Questo scrittore è un eroe

È in libreria per edizioni SUR Variazioni in rosso di Rodolfo Walsh. Pubblichiamo la prefazione di Massimo Carlotto e vi segnaliamo il blog della casa editrice per approfondimenti sulla letteratura sudamericana.

di Massimo Carlotto

Scrittore, giornalista, militante politico. Rodolfo Walsh ancora oggi è il vero punto di riferimento di moltissimi autori centro e sudamericani, in particolare per la generazione che, alla fine del sanguinoso ciclo delle dittature, scelse negli anni Novanta di dedicarsi al romanzo poliziesco per raccontare la realtà di paesi feriti e di sogni infranti.

Lillian Roxon, Mother of Rock

L’8 febbraio 1932 nasceva Lillian Roxon. Pubblichiamo la prefazione di Robert Milliken a Rock Encyclopedia & altri scritti (minimum fax), il libro con cui Lillian Roxon rivoluzionò il modo di raccontare la musica e la cultura pop. La traduzione è di Tiziana Lo Porto.

di Robert Milliken

Nel 1969 il festival rock di Woodstock, nel nord dello stato di New York, radunò alcune delle più grosse band e cantanti degli anni Sessanta. Come evento fu una pietra miliare per un decennio in cui l’esplosione del rock’n’roll era servita a innescare una rivoluzione nella cultura giovanile. Di pietra miliare ce ne fu un’altra quell’anno: la pubblicazione della prima enciclopedia della musica rock. La Lillian Roxon’s Rock Encyclopedia era la cronaca di una giornalista australiana dal centro della controcultura di New York, dopo un viaggio iniziato trentasette anni prima in Italia.

Umani vs. androidi

Questo pezzo è uscito sul n. 23 del magazine di “Artribune”. (Immagine: Alexander Stocks-Odi nella serie tv Akta Manniskor-Real Humans)
Il nuovo secolo richiede evidentemente esseri fatti così: disumani. Androidi.

Persone-non persone, che coltivano finzioni di sentimenti e di emozioni. Che coltivano la superficialità, che coltivano con pervicacia un’esistenza superficiale: è richiesto, l’efficienza lo richiede. Non c’è spazio per la profondità, tantomeno per la cultura o la critica: sono tutte scocciature, fonti di irritazione. Inutili – neanche dannose.

Quando siete felici, fateci caso: parola di Kurt Vonnegut

È in libreria per minimum fax Quando siete felici, fateci caso, una raccolta di discorsi di Kurt Vonnegut agli studenti americani. Ne pubblichiamo un estratto. Traduzione di Martina Testa.

Come fare soldi e trovare l’amore!

Fredonia College, Fredonia, New York, 20 maggio 1978 

di Kurt Vonnegut

La portavoce di voi studenti ha appena detto che è stufa marcia di sentire gente che dice: «Sono contento di non essere un giovane nel mondo di oggi». Be’, l’unica cosa che mi sento di dire è: «Sono contento di non essere un giovane nel mondo di oggi».

Dietro le quinte di “Saga”: intervista a Fiona Staples e Brian K. Vaughan

Questo articolo è apparso su Repubblica Sera.

Il pianeta Landfall e la luna Wreath sono in guerra da sempre, ma per evitare di distruggersi vicendevolmente hanno appaltato la loro guerra a pianeti lontani. Una guerra potrebbe continuare all’infinito, come l’odio tra le due popolazioni, ma succede qualcosa di inatteso: Alana, soldatessa di Landfall, umanoide dalle piccole ali, si innamora del fante Marko di Wreath, umanoide dalle corna d’ariete. Insieme disertano, diventano amanti, quindi fuorilegge, ricercati, e vivono in clandestinità. Ma quando nasce la loro figlia, Hazel, devono iniziare a fuggire per proteggere anche lei. È dal marzo 2012 che i lettori americani seguono le loro avventure spaziali tra fantascienza e fantasy con Saga, l’epopea a fumetti è giunta negli Usa al sedicesimo volume, al quarto in Italia (tutti pubblicati da Bao Publishing). Un successo strepitoso, sia per la ricchezza della storia, sia per la qualità del fumetto, che agli Eisner Awards 2014 si è aggiudicato i premi come miglior serie, miglior autore, miglior disegnatore (“Multimedia artist”).

