Ancora su “I buoni” di Luca Rastello
Questo articolo è uscito sul “Domenicale” del “Sole 24 Ore”.
di Vittorio Giacopini
Quando Aza – la ragazza dell’Est – lascia i “cunicoli” e il suo popolo degli abissi di sbandati – l’ingresso nel mondo dei “buoni” ha le stimmate di una rinascita totale, però obbligata. Ai piedi delle colline, tra gli scheletri d’acciaio di templi del lavoro ora in disuso, la città che era stata operaia la riceve distrattamente, e è già qualcosa, ma un inciampo della sorte le muta il destino. Grazie a Andrea e Mauro – un operatore umanitario e un fotografo prestato al ‘terzo settore’ – la ragazza selvaggia è accolta nel benedicente regno di don Silvano. Per l’esule la comunità In Punta di Piedi adesso coincide con l’intero orizzonte, e non ha confini. Attorno all’uomo di Dio – sguardo stanco, capelli lunghi e un po’ unti, maglione liso – ruota adorante tutta una corte angelica di mediocri bontà, spente esistenze, trattenute ambizioni, sante parole. Ma gli angeli decaduti non sono altro che diavoli, com’è noto, e in questo libro ferocissimo e spietato – dunque vero – Luca Rastello ci mette in guardia da subito, non cincischia. Bisogna guardarsi da quell’uomo di chiesa, e dal suo fascino. È questione di tempra morale e visioni dei rapporti di forza, di linguaggio. Il soccorritore degli ultimi – e grande amico dei Potenti, dei famosi – incarna la “forma del mondo”, e va temuto. Il carisma – equivoco – del prete è l’incantesimo del capo di una setta, cerimoniosa.
Scritto con rabbia e con passione, livida furia, I buoni è un romanzo-verità che gioca su un cambio di prospettive vertiginoso. Aza impara a muoversi tra buoni che buoni non sono, che fanno orrore. L’introibo ad altare dei si muta nel giro di poche pagine nell’accettazione delle regole di una “scuola di empietà” terrificante. La discesa agli inferi evocata nelle pagine iniziali sui ‘cunicoli’ mostra adesso il suo volto più cupo e ordinario, più spiazzante. È l’universo dei buoni di professione, del “sociale”. Rastello – già autore di alcuni libri chiave sul nostro tempo (Io sono il mercato fa impallidire Gomorra; La Guerra in casa surclassa Lilin) – questo mondo lo conosce, e sa narrarlo. È questione di potere, e di parole (“una lingua maledetta”, niente di più e, davvero, niente di meno). Prima ancora di vederli in azione , basta ascoltarli: spronati dalla “frusta dell’oltre”, sempre pronti a “sporcarsi le mani” a metterci la faccia” a “mettere testa”, gli adepti dei Piedi hanno fatto della Legalità un feticcio e della condivisione un Idola fori. Senza calcare la mano, Rastello li lascia parlare, questi mostri. “Nel sociale – scrive a un certo punto– tutto è possibile”è non è una denuncia, è…. Dostojevsky. La descrizione dei meccanismi interni alla vita della comunità ha l’intensità di un trattato di demonologia; genera angoscia.
I I buoni ha fatto parlare di sé anche per motivi sbagliati e strumentali, superficiali (dietro la maschera di Silvano il volto autentico è riconoscibilissimo, si dice), ma il libro di Rastello è un lavoro che vive di vita propria e scardina le nostre coordinate mentali, gli schemi usati. Raramente un romanzo recente ha saputo raccontare il Male con tanta oggettività e con tale forza. Lasciarsi irretire dal ricatto della cronaca o del gossip è puerile. Rastello guarda più lontano, in ogni caso. In questo corpo a corpo visionario e maledettamente concreto col reale, la dialettica tra vittime carnefici è ormai alle nostre spalle, consumata. Il male, oggi, ha il volto di chi fa il “bene”, predica il bene (del resto in perfetta connivenza col Potere) e il trionfo degli angeli caduti appare scontato. A meno che dal fondo dei cunicoli del dolore e della droga, della miseria, non riappaia – paurosa – una figura del passato. In questo mondo di lupi mascherati da pecore belanti non ci sono né speranza né giustizia: solo vendetta.
Una bella pagina riassuntiva di virtù. Non c’è più speranza ma soltanto vendetta, nella nostra esistenza ormai da tanti anni si usa
Su Radio3, nel programma “Pagina 3”, il conduttore Vittorio Giacopini ha – per l’ennesima volta – fatto riferimento all’ultimo libro di Rastello, citando questo sito e quindi il proprio articolo (pro Rastello) uscito sul Domenicale del Sole24 ore di ieri. In altre parole ha citato se stesso: quanta eleganza! che bon ton! Complimenti Giacopini: un vero Lord. Non mi soffermo sull’operazione Rastello, studiata a tavolino per sublimare vendette personali; né sul romanzo in sé – un lavoro mediocre – descritto da Giacopini come un capolavoro assoluto della letteratura.
