Il ministero di Sisifo. Ovvero davvero basta con i concorsi presuntamente “straordinari”.

di Michelangelo Pecoraro

In questi giorni, come molte altre persone interessate al discorso pubblico sulla scuola, ho discusso via social del concorso straordinario per insegnanti in dirittura d’arrivo, dei problemi che potrebbe risolvere, comportare e causare. La rottura nelle trattative tra il Miur e i sindacati ha portato questi ultimi a proclamare una giornata di sciopero, per il prossimo 17 febbraio. Per voglia e necessità intellettuale, riprendo la discussione. Fonderò il mio ragionamento principalmente sulla bozza di decreto disponibile su alcune testate online di settore (in alcuni punti già modificata, a seguito dei primi confronti), su alcuni argomenti a me offerti da esponenti e simpatizzanti dei sindacati maggiori, soprattutto per spiegare le ragioni dello sciopero, e sulla conoscenza e l’esperienza che ho di questo ambito.

Preliminarmente, però, è necessario sgomberare il campo dai fraintendimenti e chiarire che purtroppo l’intera discussione è viziata da eventi, dinamiche e comunicazioni di cui non si può non tenere conto.

Per esempio, l’interlocuzione tra il Miur e i sindacati è stata condotta da tre diversi ministri: Bussetti per primo, poi Fioramonti e ora Azzolina. Ogni passaggio di consegne è stato accompagnato da cambi di posizione e di argomenti, rispetto a quanto detto dal ministro precedente o addirittura rispetto a quanto concordato tra le parti. Decisamente un modo poco corretto di condurre le trattative. Ancora più importante: il motore primo di questo processo è una sentenza della corte europea, riguardo all’ingiustizia che lo Stato italiano ha commesso e commette nei confronti di molti lavoratori della scuola. In pratica, lo Stato ogni anno interrompe i rapporti di lavoro con decine di migliaia di insegnanti prima dell’estate e li ripristina in autunno, nonostante la consapevolezza riguardo alla necessità di riassumerli per attuare il diritto alla scuola di tutti gli studenti e le studentesse. Tragicamente paradossale, in un periodo in cui lo Stato stesso, legiferando sul lavoro, limita o mostra di voler limitare i contratti a tempo determinato e altri tipi di contratto che possono essere usati come strumento di ricatto continuo sui lavoratori.

Non dimentichiamo, poi, la proposta dello Stato sulla quale si discute: mettere sotto contratto a tempo indeterminato una parte della grande massa di lavoratori precari che ogni anno lavora nella scuola pubblica. In particolare, si parla di circa 24.000 posti per questa specifica graduatoria, a fronte di una stima di circa 100.000 insegnanti che ogni anno insegnano nelle scuole pubbliche italiane con contratti dalla vita breve o brevissima.

Il fatto stesso che il concorso, al momento, sembri riservato esclusivamente a chi ha insegnato in scuole statali lascia aperto un grande buco, cioè quello relativo a chi insegna in una scuola “paritaria” e che, in quanto tale, fornisce un servizio che è dallo stesso Stato considerato alla stregua di quello fornito negli istituti pubblici.

Passiamo ai punti di attrito che hanno determinato l’interruzione della trattativa e la proclamazione dello sciopero:

  • La possibilità, per gli insegnanti di sostegno con almeno tre anni di esperienza, di partecipare al concorso straordinario per i “posti comuni”, cioè per i ruoli da insegnante specificamente previsti per le varie classi di concorso.
  • Lo svolgimento del concorso in sé, soprattutto riguardo alle modalità e ai punteggi da attribuire ai diversi aspetti valutati nel corso della procedura.

Entriamo nel dettaglio. Sul punto 1, la posizione dei sindacati sembra netta: gli insegnanti di sostegno hanno alle spalle dei percorsi che li renderebbero già idonei a partecipare ai concorsi per determinate classi di concorso. Se hanno fatto il lavoro come insegnanti di sostegno, anziché come insegnanti nelle rispettive classi di concorso, è stato anche per dare una mano allo Stato italiano, vista la necessità di quelle figure. Dunque, devono aver diritto di partecipare al concorso straordinario. Secondo i sindacati, inoltre, la norma che permetterebbe agli insegnanti di sostegno di partecipare al concorso straordinario per i “posti comuni”, prima che venisse messa in discussione da Azzolina, era stata già approvata da Fioramonti.

