Stephen King dal libro allo schermo: “Carrie”

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Pubblichiamo un estratto dal libro Stephen King – Dal libro allo schermo, a cura di Giacomo Calzoni, in uscita per minimum fax, che ringraziamo.

Brian De Palma: Carrie – Lo sguardo di Satana (1976)

di Pier Maria Bocchi

«Dopo averne comprato i diritti mi chiesero: “Chi sceglieresti come regista se avessi la possibilità di chiamare qualcuno?” Io risposi: “C’è questo tizio che si chiama Brian De Palma, ha fatto un film intitolato Le due sorelle. Era enormemente spaventoso”».

All’epoca della prima trasposizione cinematografica di un suo testo, Carrie, King ha fiducia: è d’altronde agli inizi. Ma di De Palma sono già usciti nelle sale Il fantasma del palcoscenico e Complesso di colpa, e il suo stile, la determinazione formale, il piglio estetico, sono evidenti. «Nel romanzo, Carrie distrugge l’intera cittadina sulla via del ritorno. […] Ciò non accade nel film, principalmente perché il budget era troppo modesto. Mi sarebbe piaciuto che l’avessero fatto»: al primo film kinghiano, King è già moderatamente insoddisfatto. Il budget è uno specchietto per le allodole, il capro espiatorio: De Palma è un filmmaker aggressivo, ed è ineluttabile che tra autore e autore non possa esserci armonia. Carrie – Lo sguardo di Satana è impetuoso, veemente, impulsivo come tutto il cinema depalmiano degli anni Settanta e Ottanta, e perciò impossibile da allineare al gusto dello scrittore. Troppa personalità, troppo carattere.

Eppure di Carrie il film replica l’andamento «frammentato», sfruttando un febbricitante stream of consciousness estetico che è lo specchio di un’intimità in tumulto. Lo stile prende fuoco perché ad andare a fuoco è l’animo di Carrie White, troppo esageratamente bianca per non essere sporcata (di sangue), troppo pura per non essere infangata. De Palma è la scelta giusta al momento giusto, perché nessuno come lui può in questo momento storico insozzare tanto gli schermi, quanto gli sguardi degli spettatori. Se l’horror ha già subito uno scossone decisivo sul finire degli anni Sessanta (con La notte dei morti viventi), e ormai a metà anni Settanta il nuovo blockbuster ha rifatto i connotati del mercato (con Lo squalo e Guerre stellari), è De Palma a credere più di tutti – più di John Carpenter e di David Cronenberg, la cui opera è più sostanziale e meno epidermica – alla necessità di un sopruso visuale che possa cogliere il cinema statunitense di sorpresa.

Non è casuale che il nome di De Palma stenti a comparire tra gli esponenti del cosiddetto new horror: a fondare e diffondere un genere che riflette sul corpo e sui corpi sociali anche attraverso il gore ci sono tra gli altri John Landis, Joe Dante, Stuart Gordon, e naturalmente Carpenter e Cronenberg, ma De Palma, se chiamato in causa (a sproposito), in mezzo a loro fa la figura del bullo, dell’arrogante, dell’indisciplinato che non sta a nessun gioco e non si sottomette a nessuna ideologia che non sia la propria. Tutto ciò acquisterà per lui e per il cinema uno spessore senza ritorno soprattutto negli anni Ottanta.

All’indomani dell’uscita di Scarface e delle polemiche scatenate per la violenza, De Palma sbotterà: «Andrò fino in fondo e farò un film porno pieno di suspense marchiato con la X… Vogliono vedere la suspense, vogliono vedere il terrore, vogliono vedere il sesso – sono la persona giusta per questo». De Palma sarà negli anni Ottanta il solo autore di genere a capire il suo tempo e la società, «l’unico cineasta autoriale degli anni Settanta che sa davvero far suoi gli anni Ottanta: li capisce come pochi altri, li vede, li sente, e decide di cavalcarli sul loro stesso campo e con i loro stessi strumenti, aggredendoli pesantemente (ma mai criticandoli, almeno mai apertamente) e senza nascondersi, intuendo più e meglio di molti colleghi che a Hollywood, se si vuole sopravvivere, è bene giocare con i grandi, basta saper giocare». E lo si intuisce per l’appunto già dai suoi film degli anni Settanta, in particolare da Carrie – Lo sguardo di Satana e Fury.