“Non esistono storie noiose, solo narratori noiosi”: intervista ad Andrej Konchalovskij

Pubblichiamo la versione integrale di un’intervista di Tiziana Lo Porto al regista Andrej Konchalovskij apparsa sul Venerdì di Repubblica. (Fonte immagine)

A settantasette anni Andrej Konchalovskij quest’anno ha vinto il Leone d’Argento per la miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia. Regista amatissimo per i girati in Russia (Storia di Asja Kljacina che amò senza sposarsi, Siberiade) e in America (Maria’s LoversA 30 secondi dalla fineTango & Cash), fratello del regista Nikita Michalkov e figlio dello scrittore Sergej Michalkov, con Le notti bianche del postino ha realizzato un’opera (a detta di tanti la migliore del festival) spalancata in contenuto e forma verso le infinite possibilità che ancora ha il cinema. Interpretato quasi esclusivamente da attori non professionisti, girato in digitale e con una fotografia perfetta, il film racconta la vita quotidiana dei pochi abitanti di un minuscolo villaggio del Nord della Russia sulle rive del lago Kenozero, nella provincia di Arcangelo. Isolato dal resto del paese, il villaggio ha un postino come unico tramite con il mondo, che con la sua barca porta notizie, lettere e pacchetti. A interpretare il postino è un vero postino, Aleksey Tryapitsyn, scelto da Konchalovskij quando dopo avere letto su un giornale un articolo che parlava della vita nei minuscoli villaggi in Russi, ha deciso di partire da lì per costruire un film.

Schermi Fallaci

Pubblichiamo un articolo di Annalena Benini apparso ieri sul Foglio, ringraziando l’autrice e la testata. (Nella foto, Oriana Fallaci con Alekos Panagulis. Fonte immagine)

di Annalena Benini

Rinchiudere Oriana Fallaci dentro un film di due ore è un’impresa quasi folle, che lei per tutta la vita ha vietato. “Se vogliono fare i film su di me, che li facciano quando sarò morta”, diceva (o forse urlava) agli avvocati. “Non affiderei mai a un’altra persona la storia della mia vita”. Adesso che Oriana Fallaci è per sempre di chi l’ha letta, amata, oppure odiata, di chi dice che a un certo punto è impazzita o invece ha sempre avuto ragione, un film italiano per la televisione in due puntate (oggi e domani è nei cinema, intero – ieri e oggi per chi legge, ndr) cerca di raccontare la giornalista e scrittrice italiana più celebre del Novecento.

Arbasiniana

Questo articolo è stato pubblicato sul Foglio.

di Matteo Marchesini

Abbiamo in mano i “Ritratti italiani” di Arbasino raccolti ora da Adelphi. Ritratti “cubisti”: che sovrappongono tempi, luoghi, articoli, interviste e appunti, spaziando da Longhi alla Loren e dalla Brin al cardinale Siri. Li sfogliamo, come l’autore in copertina, stesi su un divanetto, cercando di assumere la sua aria assorta e languida. Ma noi abbiamo attorno dei rigidi cuscini Ikea: niente morbidezze di cuoio sotto e d’arazzi sopra, né vestiti di sartoria o calze pronte per zompare a un vernissage in un punto qualunque del pianeta. Del resto, noi siamo cresciuti tra anni Ottanta e Novanta in una Padania cheap e retrodatata ai Cinquanta, mentre lui nei suoi padani Cinquanta già viveva in un agio da inizio anni Ottanta tra hippie e yuppie, raggiungendo ovunque la gioventù del Mondo e Paragone su una decappottabile sportiva…

