Speciale Santarcangelo 13: domande al futