Storie di corpi e sabbia: “Lingua nera” di Rita Bullwinkel

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Pubblichiamo un pezzo uscito su Tuttolibri, l’inserto culturale della Stampa, che ringraziamo.

Secondo Julio Cortázar, laddove il romanzo possiede una struttura poliedrica, il racconto richiamerebbe la forma di una sfera; più precisamente, secondo lo scrittore argentino, «il sentimento della sfera deve preesistere in qualche modo all’atto di scrivere il racconto, come se il narratore, soggiogato dalla forma che assume, si muovesse implicitamente in essa e la portasse alla sua estrema tensione, cosa che fa, appunto, la perfezione della forma sferica».

Leggendo le storie brevi che compongono Lingua nera, la raccolta d’esordio di Rita Bullwinkel – uscita in Italia per Black Coffee, nella traduzione di Leonardo Taiuti – non sembra di avere sempre a che fare con una sfera; qua e là la scrittura di Bullwinkel insegue altre traiettorie, componendo piccoli o piccolissimi mondi frastagliati.

In tutti i racconti, però, si intravede una tendenza all’estremo; gli elementi che li compongono tirano in direzioni capaci di scaraventare il lettore nel territorio dell’impredivibilità, a volte persino della meraviglia. Del resto, prima di dedicarsi alla scrittura, Bullwinkel ha fatto diverse altre cose, tra cui dipingere o realizzare mobili con materiali di scarto, occupazioni che richiedono una certa familiarità con le forme, con gli incastri.

«Al sud il nostro peggior nemico sono i venti sabbiosi», uno dei racconti più sorprendenti di Lingua nera, è forse la storia che spiega meglio quanto detto fino ad ora: le forme, gli incastri, la tensione. E il soprannaturale, una presenza che è molto più di una sfumatura, e che richiama ancora Cortázar, il Cortázar di Casa occupata, dell’intero Bestiario.

Due fratelli, Gleb e Oleg, sono esiliati in una prigione sperduta; il primo chirurgo, il secondo scultore. Insieme, i due curano un altro prigioniero, a cui manca un pollice. L’azione combinata dei fratelli crea scompiglio in questa galera, senza tempo – il tono di questo racconto ha un tono da fiaba nera – e governata da un secondino smanioso di esercitare il suo potere, al punto da cavare gli occhi di un vecchio galeotto. A questo punto l’intervento di Gleb e Oleg sfocia nella magia, o nel miracolo strambo, e il secondino, sconfitto, non può far altro che farla finita.

Altri racconti della raccolta, da «Arpa» a «Le braccia sopra la testa» o «Arredamento», pur agganciati a un’atmosfera più realista, si muovono ancora su un sentiero sinistro, perturbante, con la sensazione continua che qualcosa di non detto si muova come in una corrente sotterranea. «Arpa» è la storia di una donna medio borghese, apparentemente realizzata, che di punto in bianco, ipnotizzata dal suono degli strumenti, vive un’avventura di qualche ora che fa salire a galla la sua scissione interiore, traumi mai rimossi; «Le braccia sopra la testa» racconta di due ragazzine, coetanee, compagne di scuola, che avviano un complesso ragionamento su autorità, sesso e potere partendo da una insana fascinazione per il cannibalismo.

In «Arredamento» viene descritta la singolare corrispondenza tra un prigioniero e una donna impiegata in un’azienda che vende divani; lui cerca di immaginare come sarà la sua casa una volta fuori, lei lo aiuta, fino a quando scopre qual è il reato del suo interlocutore, esplodendo in una reazione imprevedibile.

Altrove, in una raccolta che ha una sua compattezza tematica, radunata intorno ai corpi e a metamorfosi più o meno fantasmatiche, Bullwinkel ragiona sul senso dell’amore di coppia, sul desiderio di protezione, sull’infinità dei sentimenti, che possano sbocciare in squallidi bar di periferia durante l’adolescenza («Impasto fritto») o che riescano a sopravvivere alla morte del partner, riconfigurando un’esistenza, gettando una luce retroattiva, nuova, sul passato («Che cosa sarei se non fossi ciò che sono»).

Se la fortuna del racconto è ancora da esplorare, lo si deve a libri come Lingua nera, un esordio davvero convincente, ricco e variegato, dove può accadere che un serpente di città, aggrovigliato a un albero e infelice del suo stato, decida di assumere le sembianze di una pera; ed è questo l’incanto della letteratura.

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