Le molte gravi questioni lasciate irrisolte da Veltroni sindaco. La Roma di ieri e quella di domani.

di Christian Raimo

Finalmente, dopo undici anni, Walter Veltroni dedica un libro a Roma, Roma. Storie per ritrovare la mia città, e alla sua esperienza di sindaco. È un libro lungo, articolato, scritto con l’aiuto di Claudio Novelli, suo storico collaboratore, e con addirittura tre prefazioni: Renzo Piano, Gigi Proietti e il cardinale Matteo Zuppi. È il libro più esplicitamente politico che ha scritto, dopo che la sua produzione libraria negli ultimi anni è stata soprattutto di tipo narrativo. Ma il suo giudizio su quegli anni e sul suo lavoro sembra sbilanciato nell’autoelogio, e ridottissimo sulle autocritiche. Scrive che il sindaco di Roma è il mestiere più difficile del mondo, e che in certi momenti ha avuto paura di non farcela fisicamente e di fare la fine di Petroselli, morto sul lavoro. Lasciando un principio di carità rispetto alla difficoltà di un ruolo del genere, è interessante focalizzarsi sui nodi spesso ancora irrisolti, se non generati, dalle sue scelte politiche di allora.

Uno. Ripartirei dal 2008, quando Veltroni lasciava a metà mandato il ruolo di sindaco di Roma e si candidava a leader del centrosinistra, perdendo in un solo colpo la città e le elezioni politiche. Dopo 11 anni fa uscire il primo libro sulla sua esperienza da sindaco. Perché Veltroni e la sinistra tutta non riesce ancora a leggere quel 2008 come una gigantesca sconfitta?

Due. E poi andrei ancora più indietro. Al 2007, anno in cui nasce il Pd, c’è il discorso al Lingotto, il suo libro La nuova stagione, l’idea della “vocazione maggioritaria”, ma intanto a Roma c’è una situazione più complicata. Il 30 ottobre muore assassinata Giovanna Reggiani, è un episodio drammatico, Veltroni ovviamente lo ricorda nel libro.

Nel libro scrive: “Guai a cominciare con una caccia indistinta: è con i rumeni che delinquono che bisogna agire duramente. Non con tutti i rumeni, perché non tutti sono uguali. Così come gli italiani, del resto. Ma non ci si può girare attorno: la sicurezza è una grande questione nazionale, che riguarda in particolare proprio le grandi città.” I sindaci, da soli, non ce la possono fare a fronteggiare gli arrivi di massa, con migliaia di persone che si adattano a vivere dove capita, spesso in condizioni inaccettabili; se vengono sgomberate dal greto del fiume si trasferiscono da un’altra parte, e fin qui non ci si è potuto far niente perché la legge non lo ha consentito. E quindi è giusto che il «pacchetto sicurezza» del governo, contenente anche le disposizioni sulle espulsioni e i rimpatri nel senso da me auspicato, diventi un decreto d’urgenza, come lo stesso Romano Prodi decide di fare proprio alla luce di quel che è successo a Tor di Quinto”.

Ma il 31 ottobre 2007 dichiarava: “I prefetti devono poter espellere i cittadini comunitari che hanno commesso reati contro cose e persone […] L’Italia deve porre la questione riguardo ai flussi migratori dalla Romania in sede europea. […] In Europa bisogna starci a certe regole: non si può aprire i boccaporti e mandare migliaia di persone da un Paese all’altro». Marco Pannella commentava: «Il dolce Veltroni ha ispirato una cosa da non credere, un romeno ammazza una persona e il nostro governo si rivolge all’Unione Europea e al governo romeno come se questo fosse il rappresentante dell’aggressore”.

Quelle parole del 2007 pesarono allora, nella sconfitta culturale che generò la sconfitta politica. La retorica del securitarismo di sinistra fu un regalo gigantesco agli ex fascisti. Oggi i guasti di quel passaggio culturale si vedono ancora. È possibile oggi un ripensamento rigoroso, un’ammissione di responsabilità e un cambio di paradigma vero?

Tre. In Roma Veltroni parla del suo piano regolatore come un progetto di riqualificazione importante della città, usa la parola ricucitura tra periferie e centro, difende il progetto delle nuove centralità. Negli ultimi dieci anni quel modello urbanistico è stato molto criticato, da urbanisti come Italo Insolera o Paolo Berdini o Vezio De Lucia, da giornalisti come Francesco Erbani o Alberto Statera e anche da movimenti politici, che affermano che dagli anni 2000 in poi la formula del pianificar facendo abbia spianato la strada, letteralmente, all’invadenza dei costruttori, grazie ai quali abbiamo quartieri pensati malissimo come Ponte di Nona o Porta di Roma. Ma l’interrogativo più serio da tenere in considerazione è chiedersi cosa ha funzionato e cosa soprattutto non ha funzionato nel piano regolatore. Solo l’attuazione o anche parte dell’ideazione. E soprattutto se quella politica di dismissione di fatto del patrimonio pubblico venisse da lontano, da Rutelli o anche da prima di Rutelli, e ci potesse invece un’inversione di tendenza.

