Discorsi sul metodo – 13: Guadalupe Nettel

Guadalupe Nettel è nata a Città del Messico nel 1973. Il suo ultimo libro edito in Italia è Il corpo in cui sono nata (Einaudi 2014)

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Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?

Non ho un minimo fisso, quello che mi aspetto in termini quantitativi dipende dal periodo. Se sto scrivendo un romanzo, e specialmente se sono nella parte finale, lavoro dalle sette della mattina alle undici della sera, tutto il giorno, con pause minuscole. È un impulso che scatta in un determinato momento dei lavori, prima non mi impongo regole od orari, faccio una manovra di avvicinamento e poi parto seriamente. Ora che sono mamma ho meno tempo e utilizzo gli orari scolastici per sfruttare al massimo i momenti in cui i bambini sono a scuola. A volte li porto là e per non perdere tempo a tornare a casa mi piazzo nel caffè della scuola e rimango lì a scrivere.

Della perdita e del ritrovamento. “Ricordami così” di Bret Anthony Johnston

Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica. Ringraziamo l’autrice e la testata. (fonte immagine)

di Valentina Della Seta

La piatta cittadina immaginaria di Southport, che sorge sulla costa Sud del Texas a poche miglia dalla città, reale, di Corpus Christi (petrolio, gamberetti e un ponte di acciaio a tagliare la baia, gloria sbiadita di molte cartoline illustrate di fine anni Cinquanta, forse simbolo di una versione addomesticata di località vacanziera sul Golfo del Messico), nel mese di giugno è «immersa in un caldo afoso e soffocante».

Siamo all’inizio di Ricordami cos, romanzo di esordio di Bret Anthony Johnston (Einaudi Stile Libero Big, traduzione di Federica Aceto, pp. 460), e le premesse sono da brivido..

La pazza gioia. Sul set del nuovo film di Paolo Virzì

Questo pezzo è uscito sul Fatto quotidiano il primo giugno scorso. Ringraziamo l’autore e la testata.

di Malcom Pagani

Puttane e ciuffi d’erba ai bordi della strada. Al sesto chilometro, il casale. Seicento ettari affacciati sul Tevere occupati da un fiume di persone con il marsupio in vita e i fogli in tasca. Fari, fili elettrici e megafoni che superato uno sterrato fitto di curve e filari di ulivi, amplificano nella campagna il desiderio del regista: “Silenzio per favore”. Fino a un paio di minuti prima, con la camicia bianca, i jeans e il turibolo in mano, Paolo Virzì era al centro di una chiesa sconsacrata. Due file di sedie. Micaela Ramazzotti, Valeria Bruni Tedeschi e le altre attrici del suo film. Una preghiera laica pronunciata al posto del prete di scena: “Mi dovete seguire, è una danza, una coreografia che dobbiamo fare tutti insieme. Intoniamo la stessa musica perché altrimenti il ballo viene male”.

Non lasciare i greci da soli: scendere in piazza, fare controinformazione, andare davanti alle ambasciate

di Christian Raimo Ieri ho scritto un pezzo per Internazionale sulle reazioni a quello che sta accadendo in Grecia. Trovavo incredibile che non ci fosse in Italia una solidarietà spontanea e diffusa, come che non ci fosse nei media mainstream un’informazione che mostrasse che la crisi attuale è dovuta a un Eurogruppo che vuole continuare […]

Un’intervista inedita a Roberto Bolaño

di Giorgia Esposito

All’indirizzo che ho in tasca corrisponde la casa di Jaime Riera, scrittore, traduttore, docente universitario in pensione, ma soprattutto, ragione principale per cui l’ho contattato, amico dell’autore su cui farò la tesi della specialistica: Roberto Bolaño.

Riera mi accoglie con un sorriso e una domanda: “Com’è leggere Bolaño a vent’anni?”. Gli rispondo: “Com’era avere vent’anni quando fu pubblicato Rayuela?”.

