Come ascoltiamo gli animali. “Al di là delle parole” di Carl Safina

Prosegue la rubrica a cura di Luca Romano in cui si parla di libri che abbiano almeno tre mesi di vita. Stavolta è il turno di “Al di là delle parole” (Adelphi) di Carl Safina.

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Nella prima metà del Seicento René Descartes mischiò, confondendoli, comunicazione, coscienza, pensiero, superiorità umana e religione. Affermò in modo non corretto che «le bestie non parlano come noi per il fatto che non hanno alcun pensiero, e non perché manchino loro gli organi». Aggiunse poi, in modo illogico, che «se pensassero come noi, avrebbero come noi un’anima immortale».

La storia della filosofia e del pensiero umano dedicato agli animali, da sempre o quantomeno da Aristotele in poi, ci ha abituato a un approccio, nei confronti degli animali, quasi totalmente orientato sull’incapacità degli animali di utilizzare la comunicazione e i metodi di interazione umani, in definitiva, il problema che la filosofia ha sempre riscontrato negli animali era che non fossero esseri umani. In realtà, un po’ per mancanza di conoscenza scientifica, un po’ per incapacità di porsi le domande sugli animali in maniera corretta, le domande poste e le soluzioni trovate non sono mai state adeguate alla complessità che ogni singolo animale porta con sé, in quanto specie e in quanto individuo.

Ed ecco che da relativamente pochi anni, a seguito di diverse scoperte scientifiche e di alcune riflessioni filosofiche, è possibile affrontare l’argomento liberandolo dalla superstizione e dall’approccio molto poco scientifico che ha sostenuto le tesi di moltissimi filosofi fino ad Heidegger. Le domande che molte volte si è cercato di eludere e che forse potrebbero aiutare a comprendere anche il modo di interagire degli animali umani, afferiscono all’ambito del linguaggio: Perché parliamo? E soprattutto, cos’è il linguaggio?

 D’altra parte, l’impresa davvero difficile è tradurre il linguaggio degli elefanti in vietnamita o in inglese. Nessuno può trovare da ridire sull’affermazione «L’elefante emise un brontolio». La descrizione è pacifica. Molti, invece, avranno da obiettare sulla seguente conclusione: «L’elefante disse “ciao”». Eppure, senza un’interpretazione e una traduzione, non capiremo mai cosa stiano comunicando. Per mezzo secolo lo studio della comunicazione animale si è fermato alla descrizione; ora deve passare alla traduzione.

Per orientarci in questo discorso sul linguaggio e su come si possa approcciare scientificamente, oltre che filosoficamente, il tema, è nelle librerie Al di là delle parole, di Carl Safina, primo dei volumi dedicati all’animalità della collana Animalia di Adelphi.

Carl Safina è un biologo statunitense, da sempre molto impegnato nella divulgazione scientifica e negli studi sul comportamento animale e con Al di là delle parole compie un vero e proprio percorso all’interno del mondo degli animali non umani, selezionando principalmente tre specie (Elefanti, Lupi e Orche) e utilizzando i loro comportamenti e il loro modo di comunicare per ampliare il discorso ad altre specie e al rapporto che c’è tra queste specie e gli esseri umani.

Ed è sugli esempi tratti dall’esperienza e dagli studi che bisogna soffermarsi, per comprendere cosa sia il linguaggio negli animali e quali sono le implicazioni dell’uso del linguaggio stesso:

 Una scimmia che avvisti un serpente pericoloso emette un richiamo particolare, detto chutter, che induce le compagne ad alzarsi in piedi sulle zampe posteriori in modo da esamirare il terreno circostante per localizzare il rettile. Nel complesso i cercopitechi di Amboseli hanno parole per «leopardo», «aquila», «serpente», «babbuino», «altro mammifero predatore», «essere umano non familiare», «scimmia dominante», «scimmia subordinata», «guarda altra scimmia» e «vedi branco rivale». Fino a circa sei o sette mesi di vita i cercopitechi possono rispondere in modo improprio ai richiami d’allarme: per esempio, saltando su un albero quando viene emesso l’allarme per l’avvistamento di un’aquila. Fino all’età di due anni un giovane cercopiteco può gridare «aquila» in risposta al sorvolo di uccelli innocui e «leopardo» quando avvista piccoli felini. L’articolazione corretta viene acquisita quando hanno all’incirca metà dell’età puberale – un po’ come negli esseri umani.

Cosa dimostra questa capacità di alcune specie di usare un linguaggio proprio? e cosa implica l’utilizzo di questo linguaggio negli animali non umani? Carl Safina qui mostra ciò che sino a circa metà del ‘900 si è ritenuta una capacità esclusivamente umana: la creazione e l’utilizzo di un linguaggio articolato. Il rapporto che intercorre tra la parola e quello che De saussure avrebbe chiamato significato. Il segno, la traccia che lascia ogni suono pronunciato, per permettere a chi ascolta di comprendere – o almeno intuire – ciò a cui si riferisce quel suono. Ma questa capacità di costruire e insegnare un linguaggio implica molte altre cose che spesso non vengono associate agli animali: la capacità di previsione, quindi una percezione del tempo, e una capacità di agire affinché un’azione produca un risultato, che prima d’esser raggiunto doveva senza dubbio esser immaginato e organizzato. E in ultimo la capacità di insegnare il linguaggio, così da mostrare come l’uso dei suoni riprodotti dagli animali non sia del tutto casuale e senza senso, cosa per altro molto improbabile.