Oggi, infine, la domanda è ancora più dolorosa. Ossia come riparare a tutto questo? Ora che la rendita immobiliare muove molta meno economia romana, che idea di urbanistica immaginare per Roma? Perché un’altra domanda che ingenuamente molti romani si fanno: Perché se non aumentano gli abitanti furono aumentate così tanto le cubature? Le statistiche approssimative dicono che dall’inizio del mandato fino al 2008 a Roma siano stati costruiti 70 milioni di metri cubi di cemento.

Così come rispetto allo sviluppo urbanistico di Roma molti si chiedono perché i politici di questa città abbiano una sorta di sudditanza nei confronti dei costruttori, da Toti a Caltagirone a Mezzaroma… Nel libro Veltroni racconta l’idea di un teatro sul modello shakespeariano a Villa Borghese come puro mecenatismo. Toti fu il mecenate di quel teatro. Ma a distanza d’anni e con la laicità di uno sguardo prospettico, anche quel teatro, il Globe, che sembra il simbolo di un accordo tra costruttori e città, viene da domandarsi se fosse necessario. Una villa Borghese, amore dichiarato di Veltroni che ambienta anche il suo ultimo libro lì e che più volte ha espresso come il suo orgoglio da sindaco sia stata proprio la riqualificazione della villa, e dall’altra parte le nuove centralità, manifestazione plateale della devastazione urbana.

Quattro. Nel libro Veltroni insiste nel ricordare “la cura del ferro” come possibilità fondamentale per i trasporti urbani. Ma a parte il tram 8 con Rutelli e la Metro C, con tutti le discussioni che sappiamo, non ci sono stati molte opere di svolta per questa città. Quella della mobilità insieme a quella dei rifiuti sono le due questioni davvero dirimenti su questa città.

Cinque. Sui rifiuti, Veltroni rivendica un aumento significativo della raccolta differenziata (dall’8 al 19,5), ma non fa cenno alle difficoltà che la discarica di Malagrotta portava a Roma, né nomina mai Cerroni e il patto mefitico che ha generato e sta ancora generando il disastro che oggi vive Roma. Inoltre rivendica la costruzione del tmb Salario, che è stato oggetto come sai di una delle battaglie ambientaliste più importanti in questi anni.

Sei. Il debito di Roma è aumentato durante il mandato di Veltroni di un miliardo e 21 milioni in più rispetto a Rutelli, arrivando a 7 miliardi. Nel libro Veltroni afferma che è stata una crescita strutturale. I suoi critici dicono che da una parte invece che in piccola parte sono state le kermesse e le consulenze a far decollare il passivo del Campidoglio; quanto le operazioni finanziarie, nate forse sotto i migliori auspici, ma concluse nel più disastroso dei modi, con una previsione di tassi d’interesse lontanissima dalla realtà e un accumulo di spese esorbitanti da pagare (fino a che poi, dal 2008, si è deciso per la gestione commissariale del debito).

Un articolo di quest’anno del Sole24ore ma anche diversi pezzi recenti di analisi del lungo periodo ricordano come nel 2004 il Campidoglio collocò sul mercato il maxi-bond comunale “City of Rome”, da 1,4 miliardi di euro con restituzione integrale alla scadenza (bullet) il 27 gennaio 2048. Ma 15 anni fa era un altro mondo, i tassi erano decisamente più alti e il bond paga un interesse del 5,345%, cioè una spesa annuale di 75 milioni di euro, che a fine corsa fa salire fino a 3,6 miliardi il prestito iniziale da 1,4.

Sette. Mafia capitale arriva e stravolge tutti i rapporti tra terzo settore e politica nel centrosinistra, mandando all’aria completamente un dispositivo che invece fino a quel momento sembrava funzionare. Perché nessuno in quell’amministrazione se l’aspettava? Quali sono state le ragioni per cui si è generato quello che di fatto era un sistema di corrutela organico a un pezzo di amministrazione?

Veltroni non affronta il tema, e sull’aspetto più problematico è sbrigativo: la questione del suo collaboratore stretto Luca Odevaine – indagato e condannato per quell’inchiesta – che nel libro liquida in poche righe. Gli interrogativi inevasi lì sono: come mai nessuno ha controllato, nell’assunzione in un ruolo così delicato, non avesse una laurea, una formazione adeguata, che avesse cambiato nome per questioni legali.

Otto. Sui campi rom Veltroni scrive che vennero istituiti due villaggi attrezzati in zona Castel Romano-Pontina.

“Stessa sorte, ancora, per i campi di via Luigi Nono a Tor Sapienza, di Saxa Rubra e di Tor Pagnotta, di Villa Troili e di via dei Gordiani. È stato anche ampliato il villaggio attrezzato di Lombroso e creato il villaggio di via di Salone: quello che era uno dei campi rom più grandi e ingestibili è stato trasformato con prefabbricati, spazi sociali comuni e attività di gestione e controllo. Complessivamente, tra il 2001 e il 2006 sono state sgomberate 4392 persone. Solo nel 2007 anche di più: 6500. Negli ultimi due mesi, in particolare, sono state sgomberate – sempre individuando soluzioni alternative, ovviamente”.