Prepara un caffè e parliamo di Bolaño con entusiasmo, di Cortázar con affetto, di Isabel Allende con ironia, dei paesaggi del Cile e di quelli inventati dell’esilio. Gli chiedo se i poeti preferiti di Bolaño, Nicanor Parra e Mario Santiago (l’Ulises Lima dei Detective), siano stati tradotti in italiano, risponde con rammarico: “Poco, e tanto tempo fa. La poesia non vende.” Si alza dalla poltrona ed esce dalla stanza. Torna con una torre di libri: edizioni cilene e messicane, oramai introvabili, e un dattiloscritto, con le correzioni a mano dell’autore, del Tercer Reich. Sfoglio le pagine con voracità e cautela, mentre Riera dispensa consigli di lettura e aneddoti: “Leggi i classici, ma non dimenticare i contemporanei. Leggi Borges, Sabato e Juan Rulfo, leggi Lagioia, che è il Bolaño italiano”.

Maradona e il futuro

Ventinove anni fa, il 29 giugno 1986, nello stadio Azteca di Città del Messico, l’Argentina vinse il suo secondo e ultimo mondiale di calcio. A trascinare la squadra biancoceleste fu indubbiamente Diego Armando Maradona. Pubblichiamo un tributo al “Pibe de Oro”, scritto da Gianni Montieri.

di Gianni Montieri

Lo scambio di battute avviene in Youth di Paolo Sorrentino. La domanda la fa la compagna di Maradona al Diego stanco e un po’ triste, seduto sul balconcino della camera del Resort svizzero, di lusso, teatro del film. Doveva arrivare Sorrentino, o meglio, una singola battuta di un suo film, per chiarire qualcosa che probabilmente ho sempre avuto in mente. Maradona, quando giocava, pensava al futuro. È così, credo, per tutti i fuoriclasse: immaginare quello che accadrà da lì a poco e agire di conseguenza. Muoversi in anticipo sulla conseguenza, vuol dire modificarla, quello che accadrà non è più ciò che tu hai previsto, ma quello che hai generato assecondando col movimento la tua previsione. L’ossimoro che preferisco è la finta di Maradona, la cosa più vera che io abbia mai visto. Diego Armando Maradona non ha fatto altro che pensare al futuro, ogni volta che è sceso in campo, dalle Cebolittas all’ultima partita giocata.

Fondata sul turismo

di Fabrizio Federici

«Insomma, è ora di guardarci in faccia e dircelo chiaramente: è inutile che continuiamo a far finta di rivaleggiare con la Francia o la Germania. Non ci riusciamo, non siamo fatti per certe cose. D’ora in avanti i nostri modelli saranno altri, ben più allettanti e assolati: le Seychelles, le Maldive, Mauritius. Noi faremo come loro, e come questi Paesi l’Italia diventerà un paradiso dell’accoglienza e del buon vivere, costruito attorno alle straordinarie ricchezze artistiche ed ambientali di cui siamo depositari»

(dal «Discorso di San Gimignano» del Presidente del Consiglio, 31 ottobre 2021)

La Grande Trasformazione era in atto ormai da un paio di decenni. L’aveva preceduta una lunga fase di accorta preparazione, in cui le attività produttive – e l’industria in particolare – erano state spinte in una profonda crisi, i finanziamenti alla ricerca erano stati quasi azzerati, e si era diffuso tra la popolazione il mito di un’Italia «terra della cultura». Venne abilmente instillata la convinzione che bastasse sfruttare i beni culturali del Paese per assicurare a tutti la prosperità. «E pensare che si potrebbe campare soltanto di quello!»: nei bar non si mugugnava altro.

