Tre poesie sui gatti
Uno dei redattori di minima&moralia risulta disperso in un oriente adriatico dove – sostiene –, superati i bastioni dei Mentecatti Organizzati Sud Europei, ci si ritrova già nell’elemento caro a Iosif Brodskij, e le cose (meravigliosamente) riappaiono per ciò che sono. La politica, ad esempio (le continue interviste a Matteo Renzi di questi giorni), e i suoi sottoprodotti isterici fondati sulle buone cause (l’affaire Spinelli, Tsipras, Sel) si traducono, al di là del danno personale che se ne riceve, in un brutto manipolo di avatar attraverso cui trascurare le nostre vite personali. Un po’ come affidare ai tristi personaggi di una soap (trasformandolo in materiale di risulta) ciò che in mano nostra sarebbe magari una magnifica avventura. “Tornare uomini in così poco tempo è dura”, abbiamo obiettato al disperso. Lui allora ha suggerito di cominciare con i gatti. Giacché è domenica, e il vento caldo accarezza campanili che non ci sono più, lo accontentiamo.
Ode al gatto, di Pablo Neruda
(nella traduzione di Roberto Paoli)
Gli animali furono
imperfetti, lunghi
di coda, plumbei
di testa.
Pian piano si misero
in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso:
nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.
L’uomo vuol essere pesce e uccello,
il serpente vorrebbe avere le ali,
il cane è un leone spaesato,
l’ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca d’imitare la mosca,
ma il gatto
vuole solo essere gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.
Non c’è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una cosa sola
come il sole o il topazio,
e l’elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola
fessura
per gettarvi le monete della notte.
Oh piccolo
imperatore sen’orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto, nuziale
sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell’amore
all’aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perchè tutto
è immondo
per l’immacolato piede del gatto.
Oh fiera indipendente
della casa, arrogante
vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un irreperibile velluto,
probabilmente non c’è
enigma
nel tuo contegno,
forse non sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all’abitante meno misterioso,
forse tutti si credono
padroni
proprietari, parenti
di gatti, compagni,
colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.
Io no.
Io non sono d’accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl’imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l’atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare un gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d’oro stanno nei suoi occhi.
A un gatto, di Jorge Luis Borges
(traduzione di J. Rodolfo Wilcock e Livio Bacchi Wilcock)
Non sono più silenziosi gli specchi
Né più furtiva è l’alba avventurosa;
Sotto la luna, sei quella pantera
Che ci è dato di scorgere da lontano.
Per forza indecifrabile di un decreto
Divino, ti cerchiamo vanamente;
Più remoto del Gange e del ponente,
Tua è la solitudine, tuo il segreto.
La tua schiena condiscende alla lenta
Carezza della mia mano: hai tollerato
Fin da un’eternità ch’è quasi l’oblio ormai
L’amore della mano diffidente.
In altro tempo sei. Sei il padrone
Di un ambito sbarrato come un sogno.
The cats will know, di Cesare Pavese
Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l’alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.
Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.
Farai gesti anche tu.
Risponderai parole –
viso di primavera,
farai gesti anche tu.
I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l’alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi più non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffriremo nell’alba,
viso di primavera.
Un richiamo che forse resterà inascoltato, ma non per questo meno potente. Ricominciamo dai gatti. Sono d’accordo.
Io l’adoro, mon petit chat che mi richiama con una voce sonora appena rimane, distratto, un po’ indietro!
Sono delle belle poesie. Se i gatti non le potrebbero leggere, ma noi gliele potremmo declamare, di sicuro gradirellero, socchiuderebbero gli occhi, segno di soddisfazione felina, un cenno di fusa, poi si acciambellerebbero fingendo di dormire, non amano fare vedere troppo i propri sentimenti, orgogliose creature.
I gatti non le possono leggere, ma….
Quante volte i gatti mi hanno aiutato a ricominciare…………
i gatti hanno bellezza di movimento e decisione impareggiabile
Non amo i gatti, ma l’astrazione del gatto. E il loro incedere ne è l’inizio.
Credo che i gatti siano le creature più perfette presenti sulla Terra .
E bastardi abbastanza da essere anche le creature più affascinanti.
Segnalo Szymborska.
Qui:
https://www.youtube.com/watch?v=cyEOGHSmocI
stupende.