Fa impressione che nel 2019 – con l’evidente fallimento di quel progetto politico – quei campi di segregazione possano essere ancora definiti “villaggi attrezzati”. Un altro dato significativo che manca nel libro è quanti soldi vennero spesi per gli sgomberi e per le riallocazioni.

Nove. Ancora sugli sgomberi, oggi se ne parla molto. Veniamo dallo show salviniano di via Cardinal capranica. Uno dei primi slogan di Veltroni sindaco era “Nessuno resti solo” che, nella prima fase (2001-2004), portò a triplicare nella città i mille posti-letto per la pronta accoglienza di senza tetto, minori stranieri non accompagnati, immigrati, ragazze madri. L’altra faccia dell’accoglienza prevedeva però gli sgomberi di campi spontanei, occupazioni e baraccopoli. Nessuno sa con contezza quanti siano stati. Però già qualche anno dopo un manifesto del centrosinistra per le elezioni comunali 2006 rivendicava: “A Roma sono state spostate 8.000 persone dagli insediamenti abusivi e chiusi decine di campi Rom”, firmato, da Ulivo, Udeur di Mastella, Rifondazione, Verdi e Radicali.

Secondo l’Associazione 21 Luglio uno sgombero costa circa 1.200 euro a persona. Nel suo primo quinquennio, dopo ogni sgombero il Campidoglio apriva una nuova struttura per accogliere parte degli sfollati con soluzioni emergenziali, mentre gli altri si arrangiavano in nuove occupazioni abusive. (Tra l’altro, coordinatore degli sgomberi a tappeto di tutte le realtà marginali era sempre Luca Odevaine). Come sarebbe una politica sugli sgomberi di una giunta di sinistra oggi? Questo è un interrogativo veramente dirimente per la futura politica romana.

Commenti
5 Commenti a “Le molte gravi questioni lasciate irrisolte da Veltroni sindaco. La Roma di ieri e quella di domani.”
  1. paolo lupattelli ha detto:

    VELTRONI? OTTIMO SINDACO MA ANCHE NO !

    Ottimo l’articolo di Raimo. Se possibile, un chiarimento o una richiesta di approfondimento. Ma chi era il sindaco di Roma nel 2003 quando CasaPound occupa lo stabile di via Napoleone III? Chi ha firmato la delibera di Giunta che nel 2007 riconosce l’occupazione dello stabile di via Napoleone III e di altri in periferia? Non si capisce, almeno io non capisco, la benevolenza mediatica che è da sempre riservata a Veltroni: come politico, come scrittore, come regista, come direttore de L’Unità, come conoscitore di cinema e come esperto di figurine sui calciatori. Campione dei piacioni e dei buonisti va bene ma è possibile che alla fine per lui o per la sua squadra o le sue scelte politiche risultino alla lunga sempre perdenti. Tutte, a cominciare dal Lingotto in poi nonostante le corsie preferenziali da lui sempre solcate. E’ possibile senza mai pronunciare una parola di autocritica dichiarare “di non essere mai stato comunista” di giudicare Berlinguer passatista e fallito (politicamente) e Craxi modernizzatore e vincente salvo poi adoprarsi per un documentario elogiativo sul segretario stesso? Veltroni ci fa venire in mente quei bambini che a scuola cavalcavano sempre il cavallo vincente nel calcio o in altri sport e, come accredito delle proprie scelte, raccontavano sempre di qualche parente che li aveva indirizzati nella scelta vincente. Tifo Juve perché negli anni 60 vinceva spesso ma anche Roma perché è la squadra della mia città ma anche Lazio, ma anche Milan ma anche Inter e così via. Ma anche. Nel suo bel libro “Il sarto di Ulm” Lucio Magri ricorda un passo di un articolo di Norberto Bobbio apparso su La Stampa di Torino. Scrive il filosofo, coscienza critica della sinistra italiana sorpreso dall’eccesso di zelo nel demolire la storia e le idee del Partito: “Mi domando se ciò che avviene nel Pci non sia una vera inversione di rotta”. Ora con il senno di poi, è anche troppo facile dare una risposta a questa domanda.

  2. sergio falcone ha detto:

    Walter Veltroni?… “Sed libera nos a malo”. Lui e tutti coloro che “Io? Mai stato comunista”. Se fossimo un paese civile, basterebbe solo questa affermazione a sconfessarli e, invece, continuano a pontificare e hanno pure il loro bel codazzo. Ipocriti.

  3. Fabio Prasca ha detto:

    Grazie Raimo! Un ottimo ragionamento “dati alla mano” per dare un colpo all’autocelebrazionismo veltroniano. Molto apprezzato il riferimento al Globe Theatre come simbolo di un accordo tra costruttori e città.

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