Sofia Brandani
@ Sofia Brandani
No, non ti soffermi: viene meglio lanciare la palata di merda e scappar via senza alcuna pezza d’appoggio alle tue parole, qualcosa attaccato resterà. Purtroppo per te, “sublimare vendette personali”, se la lingua italiana ha ancora un senso, significa l’opposto di quello che credi: partire da un impulso istintuale (quale potrebbero essere il rancore o il desiderio di vendetta) ed elevarlo a un fine più alto. Che è quello che fa la letteratura, ed è quello che fa Rastello.
Caro Girolamo, ho letto tutto Rastello, da “La guerra in casa” a “Binario morto”. Ho letto anche “I buoni” e mi sento vicino a quello che scrive Sofia. Non solo non ritengo “I buoni” un capolavoro assoluto, ma neppure mi sembra all’altezza dei precedenti lavori dello stesso Rastello. In quanto alla vendetta personale, non so che dire: certo don Silvano è Luigi Ciotti, è evidente, l’autore non fa alcun tentativo di nasconderlo, seppure pubblicamente lo neghi. Tanti, ma davvero fatti pubblici che riguardano Ciotti – su quelli privati non saprei – coincidono con le vicende del cattivissimo de “I buoni”. Il perché di questa operazione, davvero non la capisco, quindi non la giudico: Rastello avrà avuto i suoi motivi, ma non mi pare che siamo in presenza di grande letteratura.
@ Michele
Quello che mi sfugge è perché i detrattori de “I buoni” sentano il dovere di sottolineare che è un brutto libro. Se è un’operazione a tavolino, una vendetta privata, se il libro ha come unico fine quello di attaccare don Ciotti, cosa cambierebbe se invece fosse scritto bene? E se la trama del libro si riducesse allo “sputtanamento” di don Ciotti, perché allora non parlare di questi fatti, che sono facilmente accertabili? Nando Dalla Chiesa sostiene trattarsi di fenomeni “ineliminabili”, che “identici costumi” avevano partiti e grandi associazioni: è un’idea di legalità, questa?
Ma, a parte aver letto recensioni dalle quali non traspare la lettura del libro (o addirittura dalla quale traspare la non-lettura): perché si nega che Rastello abbia (bene o male lo decide ogni lettore) preso l’avvio da vicende nelle quali è stato intimamente coinvolto (altro che “osservatore partecipante”), per provare a riflettere sul bisogno che abbiamo di credere nei santi, di convivere con il male di accettare un mondo inaccettabile, di abitare il male sotto anestesia (per la cronaca: non sto interpretando, sto citando). Questa, se permetti, è letteratura, perché questo fa la letteratura: se poi ci riesca (andando a collocarsi nei paraggi di Dostoevskij) o meno, è un altro discorso, che qui però sembra non si voglia affrontare. Ma partire dalla presunta malafede dell’autore per concludere con l’asserita malafede dell’autore è un circolo ermeneutico di bassissima lega.
A Girolamo: le “palate di merda” (cito dal Suo aggraziato commento) le ha lanciate qualcun altro, con mezzi molto più potenti del mio striminzito commento. E lo ha fatto buttando fango su fango non solo su Ciotti persona, ma su ciò che rappresenta; ma poi (come appunto fa notare Lei) senza avere il coraggio di ammetterlo pubblicamente. Se questa Le sembra un’operazione pulita. Il “sublimare” era riferito allo strumento adoperato, quello letterario. Non certo al livello della scrittura adottata da Rastello nell’ultima opera, lontanissima dalle precedenti.
Mi scuso: ho sovrapposto la lettura dei commenti e ho attribuito a Girolamo una indicazione che invece apparteneva al commento di Michele: quella di Rastello che pubblicamente nega che don Silvano sia Ciotti.
Gentile Girolamo, io non sono un critico letterario, sono uno che legge un po’ di tutto, dalla saggistica ai romanzi. Ho sempre letto Rastello perché ne ho una grande stima, come intellettuale e come scrittore. Quindi non è che ho intenzione di farne il detrattore ‘a prescindere’. Ho letto “I buoni” e lo ritengo – a mio personalissimo e modestissimo gusto – un brutto romanzo. Non ci vedo assolutamente una rilfessione sul bene, sul male con cui si deve convivere (davvero? e chi l’ha detto?), sui santi in cui dovremmo credere (dovremmo? prima persona plurale che indica chi, peraltro?). Possiamo discutere volentieri di tutte queste cose, che però io nel romanzo non trovo. Trovo solo un elenco di nefandezze commesse da ‘don Silvano’ e i suoi collaboratori, il che non mi pare grande letteratura, a prescindere dalla corrispondenza o meno con la realtà. Ma, ribadisco, non sono certo un critico letterario, sono solo un lettore.
