Il ritorno di Zeman

Questo articolo è uscito sul Corriere del Mezzogiorno

A volte il calcio riesce a rovesciare le sue gerarchie e il suo immaginario fondato su milioni di euro. Così capita che per molti giorni, nella torrida estate del 2010, la notizia più importante non sia questo o quell’acquisto dell’Inter, o il possibile approdo di Balotelli al Manchester City, ma il ritorno di Zeman al Foggia, in Lega Pro. Una sorta di ritorno al futuro, che esorta a interrogarci su una domanda extra-calcistica: perché l’outsider Zeman, l’eretico Zeman è tanto amato anche da chi non ha mai tifato per le casacche che gli è capitato di allenare? Azzardiamo qualche risposta.

Quello di Zeman è stato ed è un calcio tutto giocato all’attacco, che se ne frega di difendere il risultato. Un calcio in cui si rischia di perdere una partita per 5-4 pur di inseguire un’ultima azione spettacolare. In breve, il calcio di Zeman (non solo per la denuncia pressoché solitaria del sistema Moggi) è il calcio più anti-italiano che ci sia. È un calcio anti-breriano e anti-herreriano. Negli anni novanta è stato il calcio anti-lippiano per eccellenza. Oggi come oggi è profondamente anti-mourinhesco. Nelle idee e nello stile. In campo: Zeman contro Mourinho è il divertimento contro il risultato. Fuori dal campo, quasi per una legge del paradosso, è il silenzio appena interrotto da poche parole essenziali contro il monologo invadente. Sono quasi due forme teatrali diametralmente opposte.
La biografia di Zeman ha suscitato articoli, riflessioni, canzoni (si pensi a “La coscienza di Zeman” di Antonello Venditti), ritratti ragionati (come quello di Goffredo Fofi contenuto nell’antologia Il pallone è tondo, edita dall’Ancora del Mediterraneo: per Fofi, Zeman è “un vero educatore”) e un film (Zemanlandia di Giuseppe Sansonna). Ma forse non tutti sanno che a Zdenek Zeman è stato dedicato perfino un romanzo: Il mister di Manlio Cancogni, uscito da Fazi nel 2000.

Cancogni è uno di quegli scrittori che hanno elevato al massimo grado il racconto dello sport, facendone una metafora della vita tutta. Giornalista e narratore raffinatissimo, ha scritto stupendi reportage dai Giri d’Italia degli anni cinquanta, e nei sessanta ci ha dato con La carriera di Pimlico l’affresco più incisivo del mondo dell’ippica e delle corse: un romanzo il cui protagonista è proprio un cavallo (Pimlico) e non un essere umano, fantino, proprietario o scommettitore che sia…
Con Il Mister Cancogni ha affrontato il mondo del calcio. La storia prende forma nella Roma degli anni trenta, nel quartiere Savoia (l’attuale Trieste, stretto tra via Salaria e via Nomentana) e il suo protagonista è l’allenatore-giocatore slavo di una squadra di periferia che scala le classifiche dei tornei rionali, impensierendo i ras e i gerarchi del circondario che tifano per la squadra rivale. La figura dell’allenatore-giocatore, che si chiama Vecto Zoran, è interamente ricalcata su quella di Zeman. Stesso impermeabile chiaro, stesso sguardo sornione e dolente, stesse frasi sibilline, stesso naso a punta… e soprattutto stesso modo di intendere il calcio e di far giocare la propria squadra.
Ma nella postfazione del romanzo Cancogni svela un mistero, gettando una nuova luce sulla sua opera. “Questo breve romanzo”, scrive, “ha una lunga storia. Quando lo scrissi la prima volta, nel ’93, era un’altra cosa e aveva anche un titolo diverso. Si chiamava Zona Cesarini. Si ispirava a un personaggio reale, l’allenatore ceco Zdenek Zeman, ben noto agli italiani, persino ai pochi, credo, che non s’interessano di sport. M’ero invaghito di lui quando, una decina d’anni fa, allenava la squadra di calcio di una città di provincia del Sud. Il suo nome era nuovo.”
La prima stesura del romanzo, insomma, era ambientata proprio a Foggia, negli anni novanta, e parlava direttamente di Zeman, della sua squadra, dei suoi giocatori e del suo pirotecnico presidente. Ma poi, nelle versioni successive, il romanzo è stato riscritto da cima a fondo e “spostato” nella Roma in cui l’autore ha vissuto per preservarne il finale, che qui non anticipiamo.
Così la vera notizia che Cancogni ci rivela non è solo che ha dedicato a Zeman un personaggio trasfigurato, ma che – in tutti questi anni – ha tenuto chiuso nel cassetto della sua scrivania un romanzo-ritratto inedito di quell’allenatore e di quella città approdati insieme in Serie A. Uno spaccato del passato prossimo dell’Italia, e non solo di Foggia, che probabilmente, come ogni utopia, non avvicineremo mai.
E qui nasce un’altra riflessione. La Zemanlandia foggiana, entrata nella storia del calcio nostrano, è stata elaborata negli anni novanta. Così come il tentativo anarcoide di portare quel modo di intendere il fùtbol nel cuore del calcio capitolino, con una Lazio e una Roma piuttosto “pazzerelle”, è di poco successivo.
Sono passati vent’anni. Siamo entrati negli anni dieci, e il calcio di oggi è molto mutato, che si giochi in Serie A, in Premier League o in Lega Pro. E allora vien da pensare che la maggiore sfida di Zeman non sia quella di far giocare la sua squadra come allora, o di vincere un campionato, ma semplicemente resistere. Far capire ai più che la sua favola non è un rudere novecentesco, ma può lottare ad armi pari (nel calderone dello Zaccheria) con il calcio manageriale, molto milionario e molto narciso, per quanto privo di idee offensive, di Mourinho e dei suoi emuli. È ovvio che, salvo miracoli ultraterreni, non vedremo mai un Foggia-Real Madrid. Ma qui non si parla di calcio giocato. Stiamo parlando di una battaglia delle idee molto più profonda.

Commenti
Un commento a “Il ritorno di Zeman”
  1. Nicola Villa ha detto:

    Zeman è ancora l’allenatore più amato dalla tifoseria romanista, nonostante abbia allenato anche la Lazio, abbia perso ben 4 derby in una sola stagione e abbia regalato le più belle sconfitte (ricordo un roma inter 4-5 del 1999: una delle partite più divertenti della storia…)

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