Tre giorni al Primavera: quella volta che (non) ho visto Brian Wilson

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Questo pezzo è uscito su Il Cartello, che ringraziamo. 

di Corrado Fortuna

GIORNO 0.

Meno due giorni al festival.

È il terzo anno consecutivo che provo ad andare al Primavera Sound. Due anni fa avevo anche i biglietti. Ogni volta però ne accade una, e alla fine non ci sono ancora riuscito. La notte prima non chiudo occhio. E non sono gli Air, o i Radiohead oppure i Tame Impala che mi tengono sveglio. Non è l’adrenalina, non è l’entusiasmo. Non è la paura degli aerei. Il fatto è che, anche se sembra non entrarci nulla, mio padre sabato fa settant’anni. Cosa che tanto per dire, Brian Wilson ha fatto 4 anni fa. E quante occasioni vuoi avere nella vita per vedere Brian Wilson che fa tutto Pet Sounds (che di anni ne ha 50) dal vivo? Intendo, cinicamente, quante ancora?

Sabato sera, a Barcellona, nella splendida kermesse del Primavera Sound 2016, Brian Wilson suonerà tutto l’album che ha contribuito ha cambiare il rocknroll. Ma io avrò lasciato la Spagna più o meno sette ore prima e sconvolto dopo due giorni di festival starò suonando male e cantando anche peggio Simpathy for the devil degli Stones, ai settant’anni di mio padre, 969.79 km in linea d’aria più a sud, a Favignana. Probabilmente con un groppo in gola. E no, non riesco a dormire, mentre accanto a me si sogna profondamente.­

GIORNO 1

Si comincia.

Il fatto è che al Primavera Sound ci si va con gli amici. Ma non degli amici così, ci si va con quelli più importanti e cari, e poi lì si ritrovano anche tutti gli altri, quelli che magari non ci vediamo da una vita ma visto che siamo a Barcellona nello stesso momento, che facciamo, non ne approfittiamo? È per questo motivo che dopo una giornata di turismo sfrenato e shopping compulsivo, mi ritrovo seduto a un tavolino con la Bella Ragazza Rossa che dormiva al mio fianco, al Primavera come me per la prima volta, e poi Dario (seconda volta), Saverio (quarta). Ci saranno più tardi anche L. (super giornalista musicale che ha intervistato praticamente tutti – terza volta) e anche G. e E. (giornalisti tipo L. ma di un’altra generazione e alla loro tredicesima volta), ma non vorrei passare per quello con gli amici importanti.

Anche se a questo festival, sono giornalista pure io (lo so fa ridere), per niente importante ma munito di pass, cosa che mi fa sentire investito di un superpotere al quale non mi abituerò mai e che ogni volta mi fa pensare che forse il vero problema del mondo sono i pass e i loro poteri. Ad ogni modo è per questo che siamo seduti in questo bar a mangiare pane e pomodoro, qui dietro c’è il CCCB (Centre de Cultura Contemporània de Barcelona) dove rilasciano gli ambiti braccialetti che abbiamo tutti, tranne Saverio che giornalista non è e che ha (poveretto) comprato un pass vip che praticamente ti permette di fare la doccia insieme a PJ Harvey dopo il concerto, o quasi. Barcellona è stupenda, c’è il sole, gli skaters, i miei amici e la Mia Bella Ragazza Rossa, con cui stasera vedrò Air, Tame Impala e LCD Sound System. Chissà, magari Brian Wilson è già arrivato in città e lo incontro agli altri concerti.

Dopo il pane e pomodoro e una dozzina di cervesitas, in questa formazione, ci si dirige verso una specie di pantagruelico porto turistico dove si svolge il Primavera, col mare da una parte e la più grande e meravigliosa distribuzione di palcoscenici uno accanto all’altro che io abbia mai visto in vita mia. Ma ho avuto un altro privilegio prima di entrare in quella specie di circo (senza fare la fila perché i nostri braccialetti privilegio ce lo consentono): Saverio, ci invita a bere una (tredicesima) birra nel bar del suo albergo davanti il Forum per farci vedere il panorama. Infatti il Primavera Sound tutto intero è comparso ai miei occhi per la prima volta così, dall’alto, dove ho scattato questa foto dalla quale si vedono i due palchi principali guardarsi come due duellanti prima dell’arrivo dell’invasione e che voi privilegiati potete vedere qui:

