La straordinaria storia degli Arctic 30
Nel settembre 2013 un gruppo di attivisti di Greenpeace venne incarcerato dalle autorità russe in seguito a una protesta pacifica tentata verso una piattaforma petrolifera della Gazprom, nel mar Glaciale artico. La vicenda – l’arresto, la prigionia, la prospettiva di una condanna a 15 anni di galera – è stata raccontata dal giornalista inglese Ben Stewart nel libro Non fidarti. Non temere. Non pregare, pubblicato in Italia da e/o. Di seguito ospitiamo la prefazione di Paul McCartney al libro, ringraziando l’editore.
di Paul McCartney
1968. Un anno memorabile. Le folle riempivano le strade, la rivoluzione era nell’aria, uscì il nostro White Album e la foto forse più significativa di tutti i tempi fu scattata da un astronauta di nome William Anders. Era la vigilia di Natale. Anders, il suo ufficiale di rotta Jim Lovell e il comandante della missione Frank Borman avevano appena circumnavigato la Luna per la prima volta nella storia dell’umanità. Fu allora che, da dietro il piccolo finestrino della navicella spaziale Apollo 8, i loro sguardi caddero su qualcosa che nessuno aveva mai visto prima, qualcosa di familiare e alieno al tempo stesso, qualcosa di straordinariamente bello e fragile. «Oh, mio Dio» gridò Anders. «Guardate che spettacolo, laggiù! La Terra sta sorgendo. Wow, è bellissimo!».
Verso dove eravamo partiti: il cuore oscuro dell’Europa
Questo pomeriggio alle 18, presso la galleria Carlo Virgilio in via della Lupa, Roma, si inaugura “La Ville Noire – The dark heart of Europe“, mostra fotografica con gli scatti di Giovanni Troilo. Pubblichiamo il testo che Lorenzo Pavolini ha scritto per il catalogo della mostra.
di Lorenzo Pavolini
Il gomito di un gasdotto si staglia sul cielo rosso, sopra i tetti più neri dell’ardesia e la cortina di mattoni velata di fuliggine. Non sembra pesare sulle grondaie e sugli infissi delle finestre chiuse, né sulla vita dietro le tende. Nella sua scomoda virata il tubo incatramato appare collegato al nulla. Il bagliore di un tramonto siderurgico illumina la scena ideale per le sequenze di un Blade Runner europeo. Ma il racconto a cui introduce non si svolge in un prossimo futuro indesiderabile. Non ha nulla di profetico. Il mondo che abita dietro quelle finestre è qui adesso, a pochi chilometri dalle sedi politiche d’Europa, e consuma psicofarmaci in quantità, traffica con le armi e con i corpi in una cruda quotidianità da cui il sogno stesso di un’istituzione capace di far fronte alla sua crisi è stato espulso da tempo, e ormai senza rimedio.
I nuovi muri
Pubblichiamo un intervento di Alessandro Leogrande apparso su Lo straniero e vi invitiamo a visitare il sito della rivista, da poco online con una veste grafica completamente rinnovata.
Di fronte all’arrivo dei profughi lungo la rotta balcanica (in particolare siriani e afghani) risorgono in Europa nuovi muri materiali e mentali. Non c’è solo quello fisico, di filo spinato, eretto lungo il confine ungherese. Non c’è solo il cumulo di restrizioni che si alimenta di giorno in giorno in Slovenia, Croazia, Repubblica ceca, Slovacchia…
Alle spalle di tutto ciò sembra risorgere idealmente la vecchia cortina di ferro. I paesi dell’ex “blocco orientale”, entrati di recente nell’Unione europea, si riscoprono ammalati di nazionalismo, razzismo, nuovi fascismi, del tutto impreparati a gestire un fenomeno imponente come l’arrivo o il transito di migliaia di profughi. Un esodo non emergenziale, ma strutturale, che mette in discussione la tenuta della stessa Unione europea (oltre che le politiche dei paesi entrati nell’Ue molto prima).
“I gufi non sono quello che sembrano” L’editto bulgaro in salsa PD
Questo pezzo è uscito su La Repubblica.
Devo confessare di non essere rimasto sorpreso quando Michele Anzaldi ha incluso anche me nello sgraziato editto bulgaro in salsa Pd con cui si torna a minacciare l’indipendenza (o ciò che ne resta) della televisione pubblica. Ogni potere ha bisogno della sua narrazione, e ogni storytelling di potere esaspera fino alla comicità perversa I vestiti nuovi dell’imperatore di Andersen: non solo vuole che il re non sia nudo, ma pretende che persino chi veste di stracci per necessità sia immaginato in smoking a conversare dolcemente di meteorologia in una realtà parallela. Nel nostro caso, un Chiantishire dell’anima.
