“Cheese”, il bellissimo esordio di Zuzu

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di Simone Tribuzio

Prima tavola: due ragazze in ginocchio sul letto si scambiano un po’ di effusioni, per ritrovarsi poco dopo sdraiate nel pieno del loro atto sessuale. “Uh Zuzu guarda! Che disagio… solo ora capisco cosa fanno a letto le lesbiche”.

Chissà che film si era fatto in testa il suo amico Dario, prima di sedersi su una delle poltrone polverose del cinema di provincia (nella seconda tavola) per vedere La vita di Adele, vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2013. Ma l’attenzione – così come l’occhio – di Zuzu è rivolta ad un ragazzo che sta per uscire dalla sala: un giovane affascinante (a suo dire) di nome Rocco.

Zuzu, con la scusa di fumarsi una sigaretta, ne approfitta dell’intervallo per fare conversazione con Rocco. Ah, si scopre che il giovane ha già visto La vita di Adele, come afferma con fierezza, ed era lì per la seconda visione al cinema; ma soprattutto perché apprezza i corpi languidi delle ragazze protagoniste (“hanno il corpo ideale… non so se mi spiego”).

Il suono di quelle parole fa piombare Zuzu nel vuoto siderale: il suo volto comincia a confondersi con quello di un corpo di cui sopra; poi due pagine bianche, e profondissime, con le parole “Non so se mi spiego”. Da qui si affacciano le prime visioni, mandate dal fantasma della bulimia che a poco a poco proverà a divorare la ragazza dall’interno.

Ma come in tutte le storie di formazione più oscure c’è anche la luce.

Il film con Dario, Riccardo e Zuzu, l’autrice di questo esordio a fumetti intitolato Cheese, somiglierà presto al più trasognante The dreamers di Bertolucci; ma senza il contesto socio-politico come lo poteva essere quello del Maggio francese. E per certi versi più tormentato, per Giulia Spagnulo (aka Zuzu) che qui si racconta, rispetto alla pellicola che nel 2003 fece conoscere al mondo il volto di Eva Green.

I tre inseparabili amici decidono un giorno di andare al mare, dove Zuzu prova a prendere confidenza con il proprio corpo spogliandosi (ci sta provando); invitando addirittura Dario a fare lo stesso.

Proprio il più restio a denudarsi se ne esce improvvisamente: dicendo che ha una zia a Brentonico, in un paesino sperduto di quattromila anime del Trentino-Alto Adige, dove si tiene il Cheese Rolling. Un contest in cui si deve rincorrere un formaggio che rotola e lungo pendii particolarmente scoscesi, il premio in palio è una somma cospicua di denaro. Riccardo nutre qualche dubbio davanti alla proposta lanciata da Dario, ma non fa nemmeno in tempo a scommettere – contro di lui – per non andare che perde rovinosamente. E si va dunque alla volta di Brentonico!

Il cambio di registro narrativo si fa repentino di capitolo in capitolo. Le visioni dalla carica sempre più virulenta fanno visita più spesso alla tormentata Giulia/Zuzu; delle manifestazioni che mostrano il suo corpo deforme e smembrato. Pari a quelle che prova Susumu Nakoshi: il senzatetto esistenzialista della serie manga Homunculus di Hideo Yamamoto.

I tre giovani dovranno quindi procurarsi caschi (in primis), ginocchiere, “tanto coraggio” (cit.) e tutto l’occorrente per fronteggiare questa singolare competizione folkloristica. Una volta arrivati a destinazione si presenta davanti a loro un’avventura più unica che rara, che di fatto li condurrà in un finale che è di più lontano dal concetto di epifania; ma che porrà ai ragazzi, così come alla tormentata Zuzu, tante domande su cosa vogliono essere e fare veramente nella vita. Non conta poi molto l’esito della gara, quando invece è più lecito domandarsi se i tre inseparabili amici si divertiranno credendo in loro stessi. Colta dalla prima crisi di nervi Giulia si chiedeva: “come crescono i tronchi degli alberi?”

Prima di lei, il suo mentore artistico Gipi, che ha seguito tutte le fasi del progetto, chiedeva a se stesso (in Unastoria) “dammi risposte complesse”. Per Giulia non è stato affatto facile ottenere una risposta, ma alla luce degli eventi risulta essere la più semplice di tutte. Chi può dirlo?

Presentato prima come tesi di laurea allo IED, e seguito – e poi voluto fortemente – dal suo insegnante ed editore Ratigher, Cheese è un tentativo di riguardarsi allo specchio, un viaggio dell’eroe atto a sfidare il demone interiore che si insidia nei primi anni dell’età post-adolescenziale.
Il est interdit d’interdire” (vietato vietare) era uno degli slogan del maggio parigino che infiammò le rivolte studentesche. Un monito che arriva da un’altra epoca, ma che è giunto – per non dire “rotolato” – alla mente e al cuore della giovane fumettista.

Zuzu imprime su carta, con pennino a china e pennarelli, le insicurezze e le speranze di una generazione che non ha paura di essere se stessa. Le figure appaiono a volte nella forma più confusa e distorta, altre in cui si muovono con grazia prendendo alcune soluzioni grafiche più armoniose.

Cheese è una convincente pratica dell’autobiografia a fumetti più bruciante (strizzando l’occhio alla brutalità del tratto di un gigante come Manu Larcenet), tra i pochi validi esempi; in un mercato editoriale che ne vede proliferare ogni settimana e da diverso tempo.

Zuzu è riuscita così nell’impresa più importante della sua vita: imbottigliare un malessere giovanile con tutta la luce negli occhi (vedi il finale).

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