Rileggendo Gatsby e Frankenstein, all’ombra del memoir

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La collana Passaparola dell’editore Marsilio, ideata da Chiara Valerio, editor della narrativa italiana della casa editrice veneziana, ha un compito sulla carta abbastanza semplice: si tratta di un esercizio tutto sommato comune che consiste nello scrivere un libro in cui un autore rilegge, attraverso una chiave narrativa, un testo letterario che ha avuto un ruolo particolare nella sua vita e nella sua formazione.

Ad emergere sono dunque dei veri e propri memoir estremamente letterari, che nascono dall’incontro tra un libro e la biografia dello scrittore. Chiara Valerio ha fatto riferimento, nel presentare la collana, al modello rappresentato da Il Regno di Emmanuel Carrère, dove il racconto della sua vita parte dalla lettura dei Vangeli: ma laddove il testo dello scrittore francese risultava indebolito da un eccessivo narcisismo che finiva per metterne in ombra la scrittura a favore di un itinerario di autocoscienza artificiale e poco appassionante, la natura dei libri di Lisa Ginzburg e di Alessandro Giammei (due dei tre titoli finora pubblicati, il terzo, L’inferno è una buona memoria, è di Michela Murgia e prende le misure da Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley, ma in questa sede non ce ne occuperemo) risponde invece ad un percorso individuale sincero, ad un’esigenza che si fa racconto di sé, ad una narrazione in grado di far rivivere come persone reali i personaggi romanzeschi delle opere scelte.

Si tratta, d’altro canto, di un interessante intervento sulla fisionomia e sulla definizione del romanzo: ancora una volta il genere viene messo alla prova e nascono così dei libri dal genere “ibrido”. È ininfluente, da questo punto di vista, che il lavoro nasca da una “costrizione” dell’editore, perché questi testi vivono di una grande forza evocativa in grado di avvicinarli a delle vere e proprie confessioni autobiografiche attuate attraverso la letteratura.

Il libro di Giammei, Una serie ininterrotta di gesti riusciti. Esercizi su il grande Gatsby, è una sorta di diario sentimentale di uno studioso di italianistica che si trasferisce a Princeton e che dunque ricalca, in chiave immaginaria, la vicenda di Francis Scott Fitzgerald. Il libro è costruito da brevi capitoli dall’andamento quasi saggistico, uno per ogni lettera dell’alfabeto, ognuno aperto da una citazione del libro dello scrittore americano: nel loro insieme questi capitoli contribuiscono a costruire la narrazione di una storia di apprendistato accademico, composto non solo da incontri con grandi personaggi del mondo della letteratura, ma anche con la realtà e la quotidianità, nuova, della vita negli Stati Uniti.

Altra faccia della medaglia è il racconto del desiderio di affermazione accademica, un obiettivo di cui Giammei racconta in fieri il perseguimento. Queste due forze che guidano la lettura sono poi piegate dall’autore, qui alla prima prova letteraria, per mettere in luce la diffrazione tra l’America sognata, o comunque immaginata prima del suo trasferimento, e quella reale che si trova a vivere, piena di storture che non erano state preventivate: lo strumento per affrontare questo incolmabile divario diventa la letteratura.

Il testo di Lisa Ginzburg si intitola invece Pura invenzione e trova il suo luogo di nascita nel romanzo Frankenstein, come il sottotitolo, 12 variazioni su “Frankenstein” di Mary Shelley, specifica. Ma non solo dal romanzo nasce il libro di Ginzburg (che anzi racconta di come il suo primo incontro con la storia del mostro sia avvenuto attraverso il film di Mel Brooks), ma anche dalla vicenda di Mary Shelley, per certi versi affine alla sua. Entrambe le donne sono figlie di intellettuali ed entrambe sono state dunque costrette a convivere con questo fardello talvolta pesante (le pagine che Lisa Ginzburg dedica a suo padre Carlo sono tra le più belle del libro, per la capacità della scrittura di addentrarsi nei luoghi più profondi del sentimento). Il romanzo Frankenstein, è analizzato dalla scrittrice come la storia di un amore, asimmetrico certo, tra padre e figlio, tra un creatore e la sua creatura. Frankenstein è, secondo le sue parole, «una storia all’insegna del fallimento. Amori che non hanno modo di sbocciare, amicizie che non fioriscono, bambini uccisi prima ancor di nascere, anime che cercano di elevarsi e non ne trovano il modo».

La lettura di Ginzburg si incammina poi anche verso nuovi spazi interpretativi, come quando scrive che il libro potrebbe, a prima vista, prospettarsi solo come un «un paesaggio narrativo drammatico e deprimente», ma in realtà «a prendersi la scena, c’è un rapporto vivo, pulsante di complessità e perciò gravido di sviluppi. Il legame tra Victor Frankenstein e la sua creatura: un incastro che è quanto di più asimmetrico si possa immaginare».

Pura invenzione si impone come un ulteriore capitolo del percorso autobiografico di Lisa Ginzburg (ultimo di questi prima del libro edito da Marsilio in ordine di tempo è il memoir, pubblicato invece da Italosvevo, Buongiorno mezzanotte, torno a casa, splendida riflessione sul vivere lontano e sulle idiosincrasie del desiderio di tornare a casa), certamente una delle scrittrici italiane più importanti del panorama contemporaneo.

Ad un certo punto del libro, Ginzburg cita le parole di Rabbi Sussja, a sua volta citate da Martin Buber e incontrate attraverso un appunto della madre: «Nel mondo a venire non mi si chiederà: “Perché non sei stato come Abramo, perché non sei diventato come Mosè? Mi si chiederà soltanto: “Sussja, perché non sei stato Sussja?”». La risposta che Ginbzurg formula è la cifra stilistica non solo di questo capitolo della sua opera, ma forse di tutta la forza che sottende la sua scrittura, nonché dell’itinerario di cui essa è continuamente in cerca: «Essere me stessa. Inventando: non in altro modo avrei potuto».

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