Il vasto respiro dell’inconsapevolezza in “Un gioco e un passatempo” di James Salter

Il 19 giugno è morto James Salter. Lo ricordiamo con un intervento di Luca Alvino apparso su Nuovi Argomenti. (Immagine: “James Salter at Tulane Lecturn 2010” di Tulane Public Relations – Flickr: James Salter. Con licenza CC BY 2.0 tramite Wikimedia Commons)

Il tempo ha due velocità. La prima – la più pressante – è interna al cuore: è quella che misura la gittata degli accadimenti privati, con le loro incertezze e le dolorose conseguenze, e per la quale ogni evento produce un palpito, un’accelerazione dei battiti. L’altra è la velocità della storia: lenta, imponente, neghittosa, che attraversa l’esistenza degli individui con olimpica indifferenza. Nei romanzi di James Salter queste due diverse percezioni della temporalità sono presenti entrambe e sembrano quasi compenetrarsi.

Il cantante veterano

Vasco Rossi è nuovamente in tour, come ogni anno, o quasi, per la gioia dei suoi fan. Pubblichiamo un estratto da Siamo solo io. Dimissioni, latitanza e e ritorno di Vasco Rossi, scritto da Tommaso Naon e Francesco Zani per Italica edizioni. Il libro racconta la rockstar emiliana alla soglia dei sessant’anni, tra il 2011 e il 2013, in un momento particolarmente critico. Ringraziamo gli autori e l’editore.

di Tommaso Naon e Francesco Zani

Terminate le prove a Pieve di Cento, arriva il momento di fare sul serio. L’inizio del tour è sempre più vicino, e il primo giugno Vasco pubblica un video nel quale lo si vede attraversare il prato dello stadio del Conero, diretto verso il palco dove fremono i lavori coordinati da Diego Spagnoli. Pochi giorni ancora per mettere a punto lo show, e finalmente il 5 giugno si comincerà con la data zero.

Certo in Italia sono ben pochi i musicisti che possono permettersi un concerto di riscaldamento davanti a uno stadio pieno e un’attenzione mediatica da grande evento. Come succede ormai da diversi anni, i biglietti per questa prova generale sono stati riservati in un primo momento solo agli iscritti del Fan club ufficiale Vasco Rossi, e solo in un secondo tempo si sono aperte le vendite al pubblico, ma non è stato difficile esaurire i trentacinquemila posti a disposizione.

I muli della vergogna

Torna in libreria per Sellerio Fumisteria, il romanzo d’esordio di Fabio Stassi. Pubblichiamo la conferenza letta a Viterbo il 21 febbraio 2015 in occasione del convegno Portella della Ginestra, un processo in mostra che trovate in appendice a questa nuova edizione. Ringraziamo l’autore e l’editore.

Portella è un varco, una spianata, un passaggio tra due monti, dove a maggio fioriscono le ginestre del suo nome e si colorano di giallo scarpate e dirupi.

La Sicilia è sempre stata, nella mia infanzia, racconto. I miei parenti erano gente umile, ma con alle spalle l’avventura disastrata ed entusiasmante della vita. Partenze e spartenze, imprese e tribolazioni, una certa inclinazione alla sconfitta e qualche raro colpo di fortuna.

Splendori e miserie del cinema a luci rosse italiano

Questo pezzo è uscito sul Venerdì.

(fonte immagine)

Durò soltanto cinque anni l’età d’oro del cinema a luci rosse in Italia ma furono anni gloriosi. In netto ritardo rispetto al resto d’Europa, con pochissimi mezzi e la capacità tutta italica di arrangiarsi, una vera e propria industria sorse sulle ceneri del cinema di genere messo in crisi dalle tv private offrendo a quel che ne restava una possibilità di salvezza. Tra i film che durante quel lustro uscirono in sala si contano perle per gli appassionati, pezzi da collezione per gli esperti, così come esempi squallidi e tragicomici – anch’essi ormai di culto – di un disperato bisogno di rimettere debiti e salvare non la faccia ma la pelle. Un senso del pudore duro a morire ha impedito che quell’epoca trovasse i riconoscimenti necessari nella catalogazione e nella salvaguardia della sua memoria.