L’invenzione della madre: Nicola Lagioia intervista Marco Peano

È in libreria per minimum fax L’invenzione della madre, il romanzo d’esordio di Marco PeanoCome raccontare la malattia e la perdita di un genitore? Pubblichiamo un’intervista di Nicola Lagioia a Marco Peano e vi segnaliamo l’incontro di domani, giovedì 5 febbraio, alle 19.30 alla libreria Giufà di Roma. Con l’autore intervengono Michela Murgia e Nicola Lagioia. (Immagine: Le tre età della donna, Gustav Klimt)

Il tuo romanzo si apre con un’epigrafe di Donald Antrim. È una frase molto potente, e anche per certi spaventosa nella sua definitività. Dice che il deterioramento della vita di sua madre ne riassume la storia. E dice anche che questa storia è legata indissolubilmente a quella del figlio. Antrim non arriva a dire in modo esplicito che l’idea stessa di madre contiene quella di figlio senza che a quest’ultimo sia data la possibilità di emanciparsene, ma la sensazione che accarezzi un pensiero simile c’è. Allora, da una parte (questo nel tuo romanzo mi sembra di percepirlo in modo chiaro) tra madre e figlio si consuma il rapporto d’amore più profondo e antico (e forse anche spaventosamente bello) che all’uomo sia dato di provare. Dall’altra mi chiedo se questo non significhi costringere i figli in una gabbia per uscire dalla quale non esiste una chiave. Come se ne esce? È necessario uscirne?

Uno dei motivi per cui ho scritto L’invenzione della madre, oltre alla necessità di doverlo fare, è legato al desiderio di raccontare il rapporto madre-figlio in una situazione estrema come quella della fine vita. In fase di stesura, mi sono accorto che uno dei temi che stavo affrontando – e che innervavano la storia in maniera significativa – era la difficoltà ad accettare il cambiamento.

Günter Wallraff, un camaleonte con il dono dello scoop

Questo pezzo è uscito su il manifesto. Ringraziamo l’autore e la testata. (Fonte immagine)

di Roberto Ceccarelli

Gün­ter Wall­raff, «fac­cia da turco», il fre­goli del repor­tage, il cama­leonte del gior­na­li­smo, è il testi­mone della Ger­ma­nia reale. Da più di quarant’anni Wall­raff scrive inchie­ste sul paese dove oggi ci sono oltre 9 milioni di semi-schiavi mar­chiati con l’innocuo nomi­gnolo di «mini-jobs». In tede­sco que­sta espres­sione ha un con­te­nuto ben più sostan­zioso: Gering­fü­gige Beschäf­ti­gung cioè lavoro scar­sa­mente remu­ne­rato. Lavori da 450 euro.

La vita, l’amore e la famiglia secondo Richard Yates

Il 3 febbraio 1926 nasceva Richard Yates. Pubblichiamo la prefazione di Francesco Longo a Sotto una buona stella (minimum fax). (Fonte immagine)

Granate che esplodono e porte che sbattono. Le pagine di Sotto una buona stella sono lacerate da due guerre. Quella combattuta dal giovane soldato americano Robert Prentice, che salpa dagli Stati Uniti per l’Europa, dove la seconda guerra mondiale è ormai quasi al tramonto, e quella che vede in trincea la madre di Robert, Alice Prentice, in perenne guerra con l’esistenza. Richard Yates le combatté entrambe: si arruolò nell’esercito e sbarcò in Europa, e patì i traumi privati dovuti prima al divorzio dei genitori – aveva solo tre anni – e poi alla crisi e al divorzio con la prima moglie. Questi dolori furono le porte da cui entrò la corrente gelida della tristezza che lo investì per il resto dei suoi giorni, e la sua vita divenne tanto amara che per mandarla giù servirono sempre moltissimi drink. L’unico vero analgesico fu la scrittura.

