Per sempre giovani

Questa puntata di Italia, amore è uscita a gennaio su Rolling Stone.

di Marco Mancassola e Christian Raimo

Arrivai alla festa che era già iniziata da un po’, per cui la maggior parte della gente era sbronza. Sotto le luci fluide della sala, un dj metteva musica disco anni Settanta. Musica sensuale e sottilmente malinconica da un tempo che fu, da un’epoca che si era dissolta come uno sbuffo di fumo. Sapevo che l’amico che aveva organizzato la festa non poteva permettersi tutto questo. Ma aveva voluto farlo per impressionare qualcuno di molto giovane di cui era penosamente innamorato. Afferrai un bicchiere e avanzai, scambiando qualche saluto, tra la folla composta in maggior parte di single non più ragazzini, molti di loro a caccia di una scopata del giovedì sera. Era Londra, era il ventunesimo secolo, non certo un luogo né un tempo per i puri di cuore. Ma c’era qualcosa nelle luci di quella sala. O nelle facce appena arrossate dall’alcol, nella loro aria di colpo così vulnerabile. Mentre parlavo con un tizio che mi aveva attaccato bottone, potevo vedere in controluce il buco del piercing che un tempo gli aveva traforato il naso. E allora sotto la faccia del quasi quarantenne, sotto la linea del mento contornata da scaglie di barba grigia, si rivelò per un attimo il ragazzo. Quello che un tempo portava un piercing e prendeva ecstasy ai concerti dei Prodigy e oggi, come mi stava raccontando, pagava l’affitto di un appartamento che condivideva con altri due uomini single. Lavorava sodo ma era ancora in attesa di una promozione. Il completo di qualità media con cui era venuto dall’ufficio doveva essergli costato una bella fetta di stipendio e anche il taglio di capelli, non freschissimo ma ancora riconoscibile, non doveva essere stato gratis. La normalità costa un sacco di soldi, riflettei. Soprattutto quando non sei più un ragazzo. Ma quelle erano le regole obbligate del gioco. Continuai ad avere lo stesso tipo di pensieri mentre la serata avanzava, mentre chiacchieravo con una tizia che cercava goffamente di capire da che parte stavo, o mentre occhieggiavo la sfilata di facce che l’alcol rendeva sempre più nude. Mi resi conto di essere a un ballo proustiano, certo, dove i visi si aprivano per un attimo come un sipario, rivelando la gemma di una giovinezza che era stata, per poi richiudersi e nasconderla per sempre. E insieme era un festino feroce e contemporaneo sull’agonia della classe media. Quando vi è costato, pensavo, rendervi normali per questo tipo di vita, per questa serata in centro città? Quanto vi costa la biancheria di Calvin Klein che indossate nella speranza di finire a casa di qualcuno? Quanto vi costa la rata dello smart phone che avete il tic di estrarre e controllare ogni tanto, con la stessa ripetitività con cui vent’anni fa vi sareste accesi una sigaretta? Tutti continuarono a bere e ad aggirarsi intorno, la facce ormai un poco sfatte, fino a quando alcuni iniziarono ad accorgersi che si era fatto tardi per la metropolitana e fecero una smorfia, ora, pensando a quanto sarebbe costato il taxi per tornare ai sobborghi.

CR. Alle volte, quando sono a scuola, in una di quelle ore alla fine della giornata, verso maggio, quando mi sono arreso che spiegare i giudizi sintetici a priori di Kant è un’impresa fallimentare, dico ai ragazzi: “Va bene, poniamo una questione. Mettiamo che io abbia a disposizione una pillola per l’immortalità: voi la prendete e rimanete giovani per sempre. Chi di voi accetterebbe?”. Nella mia testa tutto questo ha anche una funzione didattica – introdurre alcune tematiche dell’esistenzialismo, riprendere un filo che faccio passare da Pascal a Kierkegaard a Heidegger -, ma quello che ottengo è sempre un dibattito che mi mette quasi a disagio. Le posizioni polari di ragazzi di diciott’anni mi inquietano: chi mi dice Prof, ma certo che me la prenderei!, chi è spaventato o inorridito dall’idea di rimanere per sempre con il corpo che si ritrova. L’inquietudine che ogni volta mi dimentico è quella di vedere due amicissimi o due fidanzati che scelgono le opzioni opposte. Lei è per l’immortalità, lui no: cosa vuol dire? che tipo di amore è il loro? che nostalgia avranno per questi anni in cui potevano baciarsi a ricreazione fino all’oblio assoluto?

