Negli ultimi due giorni, in occasione del suo novantesimo compleanno, D Donna e l’inserto culturale di Repubblica hanno dedicato due lunghe interviste, una più intima, una più intellettuale, a Eugenio Scalfari. La prima gliel’ha fatta Concita De Gregorio – quella sugli amori -, la seconda gliel’ha fatta Antonio Gnoli – quella sui bilanci intellettuali e esistenziali.
Nella prima intervista, quasi una confessione, Scalfari lascia scrivere a Concita De Gregorio delle dichiarazioni che, anche se in buona parte risapute, messe in fila risultano rilevanti: che è stato bigamo per buona parte della sua vita adulta (Simonetta e Serena); che nel corso del matrimonio ha avuto molte avventure ma sua moglie non ci dava peso (“Sentiva il radicamento della nostra unione. Non conoscevo senso di colpa. Insieme ridevamo della psicanalisi”); che quando era un pischello venne portato da un amico più grande al bordello e si divertì ma non ci torno più e che c’era anche Italo Calvino che invece di fronte alla combriccola di loro maschi infoiati fece un po’ una figura di merda (“Al bordello non rifiutai, ma non mi divertii. Feci il mio dovere. Non ci sono più tornato. Calvino no, uscì urlando.”); che la prima volta con Simonetta non è riuscito a scopare, e che Simonetta dopo un po’ che si erano conosciuti non si sa in nome di cosa andò a lavorare all’Espresso. (“La data del nostro incontro è il 21 gennaio ’66. Presto venne a lavorare all’Espresso. Non potè farlo da fotografa, si adattò a svolgere perfettamente compiti di ausilio al lavoro di redazione.”); che conoscendo Simonetta è diventato femminista e che il femminismo per Scalfari si sintetizza in una singolare concezione (“Con lei sono diventato femminista: nel suo modo, che è quello di rivendicare gli stessi diritti ma non l’omologazione dei valori. I valori maschili sono diversi da quelli femminili. Il potere in sé, salvo eccezioni, non è un valore femminile. Per le donne il successo è lo sviluppo di un progetto, l’affermazione di un obiettivo”); che ogni tanto si sbaglia chiamando l’una con il nome dell’altra (“A volte, ancora, sbaglio il nome di Serena con quello di Simonetta. Lei non mi corregge mai”); che le donne a Repubblica sono state importanti, anche se non hanno ricevuto il riconoscimento che forse dovevano (“Sorde alle lusinghe del potere, disinteressate ai privilegi e generose. Hanno dato al giornale più di quanto il giornale abbia dato loro. Ho imparato da loro quel che c’è di più importante, il senso ultimo della vita. Mi scuso, ora e con tutte, degli errori che ho commesso. Devo loro solo un grazie”).
Sempre nell’intervista con Concita De Gregorio parla di desiderio, in questi termini: “Ho amato molte donne, se con amare s’intende l’appetito del corpo” e “La invitai a ballare, le feci capire il mio desiderio di lei”; mentre nell’intervista che gli ha fatto oggi Antonio Gnoli ne parla in questi altri termini: “I desideri sono la sola cosa che la vecchiaia non ridimensiona. Per quanto mi riguarda sono stato un uomo plurimo e i miei desideri notevoli e spesso contraddittori. Ho dovuto conciliarli tra dolori e felicità”. In realtà è il tono delle due interviste è completamente differente. La prima che dovrebbe secondo Concita De Gregorio intitolarsi “Io e le donne” non è nemmeno un’intervista nel senso pieno del termini, ma è un monologo interrotto da qualche notazione di CDG (le uniche donne che cita in realtà, a parte gli affetti e le colleghe-dipendenti, sono personaggi mitici: Atena, Calipso, Nausicaa, Circe, Penelope); nella seconda intervista, con Gnoli, invece cita come, a parte il padre e i ras fascisti, nell’ordine: papa Francesco, Italo Calvino, Cartesio, Montaigne, Voltaire, Rousseau, Nietzsche, Gottfried Benn, Rilke, Omero, Shakespeare.

Dopo aver letto questi due lunghi pezzi celebrativi, mi sono posto alcuni semplici interrogativi; mi sono chiesto per esempio che effetto avrebbero fatto se fossero stati pubblicati tre o quattro anni fa, nella piena delle campagne di Repubblica contro il Berlusconi maschilista e puttaniere e della nascita di Se non ora quando? Lo dico senza davvero moralismo, ma anzi mi sento quasi sollevato nel notare come nel codice genetico del giornalismo e della cultura italiana che celebra in Scalfari un monumento, sia evidente, in modo pressoché illustrato, un modello di dominio maschile genuinamente patriarcale. Con le donne ci si racconta come tombeur de femmes, con gli uomini si parla di illuminismo. È incredibile come a Eugenio Scalfari stesso questa contraddizione non sia saltata all’occhio. Il fondatore del giornale che ha fatto per almeno un paio d’anni, a tamburo battente, campagne sul ruolo della donna, umiliata culturalmente, vittima del berlusconismo che l’ha ridotta a un mero oggetto del desiderio e del complice maschilismo intellettuale italiano, manifesta un’idea della cultura in cui le donne danno vita a un dibattito pubblico per caso, e in cui l’amore viene raccontato con accessi di quello che nel più gentile degli eufemismi chiamerei dannunzianismo. È stata forse brava Concita De Gregorio a fare uscire da Scalfari in modo così scoperto questo aspetto patriarcale, ma per molti versi è semplicemente Scalfari stesso che facendo un bilancio della propria vita rivendica in entrambe le interviste una specie di nostalgia per valori della sua gioventù vissuta in un Sud simile a quello dei Basilischi della Wertmuller.

Si possono trarre molte conclusioni diverse leggendo insieme queste due interviste (la prima, da D Donna, la trovate qui; la seconda dovrebbe essere on line a breve). Ma sicuramente l’impressione, per un lettore di Repubblica abituato a considerarsi parte di una specie di élite laica e progressista, è quella di sconcerto. È come se un rimosso fosse confessato con una spudoratezza quasi eccessiva. E non si tratta, beninteso, di una manifestazione troppo schietta, esagerata, di intimità (e qui un lettore che ha masticato un minimo di quella psicanalisi sbeffeggiata da Scalfari, ha idea che ci sia una sindrome narcisistica forte – ma quando Gnoli gli pone esplicitamente la domanda “Sei narciso?”, Scalfari la liquida con un “L’ho anche scritto”); si tratta piuttosto di una mancata elaborazione minima, da political correctness verrebbe da dire, del femminismo, della sua cultura, del suo discorso politico.
Questo dato risulta tanto più interessante nel momento in cui sempre Scalfari insieme a Ezio Mauro si trovano in imbarazzo perché sul giornale che è stato il più feroce antagonista del berlusconismo ora convinvono il sostegno tra il pacato e il partigiano di fondatore & direttore per Renzi con l’ostilità di figure come Barbara Spinelli, Gustavo Zagrebelsky o Stefano Rodotà che sono stati fino a ieri quegli editorialisti utili a creare il consenso di area per un quotidiano battagliero, tutto volto a voler riscattare moralmente l’Italia.

Quel che invece appare paradossalmente cristallino è come la battaglia etica contro il Berlusconi lenone (la campagna per il processo a Ruby, le intercettazioni con le olgettine, i video della D’Addario, le 10 domande ripubblicate ad nauseam, etc…) fosse strumentale e complementare alla debolezza del contrasto politico al berlusconismo. Il femminismo – la verniciatura femminista, il presunto recupero di una prospettiva femminista – ora non serve più, e non c’è nessuna vergogna a presentarsi come un patriarca (Come del resto accadeva in un’altra intervista di un paio di anni fa all’Espresso in occasione dell’uscita del suo libro Scuote l’anima mia Eros: “L’amore per Simonetta e per Serena sono state due parallele. Nessuna delle due era subordinata all’altra. Sapevano l’una dell’altra. Provavo a stare con una sola delle mie donne. Ma era come se tentassi di tagliarmi una gamba, un braccio e metà del cervello». Inevitabile quindi fu considerare la fatica del triangolo in cui io mi assumevo il ruolo che spetta al padre”).

In tutto questo, temo, non si tratta di una questione ad personam, delle novanta candeline per Scalfari il cui fumo opacizza in fondo anche le critiche per un personaggio davvero di un altro secolo. La sensazione è che le interviste a Scalfari siano un modello molto invalso per la cultura italiana: l’idea che le intellettuali donne siano non solo ridotte a una minoranza, ma esaltate e ammirate proprio perché minoranza, proprio perché subordinate, proprio perché “rinunciano al potere”, proprio perché a 90 anni basta dirgli grazie, è stato bello, baci a tutte, bene così.

 

 

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30 commenti

  1. ” Il potere in sé, salvo eccezioni, non è un valore femminile. Per le donne il successo è lo sviluppo di un progetto, l’affermazione di un obiettivo”
    tra l’altro non si capisce perchè sviluppo di un progetto e affermazione di un obiettivo dovrebbero riguardare solo gli uomini e perchè non siano compatibili col potere.
    Sulla vita privata di Scalfari non mi sento di dire nulla

  2. dico solo una cosa: diffidate il più delle volte di un uomo che dichiara “sono diventato femminista”

    “non si capisce perchè sviluppo di un progetto e affermazione di un obiettivo dovrebbero riguardare solo gli uomini”
    volevo dire “le donne” ovviamente

  3. Christian, Scalfari non ama (eufemismo) renzi, da sempre. All’epoca delle primarie contro Bersani scrisse che in caso di vittoria di renzi non avrebbe votato pd. Dopo ha censurato in ogni modo l’ascesa di renzi a palazzo Chigi. Ancora ieri gli dava del populista ecc ecc, ma davvero basta fare una breve ricerca per capire che non gli piace. In un articolo sull’espresso di qualche mese fa lo accostava velatamente ma non troppo a Craxi eccetera.

  4. Ho detto che non volevo esprimermi sulla vita privata di scalfari ma devo dire che questa frase “Inevitabile quindi fu considerare la fatica del triangolo in cui io mi assumevo il ruolo che spetta al padre” è tremenda

  5. Basta ricordare che si sia fatto pubblicare dai Meridiani per capire l’ego smisurato di questo maldestro ignorantone. Uno dei pochi esseri viventi a cui auguro sinceramente, ma senza astio, di morire.

  6. Secondo me il punto non è tanto la presunta strumentalizzazione politica da parte di Scalfari del femminismo in chiave anti berlusconiana: non trovo sia una strumentalizzazione perché il femminismo è comunque per sua natura contro Berlusconi, modello di potere patriarcale e fondato sull’uso innegabilmente strumentale del corpo femminile.
    Il punto è un altro: la differenza tra morale pubblica e morale privata. Per banalizzare, un predicare bene e razzolare male. Repubblica ha fatto campagne per l’emancipazione femminile, condannando un certo uso del corpo delle donne mentre nel frattempo Scalfari svolgeva la sua vita secondo una morale maschilista, rimanendo una persona legata a valori tradizionali e a un modello maschile che è quello italiano tipico del dopo guerra.

    A mio avviso questo la dice lunga sulla pervasività di certi valori e di certe idee, che pure in chi si ritiene (e pubblicamente si manifesta) come progressita, sono ben radicati.
    E’ giusto tenere alto il livello di guardia su questo maschilismo intimo ma allo stesso tempo è un problema di gran lunga meno grave di un altro genere di maschilismo, pubblico e mirato a fare proselitismo.
    Come dire, Scalfari ha comunque un certo pudore, un’incoscienza, tipica di un uomo che oggi ha 90 anni, vissuto in un’altra epoca.

    L’importante è che oggi questi valori non siano più accettati e che anche noi uomini, come giustamente fai tu nell’articolo, siamo in grado di decodificare un discorso maschilista e rifiutarlo come non necessario, inutile.
    E’ l’unico modo per uscire del tutto dal ‘900 cui personaggi come Scalfari sono indissolubilmente legati.

  7. onestamente non comprendo il senso di utilizzare la vita privata di Scalfari nel valutare il suo lavoro da fondatore, direttore e poi editorialista di Repubblica, in relazione al femminismo (in senso lato)
    premesso che le critiche a Berlusconi sono state fatte non tanto sulle cene eleganti, quanto sulla questione prostituzione e soprattutto sul portare a cariche pubbliche le sue varie donne, ma in tutto l’articolo solo le parole di Scalfari relative a quanto (anche a Repubblica) siano state valorizzate poco le donne ha un qualche senso, se lo scopo è dare del finto femminista.
    quelle relative al potere invece sono una realtà tutt’oggi e lo dicono studi seri sul rapporto fra donne e potere e sull’autoesclusione.

    il resto fa ridere: ha 90 anni, per l’appunto. poi, sul fatto che una delle interviste volga più sul privato e l’altra sul pubblico, banalmente appaiono in contesti diversi. suppongo che un certo taglio sia stato voluto da CdG e dal direttore di D.

    @riccardo, a proposito di linguaggio e di valori, leggiti la recensione di Raimo al film Her”, così vedi come tratta la Scarlett e come ne definisce subito la prestazione attoriale. così, giusto perchè devo ancora trovare uno dei paladini delle donne essere coerente con le critiche mosse ad altri o altre.

  8. “… Per le donne il successo è lo sviluppo di un progetto, l’affermazione di un obiettivo”

    Ohibò, ora mi conosco meglio: sono una donna!

    @Paolo: <>

    Più che tremenda, è incomprensibile: che cosa c’entra il “ruolo del padre” nel fatto che uno abbia una relazione sessuale o sentimentale con due donne? Cosa c’entra “dentro la relazione”, dico.

  9. “Ma sicuramente l’impressione, per un lettore di Repubblica abituato a considerarsi parte di una specie di élite laica e progressista, è quella di sconcerto”.
    Personalmente è sconcertante leggere un’affermazione del genere dopo le valanghe di merda che Repubblica sistematicamente continua a catapultare contro quelli che vengono considerati i “nemici” del PD, delle larghe intese, di Napolitano, di Scalfari, e compagnia bella.
    Non proprio roba da giornale progressista direi.
    Di Scalfari, e della sua vita personale soprattutto, non me ne frega una beneamata ceppa, considerando che dopo le monumentali cazzate che è andato scrivendo in questi ultimi anni hanno pensato bene di celebrarlo (e a quanto vedo continuano a farlo) in tutte le ipocrite, insulse, vomitevoli, salse all’italiana.

  10. Sapido come sempre, Raimo.
    Osservo solo come discettare di ipocrisia lasci un po’ il tempo che trova, sfortunatamente.
    E mr. Scalfari è un ipocrita monumentale, gigantesco, ciclopico, intergalattico, incommensurabile.
    Testimonianza ‘vivente’ dell’ipocrisia come elisir di lunga vita.

  11. Sono rimasta basita nel leggere l’intervista della De Gregorio. Del resto quando il narcisismo impera i risultati (inaggettivabili, per non sconfinare nell’osceno) sono questi. Mah.

  12. sono contenta di non aver letto le due interviste
    Non ho mai pensato che quello di Repubblica fosse femminismo, ma semplice senso del pudore, e qui non lo uso in modo negativo
    Continuo a pensar che il 13 febbraio con se non ora quando sia successo un fatto straordinario
    continuo a pensare che questo sia un paese misogino e patriarcale, ovunque, spesso dove meno te lo aspetti

  13. Io dico solo questo, che mi sembra assolutamente incredibile, impensabile, da Turkmenistan, la mole di tributi e riverenze e omaggi a un anziano giornalista che, fatte salvo le intuizioni e le furbizie e le diverse abilità del suo annoso mestiere, e narcisismo megagalattico a parte, si atteggia a filosofo (in un Meridiano Mondadori, quasi un volume della Pléiade!) restando un opinionista con una cultura da studente universitario che adora il suono della propri voce quando ripassa gli argomenti d’esame a voce alta, eppure non c’è nessuno che non dico lo corregga, ma almeno lo ridimensioni; che qualunque stronzata dica, come queste sulle sulle donne, appunto, affermazioni di una banalità sconcertante, se non ridicole e offensive, gli vengono fatte passare come normali o addirittura intelligenti. Ma dove avviene in Europa qualcosa del genere? E’ possibile che nessuno osi dire le verità? E sarebbe stato Berlusconi il censore? Raccolgo scommesse sul fatto che, scomparso Scalfari, i suoi svariati e attuali leccaculo faranno a gara per demolirlo, ma con una volgarità che sarà indegna anche per lui.

  14. Per me l’aura di rispetto intellettuale che avvolge Repubblica e il suo fondatore rimane un mistero. Il giornale ha qualche bravo giornalista, ma mi pare sostanzialmente un ritrovo di studenti che hanno fatto “i compiti a casa” e con una tendenza provinciale a interpretare qualsiasi cosa sulla base dell’Italia e di cosa dicono dell’Italia all’estero. A questo punto meglio la Stampa, se proprio devo leggermi qualche versione “ufficiale”.
    Le analisi del fondatore sono in genere inutilmente verbose e non mostrano nessuna chiarezza argomentativa. I libri di carattere filosofico sembrano scritti da un brillante studente di liceo che ha letto qualche Adelphi e delle dispense su Heidegger, annotandosi i termini da metafisica dei baciperugina. Se andasse a presentare i suoi libri per le biblioteche di paese non ci sarebbe niente di male, ma dedicargli un Meridiano mi pare, francamente, assurdo.
    Senza contare che il finanziatore di tutta la baracca (De Benedetti) non mi pare questo granché a livello etico e intellettuale.
    Concludendo: a mio avviso, quando (quando?) saremo fuori dall’incantesimo che per venti anni ci ha portati a considerare normale doversi occupare di Berlusconi, il valore di Scalfari & C. finirà di essere esclusivamente relativo e, quindi, si ridimensionerà.

  15. Solo un appunto Christian. E’ un peccato che il tuo articolo, così penetrante e ben scritto cada in un’imprecisione che, se non fosse per tutto il resto dello scritto, potrebbe far pensare a un po’ di superficialità nella lettura, che potrebbe riflettersi nei giudizi. Lì dove fai confusione fra Serena e Simonetta e attribuisci alla prima le frasi che Scalfari pronuncia per la seconda («Simonetta dopo un po’ che si erano conosciuti non si sa in nome di cosa andò a lavorare all’Espresso. (“La data del nostro incontro è il 21 gennaio ’66. Presto venne a lavorare all’Espresso. Non potè farlo da fotografa, si adattò a svolgere perfettamente compiti di ausilio al lavoro di redazione.”»). La segretaria di redazione dell’Espresso per anni fu Serena Rossetti, non Simonetta De Benedetti. A parte questo grazie. Per me Scalfari, un mito negli anni dell’antiberlusconismo, la cui lettura dell’editoriale domenicale è stato per me un rito ultraventennale, da qualche tempo si sta demolendo da solo (editoriali saccenti e ripetitivi, libri superflui e narcisistici, atteggiamenti tromboni) ma tu hai contribuito con molta chiarezza e profondità.

  16. Anch’io sono un ex-lettore di Repubblica, nel senso di persona che (da giovanissima) con quello sguardo sul mondo e con quei valori si identificava.
    Sì, l’illuminismo liberale di sinistra di Scalfari non funziona: l’uomo e la donna di sinistra à la Scalfari cadono sempre in piedi, sanno sempre cosa è bene, sono la parte sana del paese e tutto il resto è volgarità. Moralismo chic e superbia intellettuale.
    Sì, queste parole di Scalfari sulle donne sono paternaliste e inadatte a un tempo che non è più quello che fu.

    Però.

    Raimo parlava di due cose: dell’ambiguità e vischiosità intellettuale di un certo tipo di sinistra italiana colta e, in filigrana, del femminismo.
    Poteva essere l’occasione per riflettere su quanto la spocchia morale e intellettuale di noi di sinistra (“l’Italia berlusconiana è la pancia e i genitali, noi siamo la mente e lo spirito”) sia ipocrita e ci impedisca di guardarci allo specchio e dentro e di riconoscere il piccolo Berlusconi che è in noi: magari per tenerlo a bada, limitarne le pretese, vergognandocene un po’ – a differenza di quegli altri, che lo ostentano col ghigno sulla faccia. lI rapporto di Scalfari con le donne, la sua scissione tra lucidissimi valori etico-politici e narcisismo privato, qui fungeva da reagente che portava tutto questo ad emersione.

    Mi spiace quindi che il pezzo di Raimo sia diventatato, in alcuni commenti, la miccia che scatena soltanto la rabbia contro la lobby di Repubblica, l’odio ideologico, nonché, ultimo ma non ultimo, gli auguri di morte a un uomo che incarna in sé troppi simboli per essere solo un uomo (dunque, è il simbolo che si vorrebbe morto, lo so), ma che è, in fondo, soltanto un uomo: vecchio, prossimo alla morte, pateticamente ripetitivo e ossessivamente concentrato su di sé come ogni vecchio, e che lo è in misura maggiore perché dotato da sempre di un ego smisurato. Ma, ripeto, con tutto ciò è pur sempre e soltanto un uomo, un povero cristo come chiunque altro.

    Dopo la fine della convinzione di un primato etico-spirituale non resta, a noi di sinistra, che il risentimento e la mancanza di pietas?

  17. Si contende con l’Ingegnere la palma del più odioso.
    Barbapapà però lo supera in narcisismo.

  18. “Quel che invece appare paradossalmente cristallino è come la battaglia etica contro il Berlusconi lenone (la campagna per il processo a Ruby, le intercettazioni con le olgettine, i video della D’Addario, le 10 domande ripubblicate ad nauseam, etc…) fosse strumentale e complementare alla debolezza del contrasto politico al berlusconismo. Il femminismo – la verniciatura femminista, il presunto recupero di una prospettiva femminista – ora non serve più, e non c’è nessuna vergogna a presentarsi come un patriarca”

    Il “patriarcalismo” di tipo “scalfariano” possiamo valutarlo criticamente e decidere: nel caso, ad esempio, se acquistare La Repubblica o il suo Meridiano (sic!) oppure no, o ancora leggere il suo editoriale della domenica oppure no, eccetera.

    Il “patriarcalismo” di tipo “berlusconiano”, al contrario, non era sottoponibile ad alcuna scelta critica da parte nostra: il vizio rendeva ricattabile un uomo politico (nel caso, il più potente, il capo del governo), il “fatto privato” diveniva pubblico influenzando le scelte politiche e i rapporti internazionali del nostro Paese, ergo condizionando la vita di noi tutti.

    Per quanto Scalfari e il sistema-Repubblica possano risultare irritanti e autoreferenziali – e, per quanto mi riguarda, lo sono -, definire strumentale una battaglia politica come quella “etica contro il Berlusconi (Presidente del Consiglio) lenone” – chiunque l’abbia condotta o cavalcata – e mettere i due “patriarcalismi” sullo stesso piano mi pare un gioco intellettuale debole almeno quanto l’anti-berlusconismo di quegli anni.

  19. Per riprendere l’ultimo commento: a me non sembra affatto un debole gioco intellettuale quello di Raimo, riscontrare un’identità laddove si proclamava una differenza, nello specifico una differenza morale. Come minimo è un atto poetico, cioè una presa di coscienza. Secondo me dovrebbe essere un’epifania. E infatti Raimo invoca lo sconcerto dei lettori. Personalmente non ho alcun odio ideologico nei confronti di Scalfari, ma un totale disprezzo per l’ideologo e la sua banda di suonatori sì, ce l’ho. D’altra parte, la mia è pura legittima difesa, intellettuale, contro una propaganda tremebonda. Ergo, auguro al buon vecchio di campare altri 50 anni, quando potrà leggere cosa ne diranno gli storici di tutto questo periodo mefitico. Ho l’impressione che non sarà certo il berlusconismo il fulcro dell’attenzione.