Mattarella, Napolitano, Tsipras, la sinistra, l’europa (e l’italia): intervista a Luciana Castellina

«Caro Lucio, carissimo compagno di tante lotte e di tante sconfitte: nessuna sconfitta è definitiva, finché gli echi delle nostre passioni riescono a rinascere in forme nuove». Nella tensione emotiva dell’omaggio di Pietro Ingrao a Lucio Magri si ritrova tutto il travaglio di una stagione repubblicana dall’eredità ancora irrisolta. Con il saggio Da Moro a Berlinguer – Il Pdup dal 1978 al 1984 (Ediesse, 402 pagine, 20 euro) Valerio Calzolaio e Carlo Latini colmano un vuoto pubblicistico sulla storia del partito nato dall’unificazione del Pdup di Vittorio Foa e del gruppo de Il Manifesto, che fin dalla radiazione dal Pci nel 1969 si pose il problema di aggregare la nuova sinistra del ’68. Il testo sull’esperienza del Pdup per il comunismo, composto da un’élite politico-culturale ma anche radicato sul territorio, offre almeno quattro linee guida d’interesse contemporaneo. Il rapporto fra partiti, o quel che ne resta, e movimenti, ripercorrendo lo sforzo di tradurre in soggettività politica i movimenti del ’68-’69. Poi annotiamo la questione dirimente della scelta europea della sinistra italiana; l’ecologia e lo sviluppo industriale; infine la fermezza contro la politica del terrore fine a sé stesso del partito armato senza smarrire la lucidità dell’analisi. Luciana Castellina, che nelle file del Pdup è stata eletta parlamentare nazionale ed europea, scrive nella prefazione: « (…) È la testimonianza di un tempo in cui la politica è stata bellissima: vissuta dentro la società, colma di dedizione appassionata, di grande affascinante interesse perché impegnata a capire come rendere migliore la vita di tutti gli umani. Anche se non abbiamo vinto. Ma se vogliamo provarci ancora, questa archeologia è importante». Nella Grecia di Tsipras la giornalista Castellina sembra aver riascoltato echi di passioni mai sopite.

Il retroscena del retroscena del retroscena. Viaggio nel giornalismo parlamentare

di Quit “Non ce la faccio più” spiega un collega giovane e sveglio che fa cronaca parlamentare da molti anni, a mo’ d’incoraggiante introduzione nel magico mondo della politica vista da vicino. Siamo seduti su un divano del transatlantico della Camera, il luogo dove si fabbricano quelle 5-10 pagine dei quotidiani in cui i politici […]

I militanti jihadisti

Questo articolo è apparso su Lo Straniero.

Come molti uomini e donne di ogni parte del globo a poche ore dalla strage anche a me è venuto di dire immediatamente, istintivamente: “Io sono Charlie”. Ma sono anche ebreo, vorrei aggiungere. Guardando le immagini in tv, ho pensato che uno degli slogan più belli del Maggio francese, subito dopo l’espulsione di Daniel Cohn Bendit dal paese, fu “Siamo tutti ebrei tedeschi”; e che nei giorni tremendi di inizio gennaio il radicalismo jihadista si è scagliato non solo contro gli ebrei per il solo fatto di essere ebrei, contro chi faceva gli ultimi acquisti in un market kosher prima del sabato, ma anche contro uno dei prodotti più irriverenti e libertari dell’onda lunga di quel medesimo Maggio: un giornale come “Charlie Hebdo”.

A uccidere gli uni e gli altri sono stati dei ventenni entrati nelle file del jihad islamico, di cui poco sappiamo e di cui ancor meno siamo stati disposti a capire qui in Italia, paese come sempre mediamente più provinciale, chiuso in se stesso, miope di altri, benché collocato al centro del Mediterraneo. Da tempo siamo indifferenti all’esplosione di quest’area, la nostra: non solo non comprendiamo cosa si agita in Siria o in Iraq, ma anche nelle teste di coloro i quali vanno a combattere in quei paesi e poi fanno ritorno in Europa.