, è diventato un best seller nella nostra libreria: ne
    abbiamo vendute finora 200 copie. Anche i nostri clienti lettori se ne sono innamorati e a loro volta lo regalano

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