  20. andrò dritto al punto evitando spiegazioni: sono in completo accordo con tongibus. aggiungo: è come se chiunque avesse messo le corna al proprio partner, anche una volta, uomo o donna che sia, e lo ammetta, non si possa permettere di combattere o criticare berlusconi ed il suo operato, quello morale, legislativo ma sopratutto umano che è stato ed è semplicemente degradante. mi sembra anche normale che un articolo siffatto possa aver avuto appeal sui neo “antiscalfariani” ed “antirepubblica”, e sono tanti, dell’ultim’ora, e anche questo ci sta, e come previsto ho dovuto scorrere tutti i commenti prima di trovare una voce consona alla mia, che distinguesse un comportamento umano, da uno diabolico e premeditato come quello del cavaliere statista legislatore, imperatore del cattivo gusto, mafioso affetto da priapismo. nel caso di b. il fatto sessuale, del bunga bunga e delle olgettine ed altro, viene come la ciliegina su una torta di mafia, malaffare, corruzione, capitali off shore, megalomania e irrispetto delle istituzioni. mi picco, inoltre, di non essere mai stato un “repubblichino” militante, anzi, ma un lettore elettore libero di volta in volta di scegliere cosa fare, leggere e votare, nel più ampio ventaglio delle possibilità democratiche pur ritrovandomi sempre, con alterne fortune, vicende e dubbi, a sinistra.
    quindi: che si possa criticare scalfari è lecito. meno, molto meno fare parallelismi con berlusconi. articolo fallace. argomento debolissimo che denota solo astio contro la presunta lobby di repubblica. ancor più fallaci gli interventi. fallace anch’io che volevo essere sintetico e non dire cose che reputo scontate. mi meraviglia sempre l’ovvio e dico: ma scalfari, o chiunque, per proclamare l’antiberlusconismo deve presentare il certificato di aver scopato solo con il/la partner? mi meraviglio infine di aver scritto tutto questo che mi viene la voglia di cancellare e lasciar perdere. invece invio commento. ma guarda un po’.

  21. @amilcare
    A me la faccenda pare un po’ più semplice di come la fai tu: se un direttore di un giornale prende posizione pubblica su certi argomenti e poi li contraddice pubblicamente pare – per così dire – un po’ confuso.
    Con tutta l’umana comprensione per un novantenne che si concede qualche erezione egoica in presenza di una gradevole giornalista, il riferimento all’episodio del bordello (con tanto di damnatio memoriae per Calvino, non abbastanza maschio) e alla magica assunzione della compagna al giornale di cui era direttore non mi sembrano onorevoli. Il che non toglie che Repubblica abbia i suoi meriti, ovviamente. Il problema, però, non mi pare tanto che Scalfari affermi delle cose in pubblico e abbia qualche debolezza in privato, ma che non provi imbarazzo ad affermare certe cose in pubblico. Certo, non è presidente del consiglio, però di sicuro ha un ruolo pubblico che Tizio Caio non ha.

  22. Dopo l’articolo di Conchita sull’autobiografia ho cominciato a pensare che dopo gli 80 anni bisognerebbe fare come per il rinnovo della patente…..un comitato di saggi dovrebbe revisionare i testi prima di pubblicarli…Molte persone sapevano della doppia vita di Scalfari, del resto è un uomo di un altro secolo e la sua situazione è stata comune ( e banale) specie in un’epoca che non conosceva il divorzio…Ma perché mettere in piazza il proprio privato a 90 anni come un qualsiasi ragazzo da Maria De Filippi e al processo/verdetto o come si chiama quella trasmissione…cos’è che spinge perfino un guru, un opinion-leader come Scalfari a spiattellare le sue marachelle sulla carta stampata? che il berlusconismo abbia attaccato pure lui? che la sua arroganza che gli fa negare psicoanalisi, femminismo, edipo e sensi di colpa, sia così smoderata che perda il senso del pudore e del rispetto delle persone che gli sono accanto e di cui racconta dettagli imbarazzanti. Peccato! Paccato che anche i “meglio” siano così narcisisti!!!

  23. Secondo me il punto è che l’intervista con CDG è un intervista pubblicata su D. Il settimanale per le donne che leggono repubblica, e in tutti gli articoli di questo settimanale emerge un concetto di donna aberrante. Un essere più che stupido interessato solo al rossetto e al gossip.

  24. E’ un uomo dalla doppia personalità e sicuramente sopravvalutato, ovviamente da una certa classe politica…sono comunque anni che mi rifiuto di leggere un suo editoriale e sono confortato dall’articolo appena letto…

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Autore

fandzu@gmail.com

Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo - sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory - ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L'Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).

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