Ernesto Schick e la rivincita della natura

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Dei semi vegetali abbiamo imparato a scuola che si propagano nello spazio trasportati dal vento, dagli uccelli e dai roditori; a volte succede anche che si impiglino nel tessuto di un vestito o che si incastonino nella suola di una scarpa: poi si staccano, cadono a terra, inaspettatamente germogliano.

Ernesto Schick, nato in Svizzera nel 1925 e scomparso nel ’91, uomo schivo e laterale, padre di nove figli, fitospedizioniere (vale a dire trasportatore di piante vive) e poi ancora agronomo e biologo, in tasca una lente d’ingrandimento e un coltello a venti lame, a un certo punto della sua vita ha scoperto due cose: che per diffondersi nello spazio le piante – queste indomite inconsapevoli autostoppiste – usano persino i vagoni dei treni, e che la stazione di Chiasso, dopo i lavori di espansione cominciati nel ’57 e terminati dieci anni dopo, si era trasformata in una specie di giardino non autorizzato, «listato di binari e frammezzato di traversine», un giacimento di orzo selvatico, margherite, iris, campanule e decine di altreerbe clandestine.

A partire dal ’69 e fino al ’78, Schick perlustrò in lungo e in largo quel microterritorio destinato al transito dei treni (tecnicamente il «sedime ferroviario») dove nonostante i diserbanti e il colaticcio la vegetazione spontanea – davvero la più umile e negletta, la cosiddetta «flora banale» – affiorava inarrestabile. Un taccuino, una penna e i colori giusti per rendere ogni sfumatura di steli foglie e fiori furono gli strumenti tramite cui Schick disegnò e descrisse – con un tratto grafico e linguistico sempre delicatissimo – le pianticelle che inconsulte trapelavano dalla ghiaia.

Apparso per la prima volta nel 1980 e ripubblicato da Humboldt Books (accompagnato dagli scritti di Graziano Papa, Nicola Schoenberger e di Fabio Pusterla), nell’alternare i testi tassonomici alle copie dal vero delle piante – da quelle pilota alle aggressive alle attraenti alle comparse – Flora ferroviaria è da un lato l’autobiografia indiretta, per via floreale, dello stesso Schick, un esempio concreto di cosasia possibile fare della propria solitudine, e dall’altro un piccolo manuale dell’ostinazione, un trattatello in forma di erbario sulla bellezza della caparbietà.

Un libro che è il racconto di quanto acuto e lieve possa essere il nostro sguardo nel momento in cui, chinandosi sull’infinitesimale – per esempio sulla modestissima malerba ferroviaria – se ne prende cura, gli dà un nome e lo fa esistere.

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