Il fatto che il lavoro svolto in classe – quello dell’insegnante di sostegno – sia diverso da quello per cui queste persone concorreranno – l’insegnante di ruolo di alcune discipline specifiche – non sembra turbare i sindacati, i quali sottolineano come si parli comunque di persone che dovranno avere titoli di studio adeguati alla classe di concorso scelta. Eppure, leggendo la norma, si legge una misura che reputo almeno di buon senso, cioè il fatto che almeno uno dei tre anni di esperienza in classe debba essere stato nelle discipline per cui poi si concorrerà. In soldoni: se hai fatto almeno due anni di sostegno e uno di matematica, avendo una laurea che ti permette di insegnare matematica, pure in assenza dell’abilitazione da insegnante, potrai partecipare al concorso per la classe di concorso relativa all’insegnamento della matematica.

Il Miur sembra intenzionato a far valere questa norma. La risposta del Miur che si può leggere in alcune testate specializzate, difatti, è questa: «Il servizio svolto su posto di sostegno in assenza di specializzazione è considerato valido ai fini della partecipazione alla procedura straordinaria per la classe di concorso, fermo restando quanto previsto alla lettera b), ovvero il possesso di almeno un anno di servizio nella specifica classe di concorso o nella tipologia di posto».

Con il punto 2 entriamo nel vivo delle dinamiche concorsuali. Le questioni sono sul valore da assegnare all’esperienza pregressa (cioè agli anni di presenza in aula) e sulle modalità delle prove da svolgere. A quanto pare, ci si era accordati, anche sulla scia di precedenti concorsi straordinari (per esempio quello del 2018 per la scuola dell’infanzia e primaria) su una percentuale di 70 e 30, da conferire rispettivamente agli anni di servizio (70 %) e alle prove stabilite (30 %). L’unica prova proposta dal ministero, a quanto pare, è stata un test a risposta multipla, inizialmente pensato con 80 quesiti cui rispondere in 80 minuti; in un secondo momento, la proposta ministeriale, accettando alcune obiezioni dei sindacati, è scesa a 70 quesiti in 80 minuti. L’idea della prova con risposta multipla non piace ai sindacati che – giustamente – hanno chiesto un’altra prova, meno nozionistica, o in alternativa la pubblicazione della banca dati da cui si attingerà per scegliere le domande – proposta perlomeno discutibile.

Avendo già dibattuto online di questi temi, mi sembra di aver capito che le distanze siano soprattutto nel come intendere il senso della valutazione selettiva e di come impostare il rapporto tra le legittime rivendicazioni lavorative di chi insegna o vorrebbe insegnare e le legittime necessità didattiche e pedagogiche della scuola, degli studenti e delle studentesse. Se dal punto di vista del rapporti di lavoro, difatti, non ci sono dubbi sulla coscienza sporca dello Stato italiano, che ogni anno consente a un esercito di precari di insegnare in aula, pur senza la richiesta abilitazione (per esempio attraverso la “terza fascia” delle graduatorie di istituto o le “messe a disposizione”, ma ci torniamo tra poco), dal punto di vista degli studenti e delle studentesse la cosa non è così pacifica: quello dell’insegnamento non è un lavoro che si svolge in solitaria, ma prevede uno strettissimo contatto con il pubblico – un pubblico, oltretutto, in formazione anche riguardo ai propri diritti di cittadinanza e quindi non sempre in grado di farli rispettare al meglio – e prevede la gestione di una dose di potere non indifferente, se non altro dal punto di vista soggettivo delle persone che dovranno sottostare a questo potere. Per parlare di questo, allora, bisogna allargare un po’ lo sguardo.

Parto con alcune ovvietà, ma mi pare corretto fondare il mio ragionamento su dati con cui si possa essere più o meno tutti d’accordo: insegnano nelle aule italiane insegnanti molto bravi, in grado non solo di istruire bene rispetto alle materie, ma anche di motivare, educare, insegnare agli studenti a riconoscere le proprie emozioni, in grado di stimolare alla riflessione e ai sogni, e insegnanti inadatti o addirittura cattivi, che non solo non riescono a istruire rispetto alle materie, ma danneggiano la psiche degli studenti e delle studentesse, sono incapaci di gestire il gruppo classe, di motivare gli studenti, di comprenderne i problemi.  Gli insegnanti sono i primi a lamentarsi del livello di alcuni colleghi: basta conoscere un po’ il mondo della scuola, oppure leggere qualcuno dei commenti sotto agli articoli delle pagine social di settore. Ci sono dirigenti scolastici attivi e intelligenti che riescono a intervenire, e poi ci sono scuole in cui i dirigenti sono meno propensi a intervenire o addirittura sono parte integrante dei problemi.

Per intervenire nelle situazioni di palese incapacità non ci sono molti strumenti, soprattutto quando i dirigenti scolastici sono passivi o assenti. Gli ispettori, quelli teoricamente preposti a controllare anche queste cose, normalmente, si occupano di controllare solo gli adempimenti burocratici: controllano che il registro sia ben compilato, controllano le presenze degli insegnanti e degli studenti, eccetera. In questo quadro, se non si modifica la possibilità di verifiche in itinere sulla qualità della didattica, il momento dell’ingresso nelle scuole o quello della modifica dei rapporti di lavoro sono praticamente gli unici momenti in cui esista, per ora, una possibilità di verificare le capacità didattiche degli insegnanti. Sono, quindi, momenti importantissimi e che andrebbero gestiti, secondo me, con uno sguardo più ampio rispetto alla sola attenzione per l’impostazione dei rapporti di lavoro, pure fondamentali.

Nel concorso straordinario la valutazione è meno esaustiva, quindi meno corretta. Questo è un dato di fatto difficilmente discutibile. Un conto è il metodo valutativo di un concorso ordinario, per esempio nel prossimo si verrà valutati attraverso un test preselettivo, due prove scritte e una orale con simulazione di lezione, un altro è quello che sarà usato per il concorso straordinario, ossia assegnare punti in base a quanti anni si è stati fisicamente in aula (a prescindere da cosa si sia fatto, che non viene verificato in alcun modo) e in base a un test a risposta multipla. Le modalità valutative del concorso straordinario rischiano di permettere (non è detto che lo facciano, ma di certo hanno più possibilità di farlo) che continuino a insegnare nelle scuole, a tempo indeterminato e in assenza di future valutazioni in itinere, insegnanti meno preparati, rispetto alla modalità concorsuale ordinaria.

Dunque, per favorire la correttezza nei rapporti di lavoro di chi già insegna – cosa giusta – si dà luogo a due effetti egualmente negativi per il mondo della scuola: da un lato quanto appena detto, cioè che si assumono a tempo indeterminato persone che hanno più possibilità di avere una preparazione incompleta (essendo state valutate in modo incompleto e incorretto) o di avere principi pedagogici personali difficilmente condivisibili (per esempio, come può emergere da una valutazione incompleta e incorretta la possibilità che l’insegnante abbia un carattere dittatoriale e anti-dialogico nei confronti degli studenti?); dall’altro – cosa, secondo me, ancor peggiore – si creano le premesse per perpetuare questo stato di enorme precarietà nel mondo della scuola.

Vorrei soffermarmi su questo secondo punto, secondo me essenziale per comprendere la portata distruttiva dei concorsi “straordinari” e che mi piacerebbe potesse essere preso come uno stimolo alla riflessione per i sindacati. Scrivo straordinario tra virgolette perché, ormai, si tratta di una prassi consolidata: con i concorsi ordinari si assumono meno persone di quanto necessario; dunque, nel corso degli anni, visto che le scuole vengono costrette ad assumere insegnanti (abilitati e non abilitati per l’insegnamento) in qualsiasi modo, pena l’impossibilità di far svolgere regolarmente le lezioni, si accumula un esercito di precari. Così facendo, per qualche anno, lo Stato risparmia un po’ di denari. Arrivati a una certa massa di precari, i sindacati si fanno più insistenti e combattivi: i supplenti sono troppi, i precari sono aumentati a dismisura… Et voilà, si fa una trattativa tra Stato e sindacati per “stabilizzare” un po’ di precari. Quanti concorsi “straordinari” bisogna vedere perché cessino di essere considerati straordinari?

Chi non conosce bene il mondo della scuola, a questo punto, potrebbe giustamente chiedere: ma come è possibile che entrino a insegnare a scuola persone non abilitate all’insegnamento? Non dovrebbe essere un requisito fondamentale?

Questo è proprio uno dei punti più interessanti – anche perché se ne discute assai poco – della questione. Dato che lo Stato e i ministri dell’istruzione sanno di assumere meno insegnanti di quanto sia necessario, hanno previsto degli strumenti per ovviare alla carenza strutturale. Parliamo della “terza fascia” delle graduatorie d’istituto, ossia delle liste di nomi di persone che vogliono insegnare nelle scuole e che danno alle scuole i propri nominativi in periodi stabiliti dal ministero, e delle “messe a disposizione” che si possono inviare liberamente in qualsiasi momento per segnalare la propria disponibilità alle scuole e da cui le scuole possono attingere una volta esaurite le graduatorie territoriali. Queste persone non devono essere “abilitate” a insegnare, ossia non devono aver vinto alcun concorso per entrare in cattedra, né ordinario né straordinario. In pratica, sono laureati che mai nessuno ha valutato per le loro capacità didattiche. Devono essere persone laureate e, aggiunta degli ultimi anni, devono aver racimolato, in un modo o in un altro, 24 crediti formativi universitari in materie come pedagogia, antropologia o psicologia. Su questi 24 crediti, purtroppo, si potrebbe scrivere un altro articolo più lungo di questo. Dirò, in breve, che il Miur ha abilitato al rilascio di questi crediti anche enti dalle dubbie capacità formative che si fanno pubblicità su internet facendo a gara nel promettere l’ottenimento dei 24 cfu nel minor tempo possibile, “senza sforzo e impegno”.

Queste persone sono una ampia fetta di quelli che chiamiamo “precari dell’insegnamento”. Il mio dubbio è questo: come mai i sindacati non lottano per abolire questo strumento di creazione del precariato? Perché lo sciopero si indice sui punti di discussione riguardo al concorso straordinario e non si dice nulla sul fatto che, contemporaneamente, si sta dando il via alla creazione di nuovi eserciti di insegnanti precari? Non si vede questo paradosso, per cui da un lato si lotta per stabilizzare e dall’altro si permette senza lotta di precarizzare?

Proseguo il ragionamento con la prima obiezione che può venire in mente. Ma allora, se impedissimo di insegnare a queste persone, chi andrebbe in aula a fare lezione?

Io, purtroppo, ho il vizio di essere un tantino deciso su alcuni punti di principio. Non pretendo che la mia risposta sia quella giusta, ma ne ho una: non dovrebbe andarci nessuno, a insegnare nelle scuole pubbliche, se non passando attraverso un concorso ordinario.
Preferirei causare un disagio per qualche mese a tante famiglie italiane, svegliandole dall’inconsapevolezza di questo enorme problema. A fronte di aule vuote per alcuni mesi e di figli che non possono fare lezione a scuola, forse – forse – il disagio sarebbe maggiore rispetto a quello causato da uno sciopero? Forse, quando il problema è diventato così strutturale, solo una presa di posizione forte e diretta può influire sulle possibilità di cambiare. Anche perché, ormai, nemmeno un ministro che si dimette dopo pochi mesi dall’insediamento, perché non ha ottenuto i finanziamenti minimi per mandare avanti la baracca, fa più notizia o scalpore. Due giorni di commenti sui social e poi via, sotto col prossimo.
Come se non bastasse, per concludere, voglio aggiungere al ragionamento un tassello che ritengo importantissimo e che contribuisce pesantemente a modificare in peggio l’intero mondo lavorativo scolastico: molti istituti privati e paritari (non tutti, chiaramente, e non posso nemmeno scrivere “la maggior parte” perché, a quanto ne so, non esistono studi in materia che ci diano dati esatti) sfruttano questi problemi divenuti ormai strutturali. Visto che il sistema di lavoro degli insegnanti della scuola pubblica prevede l’esistenza di una graduatoria con punteggio, per il lavoro ma anche per la scelta della scuola in cui insegnare, molti istituti sfruttano la possibilità di “elargire punteggio e annualità di insegnamento” agli insegnanti per pagarli meno o addirittura non pagarli, per fargli digerire contesti di lavoro disagevoli o intimidatori, per attirarli in luoghi in cui la loro professionalità sarà magari avvilita.

Avallando la scelta del concorso straordinario e riaprendo la terza fascia delle graduatorie di istituto, lo Stato e i sindacati stanno fornendo argomenti validissimi a tutti i diplomifici privati o paritari per sfruttare qualche altra decina di migliaia di insegnanti nei prossimi anni.

Eccolo, in breve, il grande problema di avallare concorsi “straordinari”. Con una mano lo Stato e i sindacati stabilizzano un certo numero di precari, dall’altro si fa finta di non guardare mentre salgono in cattedra nuovi eserciti di laureati non abilitati che, tra uno o due anni, diventeranno i nuovi precari da salvare, causando nuove discussioni, un nuovo bailamme di litigi sui social, di articoli, di dichiarazioni del ministro di turno e dei sindacalisti di turno. Perché non si evita alla radice tutto questo? Perché i sindacati non lottano per evitare che si crei il precariato, anziché lottare per stabilizzarlo anno dopo anno? Perché si stanno riaprendo ai neolaureati le possibilità di insegnare senza averli sottoposti a un percorso di formazione sensato, visto che poi c’è la possibilità che lavorino qualche anno e passino ad avere un contratto a tempo indeterminato approfittando del prossimo concorso “straordinario”?

Ecco il triste Ministero di Sisifo.

Commenti
4 Commenti a “Il ministero di Sisifo. Ovvero davvero basta con i concorsi presuntamente “straordinari”.”
  1. carmelo ha detto:

    17 marzo

  2. carmelo ha detto:

    molto di vero, molto di giusto, molto di (falsamente.) ingenuo.
    sono un dirigente scolastico “di montagna”, ho 12 scuole sparse sull’appennino emiliano, 5 di esse, senza precari, chiuderebbero.
    Poi parliamo di tutto, per carità. Il 70/30 è persino ridicolo,, lo so; ma Io ai “miei” precari, che tengono aperte scuole altrimenti chiuse, e lo fanno benissimo, darei una medaglia, oltre che un ruolo. Li vorrei garantire, vorrei potermi assumere la responsabilità della “chiamata diretta” . Ma il mio parere non lo chiede nessuno. Lo dico lo stesso ogni tanto nelle assemblee dei sindacati che hanno indetto lo sciopero, che mi tollerano perchè sanno che alla fine quel che chiedo è una “sanatoria”, ma assumendomene io ogni responsabilità.
    Comunque contento che minima e moralia scenda così in dettaglio, poche tesate lo fanno

  3. carmelo ha detto:

    testate

  4. alessia ha detto:

    Perfettamente d’accordo e finalmente qualcuno ne parla in termini sensati.
    Aggiungerei un altro dramma nel dramma. L’idea che insegnare nella scuola sia un lavoro sicuro, statale, “il posto fisso” fa avvicinare alla didattica gente che non è assolutamente portata a stare in aula (in particolare questo avviene al Sud data la cronica carenza di lavoro). Questo inficia molto sulla qualità della didattica e il fatto che si possa essere chiamati dalla terza fascia senza nessuna esperienza, apre le porte veramente a tutti, basta avere un punteggio decente. Purtroppo però se non ci fossero i precari della terza fascia, la scuola non andrebbe avanti. In una situazione del genere, data l’esasperante mancanza di concorsi, per la terza fascia io sostengo che un minimo di selezione si possa fare: al di là dei titoli di studio, ci sono le esperienze personali a parlare per noi, le nostre esperienze lavorative attinenti potrebbero fungere da selezione.
    Ultima considerazione: premesso che non farei distinguo tra concorso ordinario e straordinario, io reputo proprio il meccanismo dei concorsi ormai vetusto (almeno per quanto riguarda la scuola). Siamo plurilaurati, con master, dottorati, corsi di formazione. I concorsi nozionistici all’italiana non valutano proprio un bel niente. Potevano avere un senso negli anni ’80, quando a scuola entrava gente con il solo diploma (!), oggi siamo ultraformati già in partenza. Preferirei una selezione basata su curriculum personale, anno di prova e tesina, altro che concorsone.

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