Gli anni della Tav raccontati dalla letteratura contemporanea

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di Miriam Aly

Negli ultimi mesi del 2018 è ritornata al centro del dibattito politico la questione Tav, con tutto lo strascico di domande più o meno lecite che la riguardano. Il treno ad alta velocità, di interesse italiano perché collegherebbe Torino e Lione, viene trattato in una certa comunicazione istituzionale come una infrastruttura già capitalizzata ma anche già capitalizzante, ovvero viene percepito e analizzato in una sua dimensione algebrica: l’analisi costi e benefici, giudizi che perlopiù si fermano alla superficie della questione, pensare ad un ipotetico referendum, risparmiare quaranta minuti per andare in Francia, pensare ai quarantacinque chilometri di territorio italiano, affidare la questione ad una dicotomia di governo.

Quest’ultima considerazione non solo è quella più evidente, dato che la divisione Sì Tav / No Tav sembra essere diventata più una divisione partitica che di merito, ma è anche quella che più di tutte porterebbe ad interrogarsi per opposizione su cosa è esistito prima di questo governo e su tutte le persone, luoghi, eventi, lotte, manifestazioni, piazze e idee passate negli ultimi vent’anni circa in quella zona grigia che rende le polarizzazioni devastanti. È devastante semplificare laddove la realtà si presenta come complessa e contraddittoria e non restituire questa complessità vuol dire mentire ad una comunità; le implicazioni a riguardo, oltre a quelle di stampo economico, si muovono intorno all’educazione ambientalista e ad una certa cultura industriale e per quanto siano punti da cui non si può prescindere per comprendere, in generale, il ruolo di determinate infrastrutture, ci sono altre implicazioni che assumono un’importanza sovraordinata in quanto irriducibili non solo per vivere il paese ma soprattutto per non vivere un paese classista e sono quelle che coinvolgono la questione della rappresentanza.

Negli ultimi vent’anni un numero enorme di persone è passato per i luoghi della Tav, in Val di Susa, mostrando e manifestando le proprie perplessità per poi essere processati, condannati per danni di immagine al paese, costretti a vita ad una mole non quantificabile di spese processuali, in un continuum che si protrae dalla seconda metà degli anni ’90 fino al 2003, poi tra il 2005 e il 2007, il 2011 e il 2012, passando per la sentenza del Tribunale dei Popoli del 2015 (sentenza contro l’Italia per aver violato i diritti dei cittadini della Val di Susa), arrivando ai giorni nostri. C’è anche chi è morto per la Tav.

Al di là delle volontà e delle ragioni di realizzazione o meno dell’opera, non considerare e non rispettare le mille sfumature di una realtà e di una comunità che, per quanto non si voglia vedere, è esistita apre una frattura di rappresentanza nella solidità democratica del paese. Nonostante tutto, queste vicende e tutto ciò che hanno comportato ci sono state restituite da autori e libri che raccontando la Tav hanno raccontato un’altra Italia, lasciando una testimonianza significativa della storia contemporanea di questo paese. Eccone alcuni, fra i più incisivi.

Nel 2003 viene pubblicato ‘’Le scarpe dei suicidi, Baleno Sole e Silvano e gli altri’’, tra le autoproduzioni Fenix, di Tobia Imperato; l’opera è anche una storia di anarchia cheracconta con toni crudi ed espliciti un evento cardine, con tutto il contesto sociopolitico che lo segue e lo precede, nella storia dei movimenti torinesi ovvero l’arresto e il seguente suicidio in carcere di Edoardo Massari, chiamato Baleno e di Maria Soledad Rosas, chiamata Sole. I due furono accusati nel 1998, insieme a Silvano Pellissero, di aver attentato alla sicurezza dei primi cantieri Tav e quindi di ‘’associazione eversiva’’, nonostante le loro dichiarazioni di estraneità alla vicenda e nonostante le varie contestazioni esplicitate dai No Tav, i tre furono comunque condannati. Poco dopo l’incarcerazione, Edoardo si toglie la vitanel carcere delle Vallette e dopo neanche quattro mesi Sole lo seguirà. Solo nel 2002 Silvano verrà scarcerato per inconsistenza di prove. Il libro non ci racconta solo una vicenda tra le tante ma per estensione ci parla anche di movimenti, di carcere e di cosa voglia dire iniziare a pensarlo come un progetto e non più come un’istituzione, di una storia e di particolari che per molti che si ostinano a parlare di Tavsono veramente sconosciuti, di vite già vissute.