Occupy Troika

di Francesca Coin

A prendere l’iniziativa è stato un gruppo di attivisti, accademici e sindacalisti irlandesi chiamato Greek Solidarity Committee che, complice la centralità del negoziato greco nel dibattito irlandese, qualche ora fa ha occupato gli uffici dell’Unione Europea a Dublino per dare un segnale chiaro di solidarietà europea dal basso alla Grecia. L’azione arriva in un momento cruciale dei negoziati e per una volta la stampa nazionale e internazionale ne sta dando notizia.

Quello che sta avvenendo in queste ore a Bruxelles non è un normale negoziato.

Paul Krugman ha fugato ogni dubbio con un articolo di qualche ora fa sul New York Times nel quale poneva una domanda secca alle istituzioni europee: “ma cosa si credono di fare”? Krugman si riferisce alla giornata di negoziati di ieri nella quale la proposta greca alle istituzioni è stata rifiutata.

Il ruolo dell’uomo nel mondo: sull’Enciclica Laudato Si’

Questo articolo è uscito il 19 giugno su Avvenire. Ringraziamo l’autore e la testata. (fonte immagine)

di Leonardo Becchetti

L’Enciclica Laudato Si’ è una miniera di spunti con un ben preciso filo conduttore da tenere presente per valutare analisi e impatti socioeconomici.

Lungo tutto il ricchissimo percorso il motivo principale è quello dell’uomo e del suo ruolo nel mondo e nella storia.  Da una parte c’è la sua caricatura, il superuomo inebriato dalle conquiste del pensiero raziocinante che usa tecnologia e finanza per sfruttare e dominare ciò che lo circonda. Dall’altra la persona che si rende conto di vivere in un “ambiente” fatto di interdipendenze e reti di relazioni (con Dio, con gli altri esseri umani, con la natura come ecosistema e come insieme di specie animali e vegetali) e di essere legato in una catena di interdipendenze nel tempo con le generazioni passate e future.  Il primo modello antropologico porta inevitabilmente ad un sistema economico di pochi sfruttatori e tanti sfruttati, il secondo è inclusivo e solidale e può costruire un nuovo equilibrio orientato al bene comune. Usando una metafora per descrivere l’idea suggerita dall’enciclica è come se ci trovassimo in una sessione musicale dal vivo dove un gruppo di artisti arrangia e improvvisa. Non c’è uno spartito fisso ma nel primo caso (il superuomo) si pensa di suonare da soli e si producono solo cacofonie. Nel secondo (l’uomo in relazione) si sviluppa la propria creatività tenendo conto dell’armonia dell’insieme e si produce un gran momento di musica.

True Detective: il mondo ha bisogno di cattivi

di Antonietta Rubino

Se si riduce True Detective al rango di crime drama si rischia di rimanere delusi. Nell’epilogo delle vicende rimangono molti punti oscuri, il male non viene arginato, non tutti i colpevoli vengono assicurati alla giustizia – l’esecuzione di Reggie Ledoux e l’uccisione di suo cugino DeWall e di Errol Childress di fatto assegnano un punto alla squadra dei criminali: l’unica persona che la polizia riesce ad arrestare è mentalmente instabile e non sarà in grado di aggiungere i tasselli mancanti alle indagini, e la morte, per soggetti tanto abietti, non può che costituire, stoicamente, un sollievo –, l’intreccio non viene sciolto completamente. Il racconto non torna del tutto, i requisiti del poliziesco non vengono soddisfatti. Eppure la serie scritta da Nic Pizzolatto conserva fino alla fine la sua potenza narrativa. E non perché l’interpretazione magistrale di Matthew McConaughey renda lo spettatore più indulgente nei confronti della sceneggiatura. No, la vera ragione è che in True Detective la caccia al serial killer è soltanto un pretesto. Il vero nucleo della storia è la discesa negli inferi dei protagonisti alla ricerca del senso dell’esistenza.