Il battello di Melville e la scialuppa di Crane

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Questo pezzo è uscito su Europa. (Immagine: Alfred Thompson Bricher)

Scampati a un naufragio, un gruppo di uomini sono a bordo di una scialuppa in mezzo al mare che ringhia: «È in una scialuppa lunga dieci piedi che ci si può davvero rendere conto della grandiosità del mare».

Scorgono all’orizzonte una linea di terra, ma è così lontana che forse sarà irraggiungibile: «Pensa che ce la faremo, capitano?». Altri uomini, stavolta a bordo di un battello, navigano il fiume Mississippi: «L’impetuoso Mississippi s’allarga, scorre scintillando e gorgogliando».

Come le città, anche la letteratura si sviluppa in presenza dell’acqua, che si tratti di oceani in tempesta o di dolci itinerari fluviali. I due gruppi sono protagonisti di due romanzi usciti ora in libreria, e che sono stati pubblicati a pochi decenni di distanza, nell’Ottocento. Il primo è il libro di Stephen Crane, La scialuppa. E altri racconti (Elliot, pp. 320, euro 18,50) nella versione del 1898; il secondo è quello che fu l’ultimo romanzo di Herman Melville, L’uomo di fiducia (edizioni e/o, pp. 352, euro 16), del 1857.

La letteratura di mare è un mondo compatto a cui si accede da ogni frase dei grandi romanzi che l’hanno costruito. Già l’incipit della Scialuppa di Crane è un possibile ingresso: «Nessuno era in grado di distinguere il colore del cielo». I capitani e i membri dell’equipaggio sono sempre esseri dall’animo profondo e dallo spirito selvaggio: «La mente di un capitano – scrive Crane – ha profonde radici nel suo scafo di legno, sia che comandi da un giorno solo o da dieci anni».

A bordo della scialuppa ci sono un capitano, un macchinista, un giornalista e un cuoco. Tra loro nasce un’amicizia speciale: «Sarebbe difficile descrivere il sottile legame che si era stabilito tra quegli uomini in mare». Le onde sono spaventose, in alto il sole si sposta nel cielo con indifferenza. Arrivano inevitabilmente dei gabbiani – uno dei quali «aveva assunto la forma di un tetro e raccapricciante presagio» – e poi si affaccia anche un albatros.

Perché i romanzi di mare sono la prova che la letteratura è un animale che si nutre di se stesso, e se uno scrittore, come Coleridge, alla fine del Settecento annota un albatros sul mare, l’albatros resterà impigliato in quell’universo e tutti gli altri scrittori che si metteranno in viaggio se lo troveranno appollaiato sugli alberi delle loro navi.

Gli uomini che invece sono a bordo della nave sul Mississippi, narrati da Melville, non sono occupati a salvarsi dalle onde. Parlano per tutto il viaggio. Filosofeggiano per centinaia di pagine. Ogni tanto qualche passeggero scende quando la nave approda, qualcun altro sale: «L’enorme battello, con un possente gorgoglio da tricheco, si staccò dalla riva riprendendo a navigare». I discorsi si intensificano. Prima la Carità, poi la sofferenza, poi i classici dell’antichità (Tacito, Orazio, Ovidio), poi la finanza, la malvagità della Natura e la filantropia, l’odio verso gli indiani e Shakespeare. E sempre, la fiducia, declinata in molte accezioni.

«Quando si è deboli, non è forse il momento di aver fiducia?». Tre capitoli sono dedicati alla letteratura. Si legge: «L’avversione dei lettori di un libro per i personaggi contraddittori non si può dire che derivi da una sensazione di irrealtà», e «se spetta alla ragione giudicare, nessuno scrittore ha prodotto personaggi incoerenti quanto la natura stessa».

Michele Mari definì L’uomo di fiducia uno “stranissimo romanzo” e notò come a sei anni da Moby Dick restasse l’ossessione del colore bianco. Di fatto, è cupo, e solo i fedeli lettori di Melville possono restare a bordo senza scendere al primo attracco. Moltissimi i richiami letterari (molto Milton e Shakespeare) e quelli biblici: «Quanto ai riferimenti biblici – scrive nella postfazione il traduttore Perosa –, essi percorrono il libro da cima a fondo, ne imbevono ogni vena».

Joseph Conrad lesse Crane («siete un completo impressionista», gli disse) e ne parlò anche nel suo libro Memorie. Tra il battello di Melville e la scialuppa in pericolo, nel 1884 Mark Twain fece navigare sul Mississippi il suo Huckleberry Finn. Sono infiniti i legami tra gli scrittori di mare. Vale la pena leggerli anche solo per certe parole come «sottocoperta» o in «cambusa». E per leggere singole frasi di un’unica grande epica delle acque. Come quelle che si leggono in Crane: «Gli occhi dell’uomo ai remi potevano cogliere solo gli alti cavalloni neri che avanzavano nel più sinistro dei silenzi, rotto di tanto in tanto solamente dal brontolio soffocato di una cresta».

Commenti
Un commento a “Il battello di Melville e la scialuppa di Crane”
  1. RobySan ha detto:

    Vale la pena leggerli anche solo per certe parole come «sottocoperta» o in «cambusa». E per leggere singole frasi di un’unica grande epica delle acque. Come quelle che si leggono in Crane: «Gli occhi dell’uomo ai remi potevano cogliere solo gli alti cavalloni neri che avanzavano nel più sinistro dei silenzi, rotto di tanto in tanto solamente dal brontolio soffocato di una cresta».

    Ma no, ma no. Bisogna leggere Piperno!

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