Forse è sempre stato così quando si è giovani: il desiderio che si ha è quello di restare immortali. Diciottenni per sempre, o morti giovani, o giovanili, pure se condannati a un po’ di solitudine. Però è vero che mai come oggi non invecchiare è uno strano mito connesso non a un anelito a una vita eterna, ma al prolungamento infinito di questa; ed essere vecchi è un difetto senza nessun vantaggio, in definitiva una malattia. Tempo fa sfogliavo una rivista di quelle che escono il sabato con i giornali e contavo 54 pagine di pubblicità di creme anti-età, anti-invecchiamento, ringiovanenti, anti-aging. Viviamo già, di fatto, in una forma di cultura che non contempla l’invecchiamento se non come una disfunzione. In cui il passaggio dalla vita adulta alla morte spesso si vuole sempre più rapido, o nascosto. Amortalità è un neologismo ovviamente eufemistico coniato qualche anno fa da Catherine Mayer, che però ci mostra bene come sempre più persone oggi vivano come se l’età non contasse. E questo non rimodella completamente il concetto stesso di esistenza, di progetto, di futuro, di felicità?

La settimana scorsa mi è venuta in mente una cosa che facevano i miei genitori quando ero piccolo: mi portavano spesso al cimitero. C’erano tutte persone che non avevo conosciuto in vita, un nonno morto negli anni ’60, vecchi zii, parenti lontanissimi che avevano la stessa aura di personaggi leggendari per cui io provavo un affetto bizzarro, e una meravigliosa familiarità. Mi veniva da pensare che era una delle abitudini più belle che mi hanno insegnato; tra noi e quelli di là poi non c’è un abisso così grande, e invecchiare è solo un modo per sentirli più vicini.

 

 

 

Commenti
4 Commenti a “Per sempre giovani”
  1. Antonio Coda ha detto:

    Ma… Che strazio!

    Capisco che un qualcosa come “Italia, amore” che va a puntate ispiri pensieri foschi, ma siccome non se lo dà mai da solo, uno deve pure provarci a dare un limite al peggio o, se vuole toglierglielo, che lo faccia alla grande e non all’italiana e cioè alla meno peggio che è il modo peggiore per fare l’amore così come qualsiasi cosa.

    L’Italia,amore di Mancassola è a Londra: trova un salottino proustiano affollatissimo di giovanilisti sui quaranta anni middleclass: mica se lo chiede, l’io-narro, anche per un solo istante, perché ci abbiano invitato anche lui e proprio lì. Quel che ci voleva era una irruzione di gita liceale dall’Italia,amore di Raimo: ‘Pascal’, ‘Kierkegaard’ e ‘Heidegger’ sarebbero dei nomi esplosivi per dei cocktail esportati, e gli aneddoti da cimitero, che vanno fortissimo tra gli adolescenti in mood emo, avrebbero vivacizzato la serata: allora i giovani già preoccupati della loro gioventù che passa (ma uno è giovane fino a quando neppure lo sospetta, di essere giovane e di poterlo non essere più) e i giovanilisti, angosciati dalla loro gioventù trascorsa – e inventata non appena passata senza lasciare tracce vistose o facilmente individuabili – si sarebbero fatti un po’ schifo gli uni con gli altri e i giovani avrebbero fatto immediatamente di tutto per non diventare dei giovanilisti e i giovanilisti qualsiasi cosa pur non somigliare un minuto di più ai giovani: persino invecchiare, persino morire, pur di non essere come quegli ipocondriaci lì. Ah, che bel subbuglio ne sarebbe sortito, insolito, come l’amore, in Italia.

    Saluti!,
    Coda

  2. Caterina ha detto:

    Attenzione, siamo nel sadomaso spinto, qua… La pillola dell’immortalità. Più sado che maso, però però…

  3. pier ha detto:

    c’è un refuso nel titolo: manca una n in PER SEMPRE GIOVANNI

  4. Jacopo ha detto:

    Ce ne sarebbero di cose da dire, quindi mi limito ad una sola osservazione sul brano di Raimo: scrive che “non invecchiare è uno strano mito connesso non a un anelito a una vita eterna, ma al prolungamento infinito di questa”, come se fosse una caratteristica dei tempi attuali. Ma, per esempio, l’oltretomba degli antichi romani (cfr. Eneide, VI) o degli dèi nordici non era proprio un prolungamento infinito di quella che (i più privilegiati fra di loro) già vivevano?

Aggiungi un commento