Pablo Honey, i Radiohead prima della rivoluzione

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Da qualche giorno è uscito A moon shaped pool, l’ultimo album dei Radiohead. In questo pezzo (uscito su Pagina 99, che ringraziamo) Daniele Bova racconta gli inizi della band a partire da Pablo Honey, primo disco, uscito 23 anni fa.

Cedendo per un attimo alla suggestione di una possibile relazione mistica tra i numeri, c’è n’è uno, il sette, che misura gli anni trascorsi dal primo disco dei Radiohead, Pablo Honey , al quarto, Kid A. Lo stesso numero di anni separa il primo album ufficiale del Beatles, Please Please Me, datato marzo 1963, all’ultimo, Let it Be, maggio 1970. Questa che potrebbe apparire una consonanza priva di particolari significati, se indagata attraverso la lente della critica musicale, ci svela una similitudine forse molto rilevante tra due delle band che maggiormente hanno saputo incarnare il paradigma della musica pop-rock, in bilico tra prodotto di consumo, arte e avanguardia sperimentale.

È il 1993 quando i Radiohead invadono le radio di tutto il mondo, anche quelle italiane, con il loro singolo più famoso, Creep. Brano il cui successo, come ammise Colin Greenwood, membro fondatore della band e fratello del più riconoscibile Johnny, «ci ha sconvolto la vita, ma allo stesso tempo dato fortuna e illuminato il cammino». La canzone, giudicata all’epoca troppo deprimente dalla Radio 1 della BBC, si prestava ad essere un’ennesima variante sul tema Smells like Teen Spirits dei Nirvana: atmosfera cupa, testo dalle tinte esistenziali (un lamento autoreferenziale di un adolescente che si reputa inadeguato rispetto alla ragazza oggetto del suo desiderio) ed esplosione di chitarre elettriche a sublimare l’acme del pezzo.

Creep è una composizione giovanile di Thom Yorke, leader dei Radiohead, che scrisse il brano nel 1987 durante gli anni d’università: la sua figura minuta e l’espressione del viso caratterizzata da una paresi congenita all’occhio sinistro favorivano la totale sovrapposizione del cantante con il Creep (termine nato negli anni ’50 tra le donne per indicare un maschio poco attraente) protagonista della canzone. Ma in realtà ci sono degli indizi, più o meno espliciti, che il brano non rappresentasse a pieno la band: per esempio, Yorke ammise di essersi ispirato a questa The air that I breath dei The Hollies, scritta nel 1972 da Albert Hammond e Mike Hazlewood, che sono stati accreditati anche come autori del pezzo dei Radiohead.

Non è un mistero che i Radiohead abbiano da subito preso le distanze dalla possibilità di essere identificati con la one hit wonder del caso: la band che sforna un grande successo e ci costruisce una carriera intorno. Allo stesso tempo i suoni di Pablo Honey si inseriscono in un contesto, quello dell’imminente esplosione del cosiddetto britpop, dal quale la band si allontana gradualmente album dopo album. Se il 1993 è l’anno di uscita di lavori importanti per il consolidamento di un certo pop rock britannico, dall’esordio omonimo degli Suede al secondo disco dei Blur Modern Life Is Rubbish, la band di Thom Yorke, nel giro di quattro anni, approda a una forma canzone distante anni luce, ad esempio, dalla frizzante verve degli Oasis. Nel 1997 Ok Computer lascia a bocca aperta coloro che amavano la linearità melodica ed elettrica della band, virando verso un suono cupo e articolato, quasi sperimentale per gli standard dell’epoca: e nessuno ancora sospettava che si trattasse solo di un piccolo passo verso gli scenari pionieristici che si sarebbero aperti di lì a tre anni.

«Che ci faccio qui? Non appartengo a questo luogo». Questo stralcio della lirica di Creep, estrapolato dal suo contesto e fatto interagire con l’incipit di un altro testo di Yorke, quello di Everything In Its Right Place, sette anni più tardi, risulta illuminante per cogliere la specificità del percorso dei Radiohead. «Ogni cosa al suo giusto posto», ripete come in un mantra il cantante della band di Oxford, rincorso da samples effettati della sua stessa voce, sopra le note del celeberrimo pattern melodico di Fender Rodhes che apre Kid A; disco che a sua volta inaugura il nuovo millennio, quasi aprendo uno squarcio attraverso il quale guardare il futuro.

Sette anni dicevamo, il periodo che serve ai Radiohead per passare da una condizione di affannosa ricerca d’identità (la domanda «Che ci faccio qui?» che riecheggia in Creep), al raggiungimento di una forma compiuta, in cui «Ogni cosa è al suo giusto posto». Per portare a termine questo percorso, la band inglese ha messo in atto una rivoluzione dei propri stilemi musicali paragonabile a quella che portò i Beatles a trasformasi da boy band di massa a visionari, che usavano lo studio di registrazione come laboratorio per creare suoni irriproducibili dal vivo. Provare per credere: ascoltate Love Me Do e subito dopo Tomorrow Never Knows dei Beatles; oppure Creep e poi Idiopteque dei Radiohead senza soluzione di continuità.

In entrambi i casi la domanda che sorge spontanea sarà la medesima: «si tratta della stessa band?». In entrambi i casi la sensazione di accelerare vertiginosamente verso il futuro è garantita: e se per i Beatles, a 50 anni di distanza, esiste un riscontro empirico del loro precorrere le epoche, anche per i Radiohead la prova del tempo sembra dar loro ragione, se è vero che, come scrive Damir Ivic a proposito di Kid A: «Quindici anni fa vedevamo il futuro. Quello che speravamo fosse il futuro, anche e soprattutto per noi fan dell’elettronica, deidancefloor; speravamo fosse l’inizio di una nuova era di apertura mentale, di commistioni, ma pure di grande consapevolezza (anche nel mettersi in gioco), di grande cultura, di abbandono dei monoteismi musicali».

Nel suo incedere omnidirezionale, onnivoro di generi musicali – dall’elettronica intelligente al free jazz, dal Kraut rock alla musica colta contemporanea – Kid A rappresenta un vertice assoluto nella musica contemporanea. Ma probabilmente non sarebbe mai esistito se un adolescente problematico, alle prese con i suoi problemi sentimentali, non avesse sbattuto in faccia al mondo la sua condizione di Creep all’inizio degli anni Novanta.

Commenti
Un commento a “Pablo Honey, i Radiohead prima della rivoluzione”
  1. Daniele ha detto:

    Non li sopporto. Sarà un limite mio.
    Kid A, a mio avviso, album largamente sopravvalutato e molto meno originale di quanto si crede.

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