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La cornice è bellissima, Barcellona è una città che appare perfetta e per niente turbata dai milioni di turisti standard e turisti festivalieri, che io riconosco ovunque. La passeggiata sulla Barceloneta è meravigliosa e lunga, avverto quasi un po’ di stanchezza ma ancora non ho idea di quello che mi aspetta. A parte l’architettura resto allibito dalla quantità di persone che vedo intorno a me, e come in ogni festival, penso che la gente che ho intorno rappresenta più o meno il mondo così come lo vorrei. Anche se lo so che alla formazione di questo pensiero ha contribuito tutta quella birra. Finalmente sono dentro, anche se non si ha la sensazione di essere “dentro” qualcosa, perché prima di arrivare alla spiaggetta, dove c’è il palco dei djset, devo percorrere tipo due chilometri a piedi. Lì c’è Todd Terje ,uno dei miei dj preferiti, che mette i dischi alle 4 del pomeriggio in questa specie di tendone dove c’è un sacco di gente che balla sotto il sole. Il set è molto bello e molto partecipato dal pubblico, anche se dura solo un’ora e il programma ci informa che in giro contemporaneamente ci sono altre cose che ci stiamo perdendo. Così ci rimettiamo in marcia verso i palchi. È questo l’unico problema al Primavera: qualcosa te la perdi per forza. Ma è voluto così, c’è tutto e in abbondanza e il pubblico sembra riempire tutti gli spazi di questo forum bellissimo. Dopo altri due chilometri giungiamo finalmente tra i due palchi più grandi (ce ne sono più di dieci), dove c’è anche l’area stampa coi baretti da privilegiati coi pass: si sta comodi sui divanetti e ci si incontrano un sacco di “star” del settore e anche qualche musicista.

Da lì ci si sposta a chiacchierare e a sentire il concerto di Empress Of, che L. consiglia e che mi piace, anche se quasi tutte le voci femminili in inglese e con l’elettronica mi sembrano sempre cloni di Bjork, sta ragazza ha un bel tiro, come si dice. Vederla sul palco è divertente e se fate le cantanti e siete italiane e siete e brave e talentuose e la musica elettronica è quello che volete fare quella secondo me è una dimensione interessante a cui guardare. (Qui divento addirittura giornalista musicale che dispensa consigli, che spocchia!)

Comunque non sento più di tre o quattro pezzi: fra poco ci sono gli Air. Gli Air, capito? Il fatto di vederli dal vivo è per me come vedere gli alieni, come se mi si rivelassero in quanto esseri umani solo ora per la prima volta. E il concerto, in uno dei due palchi grossi della foto di prima, non delude, sembra di sentire un disco, anzi un Greatest Hits ma fatto in studio con le canzoni perfette e loro che non dicono una parola, nemmeno una, nemmeno un Hola Barcelona o qualcosa del genere, algidi e parigini come pochi, e io mi ricredo: forse sono veramente dei cyborg come ho sempre sospettato. Non avrei mai sospettato, invece, che mi potessi distrarre così tanto a un concerto e a un concerto degli Air in particolare, ma poi ho capito che è proprio la figata di questo festival: il fatto  di avere così tanta offerta ti permette di distrarti, di chiacchierare, di spostarti da un palco all’altro abbandonando star del calibro del duo francese. Comunque canto a squarciagola How does it make you feel, La femme d’argent e ovviamente Sexy Boy. E poi, tutto contento, torno a sedere, con i miei amici e la Bella Rossa, nell’aerea stampa, che qui la nottata è lunga e se vogliamo vedere il più possibile un po’ seduti ci dobbiamo stare…

Io mica l’ho capito se mi piacciono così tanto i Tame Impala, ma visto l’entusiasmo diffuso che ho notato intorno a questa band nell’ultimo anno, non lo dico che mi vergogno. Quindi sono interessato a sentire il concerto, ve lo giuro. Sono giorni che ci penso e non so bene cosa aspettarmi, Dario (Russel) non mi perdonerà questa blasfemia, lo so, ma ora che vorrei scriverne qualcosa, non mi pare di ricordare alcunché, e l’unica cosa che mi ricordo dei Tame Impala è di aver avuto Kevin Parker accanto a me il giorno dopo, al concerto dei Radiohead, del quale però parlo più avanti.

Passerei quindi a raccontarvi del concerto in assoluto più divertente di questo primo giorno, quello dove abbiamo ballato come pazzi, dove ci siamo mandati messaggini di whatsapp tra noi amici per cercare di ritrovarci, quello dove l’elettronica si fonde al rocknroll, quello dove non ho mai visto un cantante – James Murphy – somigliare così tantissimo a un dj, quello che i Daft Punk suonano a casa sua. Sto parlando ovviamente degli Lcd Soundsystem, il mio nuovo gruppo preferito. Perché forse a volte i gruppi preferiti prima che diventino preferiti li devi vedere dal vivo, e ho capito che gli LCD o li metti in un dj set a tutto volume oppure li devi vedere live e ballare e saltare e sudare e gridare MY HOUSE fortissimo insieme ai tuoi amici e alla Bellissima Rossa. Il concerto più divertente del mondo, visto da sotto il palco a sinistra da vicinissimo e arrivandoci senza faticare nemmeno un pochino, ma facendo il giro largo tutto intorno alla gente e quindi, stavolta, senza l’aiuto dei pass.