Nel 2013, Luca Rastello e Andrea De Benedetti pubblicano con Chiarelettere “Binario morto. Lisbona-Kiev. Alla scoperta del Corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è”: un viaggio narrativo che segue e racconta rigorosamente il percorso integrale dei treni ad alta velocità, tra ovest ed est, in una tratta mai percorsa ufficialmente prima di quel momento da nessuna merce, che da una parte si pone l’obiettivo di raccontare senza fatalismi e pregiudizi la realtà nuda di quell’opera, per poi ritrovarsi di fronte ad un treno che oltre l’enorme retorica neoliberista si dimostra un feticcio ovvero propone percorsi discontinui e di fortuna ben lontani dall’aspettativa ipermoderna seminata nel comune immaginario, mentre dall’altra parte ci racconta l’Europa. Il continente che viene presentato è un luogo demoralizzante e depressivo in quanto realisticamente deluso dal grande sogno del secolo scorso; gli autori raccontano fedelmente quanto la realtà risulti diversa, che si sono trovati di fronte a un groviglio logistico fatto di caselli, percorsi estremamente veloci ed altri estremamente lenti, impossibilità di trasportare merci a causa delle velocità elevate. E poi, un futuro che darà risposte riguardo le sue dimostrazioni di successo ancora tra molto tempo (si diceva che lo sapremo solo nel 2073); nel frattempo, forse, ci chiederemo chi e che cosa abbiamo perso in tutti questi anni, mentre le nostre strade cadevano a pezzi e qualcuno parlava da lontano senza conoscere i luoghi che accolgono i famelici sogni europei.

Il lavoro di Rastello e di De Benedetti non è solo un reportage o una testimonianza geopolitica, ma rappresenta il racconto di un paesaggio e di un contesto deturpati dal continuo bisogno di altro, che già conosciamo ma che continua a sorprenderci, cioè la fotografia di uno stato dell’anima che ci viene proposto e imposto senza soluzione di continuità.

Sempre nel 2013 viene pubblicato con Derive Approdi ‘’A sarà dura. Storie di vita e di militanza no tav’’ a cura del Centro Sociale Askatasuna di Torino. Il libro racconta i grandi movimenti di massa che sono stati e continuano ad essere protagonisti di una lotta secolare che, al di là delle ragioni presentate, pongono direttamente o meno degli interrogativi che risultano sempre più spesso marginali nel racconto pubblico e mediatico ma che dovrebbero essere fondativi verso il modo in cui ognuno di noi si sente cittadino e si sente appartenente e rappresentato all’interno di un territorio: capire il ruolo e i significati che si celano dietro parole che lo scorrere delle vicende sembra dare per scontato ovvero, cosa vuol dire democrazia? Istituzione? Risorse? E sviluppo? Termini decisivi non solo per intendere cosa significa nell’Italia contemporanea la presenza di quell’opera ma anche necessari a sviluppare un coscienza economica, politica e ambientalista che si possa porre su basi consapevoli rispetto l’inevitabile presente.

Nel 2016, ancora, Wu Ming 1 pubblica “Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte No Tav”, edito da Einaudi. Questa è una testimonianza precisa e dettagliata di ciò che è stata la Tav per la contemporaneità, a livello prettamente strutturale ma anche sul piano sociale. L’autore infatti ci offre un enorme repertorio di materiali d’archivio, dati, documenti di sentenze e altre tantissime vicende giudiziarie, stralci di giornali, interviste e racconti di viaggi, all’interno di un’opera che può definirsi a tratti saggio, a tratti inchiesta e a tratti romanzo. La grandezza di questo racconto forse si trova proprio nel fatto di aver tenuto insieme la staticità dei fenomeni coinvolti raccontati senza contaminazioni e l’esperienza così come è stata vissuta da chi ha abitato quei luoghi cioè la descrizione intima della loro inquietudine, tramite ad esempio l’uso di inclinazioni narrative e tagli allegorici ripresi dall’horror che talvolta riportano a scenari cyber punk (l’infrastruttura in questione viene spesso raccontata come ‘’l’Entità’’), rimanendo però nella non-fiction e ricordandoci anche la chanson de geste.

Attraverso questo libro, Wu Ming 1 non solo aiuta a comprendere le particolarità della questione, ma soprattutto porta il lettore o la lettrice a conoscere le imprese di una comunità che non parla di depredare ma sempre e solo di condividere e partecipare, dando in continuazione esempi notevoli di autogestione nella storia dei movimenti italiani. L’opera apre uno spaccato estremamente rappresentativo del paese a partire da un microcosmo che restituisce chiaramente tutto ciò che negli ultimi venticinque anni circa ha sfiorato la pelle, i cuori e le sensibilità politiche di tantissime persone, a volte leggermente ed altre in modi più stravolgenti.

Oltre ai testi citati, particolarmente significativi, in questi anni sono stati pubblicati tantissimi altri libri, e poi articoli e scritti di vario genere che portano con sé le storie (bellissime) di sensibilità diverse che, volendo o meno, non raccontano solo individui, territori o pensieri ma più di tutto ci restituiscono un’Italia dimenticata che non si può ignorare per quante implicazioni ha comportato e per rispetto di chi in questa vicenda, che dopo più di venti anni non è più solo una vicenda, ci ha messo tutto e anche drammaticamente più di tutto. In quest’ottica la Tav diventa oramai corollario di una questione sociologica che si pone trasversalmente nella grande storia dei movimenti di massa italiani: un pezzo di storia che in quanto tale non si può rendere marginale di fronte a nessuna volontà politica che si possa definire democratica.

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