Lì dove finisce il discorso comincia la violenza
di Evelina Santangelo
Dunque, da una parte c’è uno scrittore che, in merito alla vicenda che lo vede imputato per istigazione a delinquere,pronuncia in aula e scrive (nel suo libro-difesa La parola contraria) parole di questo tipo: «Io, se istigo, istigo alla lettura. Al massimo alla scrittura».«L’accusa contro di me sabota il mio diritto costituzionale di parola contraria. Il verbo sabotare ha vasta applicazione in senso figurato e coincide con il significato di ostacolare. I pubblici ministeri esigono che il verbo sabotare abbia un solo significato. In nome della lingua italiana e del buon senso nego il restringimento di significato».
Sfidando la paura: Giancarlo Siani
Il 23 settembre 1985 Giancarlo Siani, cronista del Mattino, venne assassinato dalla camorra. Di seguito pubblichiamo un pezzo apparso sul quotidiano campano il 3 settembre 1984 (dal titolo In via Castello sfidando la paura) e raccolto nel libro Fatti di camorra – dagli scritti giornalistici, edito da Iod edizioni. Il volume è curato dall’associazione intitolata al giornalista napoletano, che ringraziamo.
Il libro riceverà oggi presso la sede del Mattino il premio Siani, assegnato quest’anno, in occasione del trentennale dell’assassinio, “a tavolino”, senza nessun bando, per omaggiare la memoria del giornalista a cui il premio è intitolato.
di Giancarlo Siani
«Finita la scuola ce ne andremo via, vivere qui è diventato impossibile »: un gruppo di ragazzi è tornato nella chiesa di San Francesco di Paola, a pochi passi dal luogo della strage. Una chiesa deserta. C’erano solo loro. Anche domenica scorsa erano lì: hanno vissuto quei terribili minuti di fuoco e di terrore. «I nostri genitori volevano farci stare in casa– dice Lorenzo, 15 anni, quarto anno all’istituto tecnico “Marconi” – c’è tanta paura in giro ma per noi è una domenica come le altre, con tanta voglia di lasciare questa città che non offre possibilità di lavoro, momenti di aggregazione».
Le parole si difendono e si combattono a parole, non con i processi
Ho sempre trovato odioso il modo in cui Erri De Luca scrive. Enfatico, ricattatorio, autocelebratico, dannunziano, kitsch. Ho trovato le sue posizioni sulla sua militanza in Lotta Continua narcisistiche e irrispettose per i compagni di allora e per il movimento in generale, oltre che politicamente ingenue, vigliacche, sbagliate. Qualche anno fa sullo Straniero uscì un […]
Il dossier della felicità. Parte II
di Alessandro Raveggi
Sparire in Messico senza sparire sul serio
In Messico l’arte della fuga è una delle specialità degli italiani: fuggire dall’inedia, dall’IRPEF, dalle partite iva, dalle notizie sui giornali locali, da una celebrazione del passato che non riserva alcuna promessa del futuro, e mimetizzarsi nella polvere, sotto l’ombra di una piramide azteca, sparire in una selva più o meno reale, meglio con una strada imboccante il mare caraibico. “Se un giorno mi cercherete, non mi troverete qui” dice il Buñuel citato dal mio secondo intervistato, Diego Barboni, esperto di cinema e docente tra i più apprezzati all’Istituto Italiano di Cultura di Città del Messico. Eppure Buñuel qui c’è rimasto quasi mezzo secolo e da questo trampolino surreale ha raggiunto la fama internazionale.
If the shoe fits: il genere della questione
(nella foto, una scena della serie The Mindy Project)
di Domitilla Pirro
“Il problema con il genere è che prescrive come dovremmo essere invece di riconoscere come siamo”. Nella celeberrima TED Talk We should all be feminists (trascritta a suo tempo da Internazionale e riproposta da Einaudi qualche mese fa), Chimamanda Ngozi Adichie alterna aneddoti efficaci e one liner a doppio taglio. Racconta ad esempio: “Conosco una donna che ha sempre odiato le faccende domestiche, ma faceva finta di amarle perché le è stato insegnato che la donna da sposare dev’essere anche – per usare una parola nigeriana – una donna di casa. Poi si è sposata. E la famiglia del marito ha cominciato a lamentarsi di lei dicendo che era cambiata. In realtà non era cambiata. Si era solo stancata di fingere di essere ciò che non era”. Qui (e ogni volta in cui Adichie parla di “donne che si trattengono. Che non sanno dire quello che pensano davvero. Che hanno fatto della simulazione una forma d’arte”) la scrittrice igbo mi ricorda inevitabilmente la gemma nascosta dentro Gone Girl di Gillian Flynn: la confessione di una Strafiga (in originale, Cool Girl) che tale non è affatto, ma finge – finge di amare la birra, le gare di rutti e il sesso anale col solo scopo di irretire il pollo che ce casca.
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