Che fine ha fatto lo Ius soli?

recado de criança

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Ho letto con molta attenzione quanto scritto da Mario Valentini nella sua testimonianza qui pubblicata lo scorso 18 giugno. Mi sono immedesimato, oltre che emozionato, nello scoprire la sua vita da insegnante di ruolo e “precario” allo stesso tempo, costretto com’è a dividersi in più istituti nel corso della giornata. Ciò che più mi ha colpito è stata la lucida descrizione, corroborata da esempi concreti e decisamente esplicativi, della situazione che coinvolge un numero sempre maggiore di studenti frequentanti le nostre scuole pubbliche. Una questione delicata, che riguarda in particolare i minorenni di seconda generazione nati in Italia ma non ancora italiani, almeno secondo le nostre leggi.

Da tre anni sto portando avanti l’esperienza di responsabile della produzione di una radio-web che coinvolge circa duemila studenti, di cui quasi la metà d’origine straniera, attraverso la realizzazione in classe di trasmissioni radiofoniche che ruotano intorno ai temi della partecipazione e delle non discriminazioni, in osservanza degli articoli 2 e 12 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dall’Assemblea generale dell’Onu il 20 novembre del 1989, sottoscritta negli anni da tutti i Paesi del mondo, eccetto Stati Uniti e Somalia. Sono due articoli che si soffermano sul diritto degli adolescenti a informare ed essere informati, e sul loro desiderio di partecipare maggiormente delle scelte che cadono sulla loro testa, che li riguardano in prima persona, e che condizionano la loro esistenza quotidiana.

Nel corso di questi tre anni abbiamo inevitabilmente discusso e registrato numerosi incontri inerenti il diritto di cittadinanza, strettamente connesso alla proposta di legge sullo “Ius soli”. Una proposta di legge che magicamente appare e scompare dal dibattito pubblico italiano, trovando largo spazio nel corso delle settimane a ridosso di una tornata elettorale (amministrativa, politica o europea), salvo tornare nell’oblìo una volta stabilite percentuali e relativi scranni parlamentari. Recentemente ho avuto l’opportunità di parlarne con Vinicio Ongini, nelle stanze del Ministero dell’Istruzione riservate alla promozione e la cura dell’integrazione scolastica. Ongini lavora in questi uffici da un paio di decenni, e di situazioni da raccontare ne dispensa a bizzeffe, come conferma un suo bel libro pubblicato da Laterza nel 2011, dal titolo “Noi domani. Viaggio nella scuola interculturale”.

In questo testo, dalla Valle d’Aosta a Bagheria, Ongini attraversa l’intera Penisola certificando l’esistenza non di una ma di tante Italie, differenti non soltanto per composizione geografica e tradizioni culturali, ma anche per il diverso approcciarsi alla crescente realtà interculturale rappresentata dalla scuola italiana: un dato incontrovertibile, come confermano i recenti rapporti del MIUR sul tema, a cui vengono date risposte e tentativi di applicazione pratica non certo uniformi, causa una serie di direttive ufficiali orientate sì nella direzione giusta, ma che faticano a imporsi nella vita di ogni giorno all’interno delle aule italiane.

Oltre a questo, si deve aggiungere la capacità di alcuni rappresentanti del corpo scolastico, dai dirigenti agli insegnati sino al personale amministrativo, di far fronte alla realtà con energie e creatività al di sopra della media, visto che la media viene abbondantemente condizionata da omologhi non così attenti, né sufficientemente preparati ad affrontare il mondo della scuola così come è andato configurandosi nell’ultimo decennio; accanto a loro, altri di essi non vogliono affatto essere partecipi di questo cambiamento, fingendo con assoluta noncuranza che tutto sia rimasto uguale a prima, al giorno della loro immissione in ruolo, spesso avvenuta ormai decenni or sono. Le proposte ministeriali in tal senso sembrano essere adeguate (formazione del personale docente e Ata, intervento didattico sulla lingua italiana, metodi di integrazione sostenuti dalle possibilità offerte dalla nuove tecnologie); ma per mettere in pratica tutto questo ci vogliono soldi, ci vogliono fondi che nella maggior parte dei casi tardano ad arrivare a destinazione, o non arrivano proprio.

Nel frattempo, però, si potrebbe intervenire a basso costo proprio sullo Ius soli, legiferando finalmente sul diritto di cittadinanza. In questo senso è ancora l’esperto in materia Ongini a venirci in aiuto, riassumendo la situazione così:

“Ci sono più di dieci proposte di legge in Parlamento, ma mi sembra che la scelta adesso riguardi tre possibili opzioni: una è quella della cittadinanza data a un bambino nato in Italia, figlio di genitori che sono qui da cinque anni; la seconda è che sia data a un bambino nato in Italia figlio di genitori stranieri nel momento in cui frequenta la scuola, precisamente alla fine della scuola primaria, il che significa anche dare la cittadinanza in un contesto che è quello della scuola, e quindi di un’istituzione; la terza proposta, usando un linguaggio tecnico-politico dello ius soli “super moderato”, è quella di dare la cittadinanza alla fine della scuola media, dunque dopo otto anni di percorso. Queste mi sembrano le opzioni prevalenti. Devo dire che anche noi al Ministero abbiamo fatto una ricognizione di questo tipo, il direttore mi ha chiesto una comparazione, una valutazione critica: ma non tocca a noi la scelta politica. La mia opinione è che collocare a scuola la cerimonia, l’investitura della cittadinanza per un alunno, indipendentemente dall’anno che si scelga, sia una scelta saggia, perché significa certificarla in un contesto di comunità, dentro la dimensione dello studio, dell’istruzione, in una dimensione culturale, e quindi può essere un contesto nel quale può essere organizzata una ritualità”.

Secondo Ongini, dunque, la scuola dovrebbe essere il luogo non soltanto culturale, ma anche fisico, nel quale organizzare una cerimonia di assegnazione della cittadinanza, un rito ufficiale per marcare l’importanza dell’evento, donando quasi un significato di sacralità a questo passaggio fondamentale, non soltanto per chi lo riceve, ma anche per chi lo accoglie.

Sui modi e i tempi, non spetta a noi pronunciarsi.

Attendiamo fiduciosi.

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  1. […] la democrazia e il rapporto con il passato e con il patrimonio. E visto che Mario Valentini e Emiliano Sbaraglia, da prospettive diverse, sono appena tornati sulla questione in relazione alla scuola, non è […]



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