Quattro racconti di Emanuele Modigliani

Pubblichiamo quattro racconti di Emanuele Modigliani, da “Il mondo ha occhi di pietra”, Edizioni Ensemble, 2019.

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Brividi

Adesso si alza (la moto) e si alza ancora quando accelerano, e scorrono via da un semaforo a un altro. È come un lampo di luce in un brivido e poi si fermano e parlano e i motori scoppiettano ritmici, si parlano anche loro.
Al verde, di nuovo, la ruota davanti perde contatto e quella dietro invece morde per terra e procura un’impennata folle, estrema. La spinta serra l’anima nell’impossibile, e poi restituisce tutto, potenziato, in addizione alla gioia del sangue che preme nelle vene giovani dei ragazzi, i piloti.
Siamo in città, una via consolare, domenica mattina. È tutto pericoloso, contro la legge, ai limiti del mondo.
Adesso piegano a destra, poi a sinistra, sfiorano col ginocchio l’asfalto. Le macchine vengono superate facilmente, sono scatolette lente. Ed i cavalieri evaporano via come improvvise visioni.
Ed eccoli avvicinarsi a un gruppo di case isolate. Ora procedono piano, affiancati. Alzano la visiera. Staccano una mano dal manubrio.
– Com’è che si chiama questa? –
– Greta –
– E la tua? –
– Giorgia. –
Girano in uno stradello e si fermano davanti a una grande casa bianca con cancello, giardino, cani.
– Siamo noi. – dicono al citofono.
Escono due ragazze. Sembrano carine. Ciao, ciao, piacere, piacere.
– Dovete tenervi forte. –
– Sì, lo sappiamo. –
– No, non lo sapete, dovete tenervi forte. Dai, in sella. –

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La vetta

Le spinte tra la folla. Gente che si accalora e che si accalca. La gara è finita da un pezzo. Il potere delle luci di una serata gloriosa. Non sul podio ma ‘primo’ sul podio. E dicevano che non poteva e che la sua auto non era all’altezza.
Il messaggio per lei dice: – Arrivo, tra poco, aspettami. –
L’elicottero è in ritardo. Già cominciava l’angoscia di avere risposto a tutti e di non avere più nulla da dire.
Il volo che lo cattura in un affrettarsi a testa bassa sotto le eliche vorticanti dice: salvatemi, salvatemi, da questa roba. Finalmente la quota di sicurezza sopra quella maledetta città. Spegne il telefono e si allunga sulla poltrona.
La virata alta e tesa sopra i grattacieli espone la metropoli luccicante come da una astronave: favolosa e terribile. Sull’orlo di un sonno alcolico, un drink freddo sulla stanchezza è quel che ci vuole, l’uomo si ritrova tra guerre di eroi con spade e armature dorate che combattono infaticabili su campi rossi di sangue.
Si sveglia all’impatto dei pattini dell’elicottero sul prato della sua villa.
– Mi dispiace –
– Non credo, hai vinto. –
– Mi dispiace di essere in ritardo. –
– Ti ho visto in tv. Sei sempre antipatico in tv. –
– Li odio, li odio tutti, tutti. Mi piace solo correre, solo correre. –
– Lo so. Vieni. È finita. –

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Una bionda

È una bionda che lo lascia vinto, battuto.
È una bionda che lo ha stregato. Principalmente è tenerezza. C’è la grazia di un avvocato donna che vince battaglie in tribunale, veste elegante, e per lui invece è solo, soltanto, fanciulla. Egli stesso è solo, soltanto, fanciullo vicino a lei.
È arrivata tardi, dopo, con calma, ed egli ha già ordinato cibi che sono sul tavolo ma non vengono toccati. Forse non verranno toccati.
Non è corteggiamento. C’è un vederla e rivederla e aspettare un altro appuntamento. Non ci sono progetti: è una rinuncia. Un eterno adesso.
Basta respirarla, per poco.
Sono seduti in una sospensione di prospettive. Diversità che si percepiscono unite di straforo, al di fuori, in modo anomalo.
Lei ha accettato il suo amore per istinto e in silenzio. Senza dubbi. L’aspetto più strano è questo: il silenzio. Sanno e poiché sanno tacciono.
Non c’è nulla di consumato, per il momento.
La città si lascia ascoltare con il suo rombo di traffico remoto: sirene e motorini, dietro la vetrata del locale esposta alla strada affollata.
Ed ecco un cameriere che si avvicina perplesso. È passata quasi un’ora. Costoro in effetti non mangiano e non parlano. Stanno.

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Il soffio

Viveva con il vento e le mani di lei.
Nei porti scaricava i frutti profumati dell’andare e venire vendendo pezzi e fette di mondi ad altri mondi. Ritagliava casse di oggetti. Più o meno preziosi.
Con uomini a buon mercato trasportava. La dea lo contornava, lo turbava, e gli dava il soffio. Si mostrava nel vento. Lo avvolgeva.
Essa non aveva che volto di donna. Gli oceani erano viola e i cieli dei suoi viaggi di un cobalto mai visto. Egli tentava di descriverli nei suoi diari, senza riuscirvi.
La vedeva nelle acque più lontane. Spesso la sognava.
Aveva fatto incidere sui fianchi della nave il suo nome. Impronunciabile. E sulle vele ne aveva fatto ricamare il volto, un tono di lilla impercettibile all’occhio, invece visibile. In certi giorni di sole brillava.
I compagni sapevano del suo male, ma assistevano alle fortune di venti miracolosamente favorevoli e ne trovavano ragione, nelle proprie perdute anime di bambini, in quel ricamo invisibile di donna inciso a fuoco sulle vele.
Impararono ad adorare la dea del capitano.

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