A lungo, come ho già accennato prima, la filosofia da Aristotele, passando per Descartes e Hegel, sino ad arrivare a Heidegger, ha visto l’animale come un meccanismo capace solo di reagire a degli impulsi e incapace di agire sul mondo per sua propria volontà. È utile invece osservare come gli animali abbiano in realtà enormi capacità di agire sul mondo, di prevedere, di utilizzare utensili, strumenti per raggiungere dei risultati. Ne è prova il Cambridge Declaration on Consciousness, manifesto redatto da studiosi e scienziati che affermarono che non solo gli esseri umani, ma numerose altre specie siano consapevoli e dotate di coscienza.

Diversi esempi a riguardo si possono trovare su Youtube; uno di questi vede un Green Heron utilizzare una mollica come esca per attirare un pesce in superficie e catturarlo. Il gesto viene ripetuto sino a quando l’uccello non ottiene il risultato che si era prefisso pescando il pesce.

Questa capacità di prevedere dei risultati compiendo determinate azioni, così come nel linguaggio si producono dei suoni per ottenere una comprensione in chi ascolta, mostra una percezione del rapporto causa effetto, ma anche una idea di tempo. Ma a deduzioni filosofiche e ragionamenti analitici, Safina accompagna anche studi biologico-scientifici:

 Come accade per tutti noi, anche per i bonobo i parametri della personalità sono legati al cervello; rispetto a quello degli scimpanzé, il cervello dei bonobo contiene più materia grigia nelle regioni coinvolte nella percezione della sofferenza altrui. I bonobo hanno vie nervose più grosse per il controllo degli impulsi aggressivi, il che riduce la loro pericolosità per gli altri. Questo limita lo stress, dissipa la tensione e riduce l’ansia in misura tale da fare spazio al sesso e al gioco. Anche da adulti i Bonobo hanno ormoni cerebrali e chimica ematica tipici degli immaturi: in particolare presentano elevati livelli di serotonina (sostanza che smorza l’aggressività) e livelli più bassi di ormone dello stress.

Gli studi biologici sugli animali mostrano vie che sino a pochi anni fa risultavano totalmente impensabili. Inoltre Carl Safina riesce a mostrare la necessità, per qualsiasi attività di pensiero o ragionamento filosofico, di confrontarsi con quelli che sono gli studi scientifici e biologici sul tema. Infatti è da studi come questi che si è partiti per arrivare a quelli che oggi sono conosciuti come neuroni specchio. Che, scoperti e studiati prima sulle scimmie antropomorfe e successivamente sugli esseri umani, sono stati attribuiti esclusivamente agli umani all’interno di tutto il regno animale. E come nel caso dei neuroni specchio, Safina affronta anche la teoria della mente che concede a ogni essere umano la capacità di attribuire stati mentali ad altri esseri umani, o per meglio dire la capacità di guardare gli altri e i loro comportamenti deducendo cosa stanno pensando in quel momento. Alcuni studiosi ritengono che questa capacità non sia attribuibile agli animali non umani. A tal proposito scrive Safina:

Gli scimpanzé hanno una teoria della mente valida soprattutto per gli scimpanzé, se così si può dire; e i delfini una teoria della mente per i delfini. Spesso noi abbiamo difficoltà a comprendere perfino le necessità di altri esseri umani, e a prevedere le loro azioni. Chi assume che gli altri animali non siano nemmeno coscienti – o ignora la loro capacità di avere esperienze coscienti – dimostra quanto siano incerti i nostri talenti quando si tratta di teoria della mente.

Dalla Teoria della mente ai neuroni specchio, ciò che emerge è una messa in discussione di quei paradigmi inadeguati, utilizzati ancora da molte persone, per affrontare il rapporto degli animali umani con gli animali non umani. Al di là delle parole rappresenta in questo senso un grande viaggio attraverso tre specie principalmente, ma che non disdegna digressioni scientifiche o su altre specie. Ciò che Carl Safina riesce a fare, attraverso un’ottima qualità di scrittura divulgativa, è mantenere l’attenzione del lettore sempre alta: i capitoli più scientifici si intersecano con narrazioni quasi da romanzo, la capacità di raccontare non perde forza ma al contrario la acquisisce al variare delle argomentazioni e con l’apporto di esempi e studi.

Ciò che alla fine rimane è un desiderio di comprensione ancora maggiore e la percezione di quanto lo studio degli animali e del loro comportamento, sia in una fase ancora iniziale e di quanto, anche dal punto di vista filosofico e teorico, ci sia ancora da fare.

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