Seminario sui luoghi comuni

22. Domenica

Meursault ha appena perso la madre e passa una domenica a dir poco interlocutoria a casa sua, ad Algeri, per lo più affacciato alla finestra. Tutto ciò che vede è misteriosamente adatto al suo stato d’animo. Non so perché: ogni dettaglio si sostituisce in maniera quasi caritatevole ai pensieridel protagonista. Ma non tutti allo stesso modo: alcuni dettagli sembrano confermare il suo stato d’animo e altri contrapporvisi con dolcezza.

Eccone alcuni che vanno d’accordo con il narratore: «Il cielo era puro ma senza splendore»; «il cameriere scopava della segatura nella sala deserta. Era veramente domenica»; «Il passaggio delle nubi (…) aveva lasciato sulla strada come una promessa di pioggia che l’ha fatta diventare più scura».
Questi altri invece segnano il suo distacco dall’umanità; sono dettagli che tradiscono nei passanti un attaccamento alla vita che il protagonista non sembra avere. Vediamo i tram pieni di tifosi di ritorno dallo stadio: «grappoli di spettatori stipati sui predellini, attaccati ai parapetti. Sui tram successivi c’erano i giocatori che ho riconosciuto dalle loro valigette. Urlavano e cantavano a pieni polmoni che non sarebbe mai perita la loro società. Molti mi hanno fatto dei saluti. Uno mi ha persino gridato: ‘Li abbiamo fregati’». Una forma di attaccamento alla vita quasi demente, un’allegria, una foga che leva l’angoscia basandosi praticamente sul nulla: la rivalità, il campanilismo. Altra forma di vita e di attaccamento alla vita: i ragazzi che uscivano dal cinema «avevano gesti molto decisi e ho pensato che dovevano aver visto un film d’avventure». E poi la maniera più elementare di provare interesse per l’esistenza e non pensare alla morte: «Le ragazze del rione, senza cappello, camminavano tenendosi a braccetto. I ragazzi facevano in modo di incrociarle e dicevano delle spiritosaggini di cui esse ridevano voltando la testa dall’altra parte».
In questi paragrafi, le due forze opposte, di identificazione e distanziamento, rimangono mescolate come in soluzione, senza diventare una melassa di realtà e soggettività. Ogni cosa è illuminata, precisa, si trovano insieme un andamento da drone e una concisione cristallina, il sentimento della morte e i dettagli inconfutabili della vitalità, della continuità del mondo fuori dalla nostra coscienza e dai suoi scacchi. Non si impone alla realtà di conformarsi a un sentimento soggettivo, ma si mostrano tutti quei lati della realtà che sono disponibili a venirci incontro quando abbiamo un certo stato d’animo. In effetti, qualunque stato d’animo abbiamo troveremo nella realtà che ci sta intorno tanti elementi simpatici e tanti che contrastano il nostro stato d’animo.
Il mondo fuori dalla finestra, infine, non è solo osservato: tifosi e calciatori salutano Meursault; anche le ragazze dello struscio lo salutano passando.
Nello Straniero c’è una calma nelle frasi, come se l’osservazione, la sensibilità umana, anche nella storia paradossale di un uomo che diviene assassino per caso, al di là del bene e del male, potessero con pazienza riuscire sempre a fare l’inventario del mondo e a tirar fuori il valore: «I lampioni facevano luccicare il lastricato umido, e i tram, a intervalli regolari, illuminavano dei capelli lucidi, un sorriso o un braccialetto d’argento». E poi, ancora sulla luce e sulla luce che si riflette: «Ho chiuso i vetri e rientrando ho visto riflesso nello specchio un angolo della tavola con il fornello a spirito, accanto a dei pezzi di pane».Come se questa luce e i suoi riflessi fossero una prova in favore di qualcosa.

 

Da Lo straniero
di Albert Camus

 

