Piero Ciampi: un cantautore? No, un poeta!

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Il testo che segue compare nel disco antologico Ciampi ve lo faccio vedere io, antologia dedicata al cantautore livornese con interpretazioni di Bobo Rondelli.

di John Vignola e Antonio Vivaldi

Si può dire, oggi, questo di Piero Ciampi: che è stato capace, per indole o per abitudine, magari per entrambe, di cambiare l’idea della cosiddetta canzone d’autore e di portarla da qualche altra parte.

Sarà un caso che Ciampi, proprio come capita anche a Luigi Tenco, piaccia a nomi importanti del rock italiano quali Mauro Ermanno Giovanardi, Cristina Donà, gli Afterhours.

La sua indole anarchica, la sua spontaneità, il suo andare controcorrente in maniera così vitale, inesorabile, divengono qualcosa di tremendamente vicino  a quella rivoluzione  punk  che, quando incide le sue canzoni più importanti, non è ancora arrivata.

Ovviamente, Piero Ciampi non è un punk, anche se, come i punk, non sa suonare bene nessuno strumento. Come loro ama provocare, come i maestri della beat generation americana ama confondere vita e arte (pagando spesso questa scelta a caro prezzo) e lo fa non come gesto studiato davanti allo specchio, ma come scelta inevitabile; quasi ogni sua parola è poesia, quasi ogni sua azione ha una potenza drammatica e diventa subito racconto.

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Gianni Marchetti costruisce addosso ai suoi versi un vestito melodico, struggente, certe volte ridondante, ma lui non segue quasi mai le melodie oppure le abbandona per poi recuperarle quando sembra troppo tardi.

Il suo modo di declamare le canzoni è più vicino alla poesia, ma le rime sono tutt’altro che baciate. Le storie attingono dalla sua esperienza personale, ma non sono solo brani di vita vissuta, magari male; riescono a essere epiche e picaresche, commoventi e grottesche  fino a comporre un grande affresco umano degno, senza esagerare, di Musil e Carver.

Sono storie impressionanti, perché Piero sa usare in maniera molto personale la voce. Una voce inconfondibile, paurosa, drammatica: non è quella di un attore, ma, appunto, di un poeta come pochi, almeno nel mondo della musica sospesa fra i Festival di Sanremo e qualcosa che non si riesce a definire bene, per cui si usa il termine ‘d’autore’ con scarsa convinzione (degli artisti).

Non è un caso, allora, che il paragone con Tenco allontani entrambi da qualsiasi appartenenza, che la passione di entrambi per il jazz li smarchi dall’ossessione italiana per il melodramma e che, alla fine, la gloria, se così si può dire, postuma, sia legata a questo precorrere i tempi che è, assolutamente, inconsapevole e al tempo stesso geniale.

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