Gli animali e la morte

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di Stella Levantesi

Per 17 giorni e 1600 chilometri ha portato con sé il suo cucciolo morto, nuotava e lo sospingeva nell’acqua con la testa. Era il 2018 quando J35, un’orca del nord-ovest del Pacifico, ha conquistato i titoli di giornale di tutto il mondo. Raramente, nel mondo animale, una madre resta così tanto tempo attaccata al cucciolo morto. La sigla J35, che i ricercatori usano per identificare gli esemplari di cetacei, in questo caso, non bastava. L’orca venne chiamata Tahlequah, come una cittadina dell’Oklahoma, una parola forse ripresa dalla lingua Cherokee nella quale “ta-li” and “ye-li-quu” significano, “solo due” o “due bastano”. Due, come Tahlequah e il suo cucciolo.

Sono passati due anni e, oggi, J35 è di nuovo incinta. Il gruppo di orche di cui fa parte Tahlequah è composto di 73 esemplari ed è considerato dai ricercatori a rischio perché la specie di cui si nutrono, il salmone Chinook, la più grande specie di salmone pacifico, è anch’essa a rischio. Anche se non è raro avvistare femmine di orca incinte, è raro che le gravidanze vadano a buon fine e che il cucciolo sopravviva. Secondo uno studio del 2017, fino al 69% di tutte le gravidanze rilevate non hanno avuto successo e, di queste, fino al 33% non sono andate a buon fine in stadi avanzati o addirittura dopo il parto, com’è accaduto con Tahlequah.

Quando Tahlequah non abbandonava il suo cucciolo, non faceva qualcosa di estraneo ad un istinto materno universale. Il record di 17 giorni ci ha sconvolto proprio perché quando un animale assume comportamenti che sono “più umani”, ne siamo colpiti. Tra gli esseri umani, le pratiche legate alla morte variano da tradizione a tradizione, da cultura a cultura, da paese a paese, ma un paradigma di fondo rimane innegabile: ha valore il custodire, osservare, trattenere il corpo per un certo periodo di tempo dopo la morte. E questo trascende anche i confini tra le specie.

Negli esseri umani, la morte dà luogo a espressioni di compassione e sostegno sociale. Nel regno animale, accade qualcosa di simile. Per valutare il comportamento degli scimpanzé nei confronti di questa dinamica, per esempio, lo studioso Goldsborough ha analizzato le interazioni di alcuni scimpanzé in cattività. Come si relazionavano ad una femmina adulta del gruppo, prima e dopo aver dato alla luce un cucciolo nato morto? La femmina ricevette più attenzioni dopo il parto che prima, e in particolare da altri scimpanzé che in precedenza non erano vicini a lei, come, ad esempio, un’altra femmina che, anni prima, aveva anch’essa avuto un cucciolo nato morto. Gli autori dello studio hanno interpretato questi comportamenti in termini “consolatori” nei confronti della femmina in “lutto”.

In un altro caso, descritto dallo studioso Anderson, i ricercatori hanno osservato le reazioni dei membri di un gruppo di scimpanzé intorno al corpo di una vecchia femmina morta nel sonno, Pansy. Le altre femmine erano particolarmente interessate al cadavere, toccandolo delicatamente e facendogli la toletta; i maschi erano più propensi a limitarsi a guardarlo e annusarlo. L’unica eccezione era il maschio più giovane che mostrava una certa agitazione, saltandoci sopra e colpendolo. Gli studiosi avevano notato che questa era, per il giovane maschio, la prima esperienza di morte e che probabilmente stava imparando a conoscerla, sperimentando la mancanza di reattività del corpo morto di Pansy. Per un periodo di nove ore, gli scimpanzé del gruppo hanno visitato la femmina morta ripetutamente. La figlia adulta fu l’ultima ad abbandonarla. Per diversi giorni poi, gli scimpanzé si rifiutarono di andare nel luogo dove Pansy era morta.

Nel 2017, un team di ricercatori in Zambia ha filmato una madre che usava un pezzo di erba secca per pulire i detriti dai denti del figlio morto. L’implicazione, secondo gli esperti coinvolti, è che gli scimpanzé continuano a sentire i legami sociali, anche dopo la morte e che provano una certa sensibilità verso i cadaveri.

Molti scienziati, però, sono contro l’idea che gli animali provino un dolore “reale” per una perdita o che siano in grado di rispondere in modo complesso alla morte. Altri insistono che comportamenti animali “antropizzati” nei confronti della morte non dovrebbero essere etichettati con termini che hanno connotazione sociale come “lutto”, ad esempio, perché anche se la scienza può osservare un determinato comportamento, è complesso sapere quale sentimento abbia motivato quel comportamento nell’animale. Tuttavia, un numero sempre crescente di prove scientifiche sostiene l’idea che gli animali siano consapevoli della morte, che possono provare dolore e che, a volte, arrivano a piangere i loro morti, persino attraverso dei rituali.

Lo studio delle risposte degli elefanti alla morte dei loro esemplari, per esempio, ha sollevato molti interrogativi sul livello di comprensione della morte di questa specie. L’essere umano non è l’unico a seppellire i propri morti. Gli elefanti sollevano e ricoprono di terra e vegetazione le carcasse della propria specie, rendendoli gli unici altri animali, insieme all’uomo, ad eseguire una forma di sepoltura. Gli elefanti distinguono anche tra i resti di un elefante e quelli di altri grandi mammiferi. Durante alcuni test per approfondire la loro capacità di comprensione, i pachidermi hanno scelto il cranio di un elefante al posto di quello di un bufalo e di un rinoceronte.

National Geographic riporta che la famiglia di Eleanor, un’elefantessa matriarca della riserva di Samburu in Kenya, hanno trascinato e spinto la sua carcassa per quasi una settimana dopo la sua morte nel 2003. Alcuni elefanti intorno a lei dondolavano avanti e indietro, mentre altri sono rimasti in silenzio. I comportamenti più frequenti degli elefanti nei confronti dei loro morti sono il contatto, l’avvicinamento e l’indagine; gli elefanti allungano le loro proboscidi, toccando il cadavere con delicatezza, come per ottenere informazioni, facendo scorrere la punta della proboscide lungo la mascella inferiore, le zanne e i denti dell’elefante morto. Queste sono le parti che sarebbero state più familiari nella vita e più toccate durante i saluti, le parti più riconoscibili di un individuo. In modo simile, quando qualcuno che ci è vicino muore, accade che ne cerchiamo il viso, le mani, quelle parti che, anche per noi, sono più familiari.

Secondo alcuni esperti, gli elefanti hanno una forma di rispetto per i propri morti, ma la loro interazione con la morte è qualcosa che “non comprendiamo ancora appieno”. Le osservazioni di animali che sembrano interagire con i propri morti, però, aumentano. Alcuni studi suggeriscono che anche le giraffe possano vivere una sorta di “lutto”. Un articolo del 2013 sull’African Journal of Ecology osserva che le giraffe femmine restano nei pressi dei loro cuccioli morti in Africa orientale. Per quattro giorni una giraffa è rimasta vicino al luogo in cui il suo cucciolo era stato ucciso dai leoni, avvicinandosi, poi, per annusare il terreno. Anche dopo il passaggio delle iene, quando ormai non rimanevano altro che le ossa del cucciolo di giraffa, la madre non se ne andò e fu raggiunta da altri tre esemplari del suo branco.

Patricia Wright studia i primati del Madagascar, i lemuri. Carl Safina, biologo e autore, racconta che Wright dice dei lemuri che quando un esemplare muore, “per tutta la famiglia, è una tragedia”. Dopo che una specie di mangusta, la fossa, ha ucciso un lemure sifaka, Wright ha raccontato che la famiglia di lemuri è tornata. La compagna del lemure ucciso ha emesso il richiamo “di perdita” più volte. “Quando i sifaka sono davvero persi il richiamo avviene meno spesso ed ha toni più alti e più energici. Ma questo era un fischio basso, addolorato, ossessionante; ancora e ancora”. Anche gli altri membri del gruppo, i figli e le figlie del maschio morto, emettevano richiami di perdita, mentre guardavano il cadavere da sopra, tra i rami a 5, 10 metri da terra. Nei cinque giorni successivi, i lemuri sono tornati al corpo quattordici volte.

Anche altri animali interagiscono con i propri morti. La rivista scientifica Primates ha dedicato un intero numero al comportamento di diverse specie in relazione alla morte, dall’infanticidio negli scimpanzé al senso di vigilanza che suscita nei cavalli. Occasionalmente, gli animali fanno notizia per quelle che sembrano essere vere e proprie manifestazioni di lutto, come nel caso di Tahlequah. I fattori fisiologici, emotivi, sociali e cognitivi sono tutti rilevanti per capire come gli esseri viventi non solo percepiscono la morte, ma anche come affrontano le varie sfide poste dalla morte. È noto, per esempio, che i corvi si comportano in modo strano intorno ai loro morti: si radunano intorno al corpo e strillano forte. Anche nelle ghiandaie della macchia occidentale, che appartengono alla stessa famiglia di uccelli, i corvidi, sono stati ritrovati comportamenti simili ma, al contrario dei corvi, le ghiandaie reagiscono negativamente anche ad altre specie di uccelli morti. È stata avanzata, in più occasioni, l’idea che queste reazioni facciano parte di una sorta di rituale funebre.

Secondo uno studio sulla rivista Animal Behaviour, i corvi americani selvatici, Corvus brachyrhynchos, rispondono alla vista di corvi morti con un atteggiamento di “mobbing”, aumentando il tempo per avvicinarsi al cibo nelle aree associate alle morti e imparando di nuovi predatori, in base alla loro vicinanza a corvi morti. I corvi americani selvatici si radunano intorno ai loro morti per conoscere il pericolo. La morte diventa una forma di conoscenza della realtà, del mondo. La morte permette la sopravvivenza.

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