Perché bisogna recuperare la letteratura di Ismail Kadaré

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di Luca Todarello

L’ultimo romanzo di Ismail Kadaré giunto elle nostre librerie, Freddi fiori d’aprile del 2005, riproposto oggi da Longanesi nella traduzione di Francesco Bruno, si apre con un «assembramento».

Un capannello di curiosi si stringe attorno a due ragazzini intenti a bastonare un serpente: è il folgorante incipit di un testo complesso e stratificato,assieme onirico e realistico, che accompagna il lettore tra le pieghe delle credenze popolari albanesi (il serpente tornerà più avanti come simbolo della gente d’Albania) e nell’atmosfera, all’opposto, estremamente cruda (una rapina in banca è la sirena che le cose stanno cambiando) dei mesi successivi alla caduta del sistema che ha isolato il paese per cinquant’anni.

Attraverso le gesta filosofiche e soprattutto oniriche di Mark Gurabardhi, pittore di Argirocastro (città natale dell’autore) innamorato della sua giovane modella, Kadaré rinfocola il demone del Kanun, l’antico codice di sangue che si riaffaccia nella nuova era dell’Albania con tutta la forza del passato sommerso e che già aveva indagato in un altro straordinario romanzo, Aprile spezzato (La Nave di Teseo 2019).

Eppure al lettore italiano il nome Ismail Kadaré non dirà molto. I suoi lavori sono stati tradotti e pubblicati da diversi editori,senza che nessuno ne abbia sposato l’intero progetto letterario, nonostante i suoi libri siano attraversati da atmosfere e tematiche ricorrenti; nonostante egli abbia all’attivo quasi quaranta fra romanzi, saggi, raccolte poetiche e sceneggiature; nonostante nel 2006 abbia vinto il Man Booker International Prize; nonostante sia stato accostato più volte al premio Nobel e sia tradotto in diverse lingue: al nostro panorama editoriale Kadaré sta come un buon vicino, una voce di cui ci fidiamo ma che, in fondo, conosciamo poco.

Quando arriva da noi nel 1982 con Il generale dell’armata morta (un libro del 1963 divenuto anche un film di Luciano Tovoli con Mastroianni e Piccoli) sono pochi ad accorgersi della dirompenza immaginifica della sua scrittura. Il militare italiano protagonista del romanzo, infatti, è inviato in Albania vent’anni dopo l’invasione fascista per riportare in patria i resti dei caduti e quella che,in base agli accordi intergovernativi, si annuncia come una semplice missione di scavo diventa catabasi di un intero paese – il nostro – senza che al lettore venga risparmiata l’esecrazione dopo l’incubo di distruzione, svuotamento e damnatio memoriae che abbiamo inferto alla terra oltre Adriatico.

Tra i pochi sensibili alla linfa narrativa di Kadaré c’è stato Giorgio Manganelli, che, a proposito dei Tamburi della pioggia (1981), sulle colonne del Corriere della Sera salutava con piacevole sorpresa l’irruzione sulla nostra scena editoriale di un giovane scrittore albanese capace di fare dell’arcaicità «uno stile, un modo calmo e tragico di essere, di parlare, di celebrare» e di affilare l’arcaico con «una precisione e una forza cerimoniale»: ancora oggi una definizione perfetta per lo stile di Kadaré.

Nei suoi romanzi il mito declina spesso nella realtà, portando alla luce una differenza di spessore pressoché inesistente fra il tempo remoto, appunto, e la coercizione del presente. Emblematico, in questo senso, Il mostro (Fandango, 2010), favola a più livelli nel quale un Cavallo di Troia (dall’aspetto rassicurante ma mutevole) attende di entrare con l’inganno o con la forza, a seconda della piega degli eventi, tra le mura di un’Albania trasfigurata in novella Troia mentre uno studente rapisce la giovane Lena, attivando un turbine di eventi simile a quello del ratto di Elena.

Kadaré ha lasciato l’Albania per la Francia nel 1990, dopo una burrascosa e spesso anche “discussa” presa di distanza dal governo del suo Paese. Della sua dissidenza si è occupato anche Alessandro Leogrande, indagandone le contraddizioni in seno al rapporto con Hoxha e con la macchina del potere albanese, alla luce di un costante equilibrio di critica “a distanza” (Kadaré non ha mai rinnegato il comunismo in quanto tale – e per fortuna).