@ Michele
Se vai alle pagine 190-191 del libro di Rastello le cose che ho citato le trovi, e trovandole saprai che le ha dette, per l’appunto, l’autore (attraverso il personaggio di Andrea). L’avevo scritto nel commento, che citavo e non interpretavo: quindi non sono cose che uno può vedere e un altro no, sono proprio lì, basta arrivarci.
Poi, nel romanzo, come ha ricordato Rastello nella sua risposta a Sofri, Della Chiesa e Caselli, c’è anche dell’altro: «Per esempio l’esistenza di una carità operosa e discreta a fianco e nelle crepe degli imperi caritatevoli, o il dramma del marketing e della professionalizzazione che scavalcano le motivazioni etiche e la gratuità dell’impegno, le manomissioni linguistiche e retoriche, i rituali di sottomissione delle comunità chiuse dove anziché la religione o la morale laica si celebrano culti pagani del Capo. Cose così».
@ Girolamo
evidentemente non mi spiego, me ne scuso. In letteratura, per come la penso io, non si devono elencare le cose, si devono descrivere, raccontare. Se io, scrivendo un romanzo, a un certo punto metto la frase “in questo romanzo parlerò del giornalismo compromesso con il potere”, non è che così facendo ne ho parlato. Devo poi creare una situazione in cui i personaggi vivono e fanno immedesimare il lettore in questa situazione. A Fahrenheit Luca Rastello ha parlato della relazione di potere che esiste tra il “buono” che aiuta e “l’aiutato” che in qualche modo ne è sottomesso. Un problema, a suo dire, generale nel mondo del non profit. Io, questa relazione, che nel romanzo dovrebbe intercorrere tra Aza e don Silvano, nel libro non l’ho proprio ritrovata, se non accennata di sfuggita. Per carità, sarà un mio limite di lettore ma ribadisco: per me il romanzo è tale sino a un 30% (perdoni, l’ho letto su ebook). Poi si trasforma in un lungo elenco di zozzerie compiute dalla famigerata “In punta di piedi”. Altro non ci trovo. E, per rassicurarla, l’ho letto sino al 100%.
Solo andando al di là del tifo e de gossip si riece ad apprezzare I Buoni.
Se rimaniamo fermi ai simboli che noi vi riconosciamo, magari ancora prima di iniziare a sfogliarlo, è meglio evitare giudizi sulla qualità della scrittura di Rastello che, oggettivamente, è sopraffina.
Luca Rastello ha scritto un romanzo, chissà quali sentimenti e risentimenti lo hanno animato, io non l’ho ancora letto, lo farò quanto prima, però dalle anticipazioni penso che sia anche il racconto di una delusione/disillusione da parte di chi aveva molto amato/sperato.
Personalmente lo ringrazio perchè da una possibilità di mettersi in discussione, starà a noi che viviamo la contraddizione (negandola) accettare la sfida o chiuderci sdegnati nelle torri d’avorio autoassolutorie…
Avrà pure attinto dalle sue esperienze al Gruppo Abele e a libera, ma è tutto il nostro (mio) mondo del “sociale impegnato” che dovrebbe sentirsi messo sanamente in discussione, il Gruppo Abele ha spesso precorso i tempi e indicato direzioni a tutti noi, in questo caso credo stia cercando di farlo ancora, paradossalmente, con queste prove tecniche di autodenuncia (Luca dice che don Silvano è lui ed è vero: Luca a pieno tittolo è espressione e parte di quel mondo che critica tanto proprio perchè gli appartiene).