La mia camera dà sulla via principale del quartiere. Il pomeriggio era bello. Il lastricato era tuttavia umido, i passanti ancora rari e affrettati. Erano in principio famiglie che andavano a passeggio, due ragazzini vestiti alla marinara, coi calzoni più giù del ginocchio, un po’ goffi dentro la stoffa rigida, e una bambina con un gran fiocco rosa e delle scarpe nere di vernice. Dietro a loro una madre enorme, vestita di seta marrone, e il padre, un ometto piuttosto esile che conosco di vista. Aveva una paglietta, una cravatta a farfalla e un bastone da passeggio. Vedendolo con sua moglie, ho capito perché nel quartiere si diceva che era una persona distinta. Un po’ più tardi passarono i ragazzi del sobborgo, coi capelli impomatati e delle cravatte rosse, la giacca molto aderente con un fazzoletto ricamato nel taschino e delle scarpe a punta quadra. Certo andavano nei cinema del centro. Era per questo che uscivano di casa così preso e correvano per prendere il tram, ridendo forte.
Passati loro, la strada è diventata a poco a poco deserta. Gli spettacoli dovevano essere cominciati dappertutto. Non c’erano più, nella strada, che i bottegai ed i gatti. Il cielo era puro ma senza splendore, sopra i fichidindia ai lati della strada. Sul marciapiede di fronte, il tabaccaio ha tirato fuori una sedia, l’ha sistemata davanti alla sua porta, e ci si è messo sopra a cavalcioni appoggiandosi con le mani allo schienale. I tram, poco prima gremiti, erano quasi vuoti. Nel piccolo caffè Da Pierrot, che è di fronte al tabaccaio, il cameriere scopava della segatura nella sala deserta. Era veramente domenica.
Ho girato la mia sedia e l’ho messa come quella del tabaccaio perché ho trovato che era più comodo. Ho fumato due sigarette, sono entrato in camera a prendere un pezzo di cioccolata e sono venuto a mangiarla al balcone. Poco dopo il cielo si è infoscato e ho creduto che ci sarebbe stato un temporale estivo. Ma a poco a poco si è schiarito di nuovo. Il passaggio delle nubi, però, aveva lasciato sulla strada come una promessa di pioggia che l’ha fatta diventare più scura. Sono rimasto a lungo ad osservare il cielo.
Alle cinque sono arrivati dei tram, rumorosi. Riportavano dallo stadio della periferia grappoli di spettatori stipati sui predellini, attaccati ai parapetti. Sui tram successivi c’erano i giocatori che ho riconosciuto dalle loro valigette. Urlavano e cantavano a pieni polmoni che non sarebbe mai perita la loro società. Molti mi hanno fatto dei saluti. Uno mi ha persino gridato: «Li abbiamo fregati». E io ho fatto segno di sì con la testa. A partire da quel momento le automobili hanno cominciato ad affluire.
La giornata è andata avanti ancora un poco. Al di sopra dei tetti il cielo è divenuto rossastro e mentre nasceva la sera le vie si sono animate. Quelli che erano andati a passeggio ritornavano a poco a poco. Ho riconosciuto, in mezzo agli altri, il signore distinto. I bambini piangevano e si facevano trascinare. Quasi subito i cinema del rione hanno riversato sulla strada la folla degli spettatori. I ragazzi che uscivano avevano gesti molto decisi e ho pensato che dovevano aver visto un film d’avventure. Quelli che tornavano dai cinema del centro arrivarono un po’ più tardi. Avevano l’aria più grave. Ridevano, sì, ma di tanto in tanto sembravano stanchi e trasognati.Sono rimasti sulla strada, ad andare e venire sul marciapiede di fronte. Le ragazze del rione, senza cappello, camminavano tenendosi a braccetto. I ragazzi facevano in modo di incrociarle e dicevano delle spiritosaggini di cui esse ridevano voltando la testa dall’altra parte. Parecchie di loro, che conoscevo, mi hanno fatto segno con la mano.
Poi i lampioni della strada si sono illuminati d’improvviso e hanno fatto impallidire le prime stelle che sorgevano nella notte. Ho sentito i miei occhi affaticarsi e guardare i marciapiedi con il loro carico di uomini e di luci. I lampioni facevano luccicare il lastricato umido, e i tram, a intervalli regolari, illuminavano dei capelli lucidi, un sorriso o un braccialetto d’argento. Poco dopo, i tram divenuti più rari e la notte già nera sopra i lampioni e le piante, il sobborgo si è svuotato a poco a poco, fino a che il primo gatto traversò lentamente la strada ritornata deserta. Ho pensato che bisognava cenare. Mi faceva un po’ male il collo a esser rimasto appoggiato tanto tempo sulla spalliera della sedia. Sono andato giù a prendere del pane e della pasta, mi sono fatto da mangiare e ho cenato in piedi. Ancora ho voluto fumare una sigaretta alla finestra, ma l’aria si era rinfrescata e ho sentito un po’ freddo. Ho chiuso i vetri e rientrando ho visto riflesso nello specchio un angolo della tavola con il fornello a spirito, accanto a dei pezzi di pane. Ho pensato che era sempre un’altra domenica passata, che adesso la mamma era seppellita, che avrei ripreso il lavoro; e tutto sommato non era cambiato nulla.

Leggi le precedenti puntate del Seminario sui luoghi comuni:
21. Boccaccesco
20. Understatement
19. Fordismo
18. Coprimi di soldi
17. Un uomo serio
16. La matrice
15. But I Digress
14. Amore e morte
13. Come sfruttare orribilmente tua sorella e uscirne sconfitto
12. Se la montagna non va a Maometto
11. La livella
10. Prima che il gallo canti mi avrai frainteso tre volte
9. La realtà nonostante l’autore
8. Scene di lotta di classe
7. Pettegolezzi
6. Culto della personalità
5. Il giovane moralista
4. Le leggi della fisica
3. Idiosincrasie di un protagonista
2. Compassione per la comparsa
1. Il viale per lo struscio

 

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