Ma, al di là della più o meno reale opposizione politica, resta il Kadaré magnifico scrittore e inventore di sottili meccanismi narrativi come, per esempio, quello che si avvia nell’Incidente (Longanesi 2008), giallo in odore di biopolitica sulla misteriosa morte di Bessfort Y. e Rovena, amanti finiti con il loro taxi in un burrone; un’indagine per omicidio che si fa esplorazione dell’amore e dell’assassinio delle velleità di chiunque sappia amare, schiacciato dagli ingranaggi del potere (lo stesso Kadaré vi compare fra gli scrittori “da perseguire”, al contrario di Peter Handke, sostenitore della grande Serbia) e dalle remore silenziose dei sensi di colpa (Bessfort Y. è una figura misteriosa al servizio del Consiglio d’Europa); un gioco di specchi nel quale l’amore del XXI secolo si riflette cambiando forma e attraversando i terreni paludosi della violenza e della sottomissione per sprofondare infine nel sacrificio.

Claudio Magris ha detto che «Il mondo ritratto da Kadaré è stato paragonato a quello di 1984 di Orwell. L’analogia è evidente, ma con una differenza: quel mondo rimane esterno, in qualche modo, a Orwell, che non ne fa parte, pur sentendone profondamente l’orribile presenza, mentre Kadaré è un po’ come se avesse realmente vissuto sotto lo sguardo del Grande Fratello». Il mondo indicato da Magris è lo stato totalitario, nel quale Kadaré si immerge utilizzando anche le direttrici di Kafka, oltre a quelle dell’autore della Fattoria degli animali; il tessuto narrativo del Palazzo dei sogni (Longanesi 1991) rimanda, fin dal titolo, agli oscuri anfratti del Castello: qualcosa non di più grande, ma di più “alto” di noi ordina, indirizza, convoglia le nostre esistenze o, come nel Palazzo omonimo, registra i nostri sogni.

A tutto ciò il protagonista Mark-Alem oppone (come il Generale dell’armata morta) una discesa agli Inferi, anche sulla scorta della tradizione dantesca. Proprio a Dante, poeta di un paese che sembra spesso dimenticarsi di lui, Kadaré ha dedicato un appassionato saggio (Dante o l’inevitabile, Fandango 2008), pratica rarissima anche tra i nostri autori. Una storia molto antica che ha trovato nell’invasione fascista e nelle morti dell’Adriatico di questo secolo gli ultimi tragici riscontri di un rapporto arcaicamente sodale, vivo e, non solo per prossimità geografica, “inevitabile”.

Se alcune opere di Kadaré risultano ormai fuori catalogo, altre non hanno invece ancora visto la luce in lingua italiana; dall’ultimo memoriale di esule parigino Matinées au Café Rostand(2017) a Le Firman aveugle, dalla Grande Muraille fino all’intenso Le Dossier H., nel quale due filologi dell’Università di Harvard giungono in Albania per indagare sulle fonti locali all’origine della tradizione omerica (l’H del titolo), scontrandosi ben presto con le paranoie cospiratorie di un commissario distrettuale: un apologo sulla forza persuasiva delle leggende, sulla sottomissione dell’epica al potere, sul significato di civiltà letteraria.

Abbiamo ancora da leggere storie che Ismail Kadaré ha saputo e saprà trasformare in un canto corale (nei suoi libri domina sempre un “coro” mutuato dalla tragedia greca) perché avremo sempre bisogno – per sfiorare Calvino – di classici, specialmente nelle parole di chi ne riconosce le forme alla luce del presente. A Kadaré – cui è stato assegnato nel 2018 il premio Nonino – dobbiamo guardare per sapere dove c’è ancora Novecento; in Kadaré dobbiamo riconoscere non il cantore di una sola regione ma una delle ultime voci discendenti – in qualche modo – dal modernismo europeo; a Kadaré dobbiamo guardare come all’autore più apprezzato di un paese per il quale noi eravamo Lamerica, mentre oggi siamo solo un vicino troppo diméntico e distratto.

Commenti
Un commento a “Perché bisogna recuperare la letteratura di Ismail Kadaré”
  1. Daniele Comberiati ha detto:

    Sì, autore molto interessante, anche se, come si scrive nell’articolo, la dissidenza nei confronti del regime è stata molto discussa. Rimando qui ad un bel pezzo di Francesca Spinelli del 2014, che analizza le sue traduzioni in italiano, anch’esse controverse:

    https://www.nazioneindiana.com/2014/01/22/post-in-translation-ismail-kadare/

    Grazie

    Daniele

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