La notte si è conclusa tardissimo, e torno a casa coi piedi distrutti, le gambe molli, l’odio per i tassisti barcellonesi che non si trovano, ma un sacco di musica e ritornelli che mi frullano nel cervello. Direi che come primo giorno di festival non mi posso lamentare. Ma il tempo di fare questo pensiero e mi accorgo subito che il primo giorno è anche il penultimo, domani sarà venerdì, Brian Wilson suona sabato, io sarò in Sicilia e non l’ho nemmeno incontrato per sbaglio.

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GIORNO 2

Penultimo giorno di Festival. (O: come vola il tempo).

Questo secondo giorno di festival, (o per me ultimo) mi sembra di essere qui da una settimana e di conoscere il forum come le mie tasche. Ma stasera il Primavera sound è il concerto dei Radiohead. Come al solito (sono qui da 24 ore ma già dico “come al solito”), contemporaneamente ci sono altre sei milioni di cose da vedere, ma tutto passa in secondo piano per quasi tutti i componenti della nostra allegra combriccola. Di certo per me e la Bellissima Rossa. Per questa sera, sul mio programma ho cerchiato tra le cose che mi interessano oltre al gruppo di Thom Yorke: Beirut (visti maluccio, ascoltati poco al festival perché come diceva E., facevano “troppo primo maggio”), Tortoise (visti già due volte, ma li adoro e infatti poi non li ho visti), Shellac (Steve Albini è quasi un primo amore: non so nemmeno in quale palco abbiano suonato), Dj Koze (suona alle quattro ho l’aereo alle 12: già so che sarà impossibile vederlo quando arrivo a Barellona), e Dinosaur Jr. (che avrei visto tantissimo lo giuro ma già so che suoneranno a Milano fra due settimane e prendo in giro me stesso dicendomi che li vedrò lì).

Insomma stasera ci sono i Radiohead e i sentimenti che questo concerto scaturiscono sono diversi, sia in me che intorno a me. Alcuni con un atteggiamento tipicamente kill your idols, altri che i Radiohead non sono mai stati la loro tazza di té, e la maggior parte di noi che invece li aspetta come dei al cospetto di umani adoranti. Io dentro di me, prima del concerto avevo tutto questo, un po’ di tutto questo. Li avevo visti per la prima e unica volta a Roma anni fa, non mi ricordo che anno e nemmeno che album stessero promuovendo, perché quel concerto dopo averlo atteso spasmodicamente per mesi, lo odiai. Mi ricordo solo di un pessimo umore prima, durante e dopo e di non aver cantato nemmeno una canzone famosa e di aver avuto Thom Yorke lontanissimo e odioso per tutto il tempo.

Dopo, ricordo che non gli “rivolsi la parola” per mesi senza ascoltare nemmeno per sbaglio un suo pezzo, nemmeno degli album solisti per dire. Piuttosto mi risento tutto Achtung Baby!, mi dicevo. Ma ancora non sapevo. Ancora non potevo immaginare. A quell’epoca non sapevo che avrei visto i Radiohead anni dopo a Barcellona, in quel concerto di Barcellona, quel concerto di Barcellona dove i Radiohead (fra le altre canzoni famosissime) fecero Creep.

Ma ci arrivo piano piano.

In mezzo a quell’atmosfera fra dubbio e venerazione, io, la Bellissima Rossa e la allegra combriccola ritentiamo la fortuna cercando di raggiungere lo stesso posto sotto lo stesso palco degli LCDSS, la sera prima. E ci riusciamo. Siamo quindi, ancora una volta, sotto il palco a sinistra, come ovviamente ci scriviamo su whatsapp quando ci perdiamo.

Non so dirlo meglio: i Radiohead, fanno praticamente due concerti. Il primo nel quale suonano mezzo disco nuovo, che tra l’altro secondo me è bellissimo e che deve essere piaciuto parecchio pure a Kevin Parker dei Tame Impala, visto che è accanto a me con la bocca aperta come un bimbo davanti a un negozio di caramelle. Poi improvvisamente, Thom Yorke comincia ad arpeggiare No Surprises e qualcosa dentro e tutto intorno, accade. Innanzitutto il silenzio, surreale, di settantamila persone. I peli sulle braccia dritti come spine di fico d’india. Io che penso che sto assistendo alla performance live di uno dei brani capolavoro della storia del rock, con tutto il rispetto e le dovute differenze, più o meno come sentire suonare Stairway to heaven quaranta anni fa dal vivo e non in Vynil-la serie. La Rossa Molto Bella piange un pochino. Io canto insieme a tutti gli altri e le farò compagnia due canzoni dopo, quando la Band intonerà Karma Police.

