Descensus

È la domenica più malinconica dell’anno, la domenica di fine ottobre in cui si torna all’ora solare. Paolo si trova a San Callisto, a Roma, e sta concludendo una visita guidata delle catacombe insieme a un’amica.

La guida termina le sue spiegazioni trovando il modo di introdurvi con astuzia una catechesi asciutta ed efficace sulla speranza cristiana nella vita eterna. Il signor Nazzareno (la doppia zeta l’ha subito infastidito leggendo il nome sulla targhetta: ma è lecita quella grafia?) invita i visitatori a seguirlo per gli ultimi cunicoli e a prestare attenzione ai loculi di cui sono affollate le pareti. Purtroppo le nicchie sono state spogliate quasi tutte del marmo che le rivestiva e ora mostrano solamente la propria anima di tufo. Paolo si attarda un minuto a considerare le dimensioni minuscole delle tombe dei neonati e la loro sorprendente quantità.

La leggerezza della lumaca

Pubblichiamo un racconto dalla raccolta “Gli effetti invisibili del nuoto” di Alessandro Capponi, uscito a settembre per Hacca Edizioni. * Fino a quel giorno era stata una bambina buona, un’adolescente assennata, una brava ragazza e una donna solida e stabile: questo pensò di sé la lumaca Beatrice andando di buon mattino in metropolitana verso il […]

I miei amici

di Alfredo Palomba Altra giornata splendida sulla mia collina del cuore, sembra quasi che non debba piovere mai più. Sono piuttosto sicuro che se l’inferno esistesse, il meteo lì sarebbe sempre questo: niente fuoco e fiamme, niente magma, un’eternità placida e confortevole scaldata da un sole costante ma non invadente, uno stato immutabile di benessere […]

La prospettiva degli altri

di Graziano Gala Ci salutano – diceva il capitano dalla barca – ci salutano, e scappellava e sirenava a beneficio dei bagnanti. L’agitarsi delle braccia sulla costa contentava il resto dei presenti, così lontani da giorni da una terra che a vederla non era più così lontana. Una terra diversa, sconosciuta, eppure amica; uno stuolo […]

Eventi fortunati

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di Saverio Mariani

Te ne sei reso conto uscendo da casa sua, in un attimo di lucidità che ti ha percorso non appena il cancello in fondo alle scalette si era richiuso alle tue spalle: era notte ma c’era luce, anche lì in quel reticolo di case tutte appiccicate che si spiano l’un l’altra. Una volta uscito sullo spiazzo esterno dove avevi parcheggiato ti sei accorto della luna piena. Hai camminato dal cancelletto alla portiera della macchina guardando per terra, attraverso il fumo che usciva dalla tua bocca e sentendo immediatamente freddo.

Le Bombarde

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Era l’ora delle streghe, quel momento speciale del giorno in cui la canicola offusca i sensi e li rende particolarmente impressionabili, esposti al panico e alla confusione. Sul campeggio regnava un silenzio sovrumano, come se l’universo fosse in procinto di rivelare un segreto e aspettasse il momento più propizio per farlo. Le tende, adagiate sugli aghi di pino bruciati dal sole, sembravano disabitate. Si sentivano solo i grilli, con il loro verso simile al ticchettio di un misterioso congegno a orologeria che regoli con indifferenza le incessanti rivoluzioni del mondo.

Uccellini

Colla, una rivista letteraria che ciclicamente propone nuove voci e nuovi racconti, è da poco online con il numero 28. Ringraziando la rivista, pubblichiamo qui uno dei racconti. Il dipinto è di Albrecht Dürer.

Ho come un battito d’ali nel petto.
Victor Hugo

Eravamo così poveri che, ogni sera, invece di restare seduto guardando i piatti vuoti, mio padre batteva un pugno sulla tavola, e urlava che ero stata cattiva, ed elencava la lista interminabile delle cattiverie commesse a casa e a scuola, e concludeva che se avevo il male dentro, non c’era altra soluzione, e mi spediva a letto senza cena.

Io mi alzavo dalla sedia, e fissavo la faccia rossastra di mio padre, cosa infinitamente migliore che fissare il biancore dei piatti vuoti, e dicevo scusa, dicevo non lo farò mai più, anche se non avevo fatto nulla di cui farmi perdonare, e a capo chino infilavo la via del corridoio.
E una volta in camera mia, chiudevo subito la porta, e cercavo di non sentire le urla di mio padre e di mia madre, i piatti che si schiantavano contro le pareti, e prendevo i libri dallo zaino, e legavo i capelli in una coda, e continuavo a studiare scienze naturali, almeno fino a quando la stanchezza non faceva di me una piccola alga fluttuante nella piccola luce della lampada.
Ma non c’era modo, poi restavo tutta la notte con gli occhi aperti, e mi giravo nel letto, e non riuscivo a prendere sonno, e tutto questo per via del mio stomaco, che a volte emetteva oscuri brontolii, altre volte veri e propri discorsi con una voce che non sapevo che sesso avesse.

Fine della settimana

Pubblichiamo un racconto tratto da “Darsi del tu”, la nuova raccolta di racconti di Edina Szvoren, in uscita per Mimesis Edizioni il 18 giugno (traduzione dall’ungherese a cura di Claudia Tatasciore). (Foto) * di Edina Szvoren Mio fratello arrivò in perfetto silenzio. Non fece rumore con il portachiavi e, anche la zip della giacca, fu […]

La prima sembianza. Un racconto su Guido Cavalcanti e Dante Alighieri

Eppoi una notte che si stava in piazza e si era ancora ai primi freddi ci ha chiesto Avete fatto caso che sono sempre i mariti delle brutte a difenderlo, il matrimonio? Assurdo. E Lapo, che sedeva per terra con la schiena appoggiata alla panchina, la testa rovesciata alle stelle piccine piccine, borbottava. Per forza, poveracci, devono farselo andare giù. La prigione rende stronzi. Stupidi. Avidi, stronzi e stupidi, ha scandito Forese, affondando il fiasco nell’aria a ogni parola. Sbatteva gli occhi, e dondolava sulle zampe da trampoliere.

La Chiara del Davanzati non è così disperata, ha buttato lì tuo cugino. Sei un nano, Lapo. E calvo. Ah! Cecco stava rannicchiato in un angolo, un ghigno sulla bocca nera e i capelli incollati sulla fronte bianca, la barba sudicia, a fissare ingrugnito chissà cosa.

Riavvolgendo una storia a Mons

di Ciro Fanelli

Avec la mer du Nord pour dernier terrain vague
Et des vagues de dunes pour arrêter les vagues
Et de vagues rochers que les marées dépassent
Et qui ont à jamais le cœur à marée basse
Avec infiniment de brumes à venir
Avec le vent de l’est écoutez-le tenir
Le plat pays qui est le mien

Jacques Brel – Le plat pays

La prima volta che la vidi vivevo ancora in Belgio: un giorno mio padre mi disse che aveva acquistato online una cartolina del nostro paese, l’aveva presa perché non aveva mai visto una copia di quello scatto, preso in un angolo del centro che ora non esiste più.

Al di là della curiosità fotografica me lo disse perché la cartolina era stata spedita nel dopoguerra da una donna che la inviò a una famiglia italiana a Mons.