Caro Maurizio,
io ho detta la mia sul libro a prescindere, avendo letto e molto apprezzato tutti i lavori precedenti di Rastello. Non sapevo che potesse esistere un giudizio ‘oggettivo’ sulla qualità della scrittura, ne prendo atto. Poi resta in me – e a questo punto me la terrò – la curiosità sul perché, in questo libro, vi sia un attacco così virulento verso Luigi Ciotti. Negare che don Silvano sia Ciotti mi pare contro ogni buonsenso: io, che non lavoro né al Gruppo Abele né a Libera, ho riconosciuto almeno una dozzina abbondante di riferimenti diretti e specifici a Luigi Ciotti. Non caratteristiche che ne richiamano la figura, ma precisi fatti di cronaca/storici e modi di dire. Mettiamola così: se voleva evitare il gossip, Rastello poteva lasciare più libera la fantasia e ricorrere a qualche riferimento esplicito a Ciotti e al Gruppo Abele in meno…
la lettura del libro “I buoni” mi ha lasciato l’amaro in bocca.Soprattutto perchè il precedente romanzo di rastello “Piove all’insù” l’ho amato profondamente e lo considero uno dei migliori romanzi sugli anni settanta.Ed ho pensato una cosa che apparentemente non c’entra nulla cioè ai politici che si lamentano dell’invadenza della magistratura,della bufala sul conflitto politica magistratura che in realtà non esiste perchè molto semplicemente esistono i politici che commettono reati e la magistratura che li persegue.Ora dalle lettura del libro di Rastello emerge che le associazioni che si battono per la legalità,per la difesa dei diritti degli ultimi sono infestate da veri e propri squali che perseguono il male camuffati da benefattori.No,non mi basta che un libro sia scritto bene (perchè il libro di Rastello indiscutibilmente è scritto bene)non mi convince la storia, l’assoluta dissacrazione di tutto un mondo di cui sento l’importanza.Mi assomiglia alla dissacrazione della resistenza operata da pansa per il quale magari le stragi naziste vanno addebitate ai partigiani che non hanno saputo difendere i paesi e non alla ferocia nazifascista.E cosa significa quel dies ire che arriverà per tutti con cui Rastello chiude il suo scritto pubblicato sul Fatto rivolgendosi ai suoi critici?Una maledizione ?Uno spurgo di odio malcelato?Una pessima scivolata?Una coda di paglia?
# vitaliano
…Temo che il “quel dies irae che arriverà per tutti con cui Rastello chiude il suo scritto pubblicato sul Fatto” sia semplicemente un riferimento al nostro essere tutti mortali: se hai problemi “seri” di salute per i quali è ragionevole pensare, purtroppo, di non avere più un orizzonte temporale molto lungo dinnanzi a te (e probabilmente più breve di quello dei tuoi interlocutori sebbene più anziani di te), immagini un bilancio con la tua coscienza e le tue aspettative ( “Il mio non è neanche fra molto e io so, con coscienza serena e pulita, che il loro sarà peggiore” agginge infatti Luca Rastello)… Quindi probabilmente niente maledizioni, odio, scivolate o coda di paglia solo l’affermazione di sentirsi più “preparato” e tranquillo in prossimità di qualcosa di inevitabile e imminente….
Ho letto il romanzo di Rastello, che mi ha inquietato non poco. Certo, ogni volta che si discende negli inferi il dolore non è risparmiato, ma domando a Rastello che afferma “Don Silvano sono io” perché mai nel fare questo “percorso” ha deciso di portare con se persone riconoscibili cui non ha dato la possibilità di avere voce in capitolo. Operazione spietata e autoritaria, la sua, certamente esecrabile. Ha scritto A. Sofri ” la questione non riesce…a restare generale, tanto forte e accanito è l anatema contro una impresa particolare ed i suoi personali attori”
Ed ancora, condivido Nando dalla Chiesa, quando afferma che l’autore “purtroppo abdica alla responsabilità della contro-inchiesta travestendosi da romanzo”.
Chiedo scusa a Dalla Chiesa per l’errore, nella penultima riga leggasi “l’opera”, non “l’autore”
Rastello coglie con estrema lucidità i tratti distintivi delle organizzazioni dei “buoni”, abitate da greggi di replicanti.
Organizzazioni che sbandierano la propria presunta inviolabilità, che non appena colgono un pensiero che si discosta, ti portano davanti al “Tribunale Umanitario dell’Inquisizione”.
E ciò che accade ai protagonisti de “I buoni”, è ciò che succede a chi non vuole stare nel gregge.
Ho letto il bellissimo libro di Rastello, non capisco le polemiche sull’isomorfismo con la realtà (il gossip?). Di cosa altro parla la letteratura se non della realtà? Essere presa per mano e accompagnata ad osservare i demoni (di oriente e occidente come dichiara Rastello) è qualcosa di cui gli sono profondamente grata (anche io penso a mia figlia, come nella dedica di Rastello alle sue figlie:” fuggi, fuggi! da qui!” )
L’attacco dei giornalisti d’opinione e dei personaggi pubblici al libro è strumentale e serve per sminuire il valore del libro (se è pettegolezzo non vale niente.), del resto dal giorno dopo la sua pubblicazione come farebbero ad usare e sfruttare la retorica per i loro fini personali (narcisistici e di influenza della pubblica opinione).
Mi viene voglia di rileggere il “Coraggio della Verità” di Foucault.
A proposito, Don Silvano sono io.
non ho letto il libro. non conosco i motivi per cui rastello attacchi don ciotti. ( evidentemente lo conosce meglio di me) tutte le volte che vedo don ciotti provo un senso di nausea.
Letto. Ma la terza parte perde tutta la forza e alla fine non si può dire capolavoro ma sfogo