Nella vicenda kinghiana della liceale innocente e sprovveduta tormentata tanto dalla madre quanto dai compagni di scuola, e i cui poteri telecinetici rappresentano per lei non una valvola di sfogo contro l’oppressione ma un orrore sconosciuto di cui avere paura e troppo forte da dominare (scontata e comunemente accolta la metafora delle mestruazioni), De Palma versa già buona parte del sangue che userà per imbrattare il cinema del futuro. E lo fa con una perentorietà che diventa subito cifra e firma. Stephen King, che ha da sempre timore del proprio lato più oscuro e spietato (è nota l’autodisapprovazione di Pet Sematary, che l’autore ha sempre considerato troppo cupo e senza speranza), riferisce alla stampa che a conti fatti, e al netto di alcune perplessità alle quali si accennava poc’anzi, Carrie – Lo sguardo di Satana gli garba: «Per molti versi il film è più elegante del mio libro».

Una dichiarazione, però, chetradisce un pensiero preciso, quello di una scala valoriale che riguarda due opere destinate a rimanere comunque distinte. Da una parte c’è l’autore del libro, dall’altra c’è l’autore del film. Per King, che negli anni si sarebbe detto compiaciuto di un adattamento cinematografico solo in presenza di un mestierante qualunque, ancor meglio se amico (si veda il caso Mick Garris), la furiosa espressione depalmiana è d’impiccio, ingombrante ed eccessivamente peculiare.

Se ne accorgono anche gli addetti ai lavori: lo sceneggiatore Lawrence Cohen rivela alla rivista francese Cinefantastique che «la differenza tra i film kinghiani di successo e quelli non di successo, in termini sia commerciali sia artistici, è quando il regista ci aggiunge quel certo determinato quoziente». Carrie – Lo sguardo di Satana è insomma un battesimo kinghiano di sangue, perché rappresenta l’ingresso di King a Hollywood, e dalla porta principale per giunta, ma anche l’inderogabile abdicazione a una purezza artistica impraticabile.

La frustrazione di King deriva negli anni tanto dai compromessi di mercato, quanto dagli interventi a gamba tesa degli autori (Shining, ancora una volta, ne è l’esempio più noto ed emblematico). Il Brian De Palma di Carrie – Lo sguardo di Satana dà origine al teorema kinghiano secondo cui sullo schermo non c’è miglior King del King più distante da King. I film appartengono al cinema, e il cinema, sia in un’epoca di inquietudine sociale e politica (gli anni Settanta statunitensi), sia durante l’ottusa ubriachezza della reaganomics negli anni Ottanta, convoca i più intraprendenti. De Palma, che «anche quando lavora con materiale altrui – lo Stephen King di Carrie  – lo impasta come un prodotto originale», è, per dirla con Pauline Kael, «il rovescio della medaglia di Spielberg»: se il regista di Lo squalo rinnova il blockbuster sfruttandone strutture e criteri, De Palma imbratta il cinema di genere con un temperamento da teppista.

Nello stesso modo affronta King, sul quale esercita un’azione vandalica nel momento stesso in cui lo rende – appunto – più elegante. Moscati scrive che «Brian De Palma, adattando quella che rimane certamente una delle opere più significative di King, non la tradisce e, al contrario, riesce a evidenziare il “non detto” con grande sensibilità».23 Alludere a un non meglio specificato «non detto» quale perno di un rispetto verso King rappresenta però una sventurata scorciatoia e un equivoco fatale destinato purtroppo a durare nel tempo, tanto per la critica quanto per gli appassionati dello scrittore. De Palma, come Kubrick e per certi versi anche Carpenter (meno manifestamente Cronenberg e Romero, come vedremo), tradisce King per osservarne meglio e con più acutezza segni, sogni e visioni.

Cambiare la grammatica non è soltanto un capriccio autoriale, è anche un dovere estetico. Si tratta dunque, di due Carrie, di due campioni. Due modelli in fondo inconciliabili. De Palma afferra il romanzo di King e, malgrado Renato Venturelli pensi che Carrie – Lo sguardo di Satana non sia «uno dei migliori film di De Palma, né uno depiù personali», lo fa suo spostandone addirittura la prospettiva: alla domanda «Non le è dispiaciuto, in Carrie, di non aver avuto i mezzi per dar fuoco all’intera città?», il regista replica: «Il mondo di Carrie è il ballo della scuola. Ciò che lei distrugge non è tutto il mondo, ma il suo mondo. Contrariamente al romanzo, in cui Sue Snell racconta in flashback ciò che è accaduto, nel film tutto è visto dal punto di vista di Carrie». Poco importa se su commissione, De Palma scende in campo e toglie King a King. Non sarà, fortunatamente, il solo.

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