Non ci posso credere, oltre alla band (i volumi per tutto il festival sono stati sempre bassini), e le voci di noi settantamila che cantiamo I lost my self, I lost my seeeeeelf, tutto intorno si sente solo il silenzio, ed è come se i cuori di tutti battano all’unisono e a tempo di musica, ed è come se questo brivido che mi rizza i peli sia un vento e passi di pelo in pelo, di braccio in braccio, di corpo in corpo come un’onda contagiosa. Durante Bodysnatcher mi trasfiguro, non sono più lì. Ma in un mare caldo e buio, con una delle mie canzoni preferite dove io e la Mia Bellissima Rossa, siamo insieme, da soli, in un concerto con novecento paganti come dice Francesco Forni in una sua bella canzone.

Poi il concerto continua, così, in questo fluido magico, fino a terminare con There There, l’ultimo dei bis, e io e tutti gli altri cominciamo a camminare verso i bar come zombie, in silenzio, come frastornati. Finché non accade l’impossibile: Thom e gli altri tornano sul palco mentre Saverio chissà dov’è, di L. e E. e G. nessuna traccia, whatsapp non prende e intanto quelli tornano sul palco e in quel momento io e la Bella Rossa gli diamo le spalle, ma ci giriamo grazie all’ovazione del pubblico, che subito al primo accordo si accorge di qualcosa a cui non può credere: stanno facendo Creep.

Tutti i presenti sanno che l’hanno suonata anche nel recente concerto di Parigi, ma è stata una cosa più unica che rara, prima non la suonavano da veramente troppi anni, nessuno avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere. E così tutti a cantare, dalla prima all’ultima parola, alcuni storpiandole o inventandole: sì può darsi, ma chi se ne frega, è stato incredibile. Come una torta sette veli, sette strati di cioccolata, troppi forse, ma squisiti. E nemmeno io lo avrei mai potuto immaginare, ma intanto quella è stata la mia ultima canzone del Primavera Sound. E va benissimo così. E Brian Wilson? Pace.

GIORNO 3

Ultimo giorno di Festival che io non vedrò. (O: il compleanno del babbo).

In realtà adesso che scrivo è domenica. E mi trovo in questo posto bellissimo che voi privilegiati potete guardare qui:

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Sono rincoglionito come una zucchina. La giornata da Barcellona a Girona, da lì a Trapani e poi in aliscafo fino a Favignana è stata tosta, e poi c’è stata la festa del babbo.

Ma quando ieri sera a casa dei miei, con la Rossa Incredibile al mio fianco, suonavo e cantavo malissimo per il mio vecchio, mi sono messo a guardare tutti questi suoi amici più o meno vecchietti dimenarsi mentre accennavo Simpathy for the devil.   Pensavo che in fondo, quando è uscito Pet Sounds, quel disco capolavoro che Brian Wilson stava suonando nello stesso momento davanti a migliaia di ragazzi, nella stessa Barcellona dalla quale venivamo io e la Rossa e che adesso sembrava una dimensione parallela, loro dovevano avere più o meno vent’anni, e che in qualche modo questo cerchio si stava chiudendo e che non avevo nessun groppo in gola e non ero per niente dispiaciuto di trovarmi lì con il rocknroll sempre presente a fare da testimone. Anzi non ci sarebbe stato miglior modo di onorare il vecchio caro rocknroll dopo due giorni di Primavera Sound, se non festeggiare con colui il quale che del rocknroll mi ha fatto innamorare: il mio vecchio.

In conclusione, ripensando al Primavera, alla mia Rossa Stupenda, ai miei amici, a questa schitarrata col babbo, direi una cosa che alla ventiseiesima birra del secondo giorno ho detto a L., nell’area stampa: «secondo me il rocknroll è una delle mille forme dell’amore. Una delle più divertenti. Una cosa per cui a una frase come questa deve per forza seguire una pernacchia. O un rutto».

Commenti
2 Commenti a “Tre giorni al Primavera: quella volta che (non) ho visto Brian Wilson”
  1. Francesco L. ha detto:

    Ma questo non era un blog di letteratura?

  2. minima&moralia ha detto:

    Ciao Francesco, no, minima&moralia non è un blog che si occupa esclusivamente di letteratura, e non da poco.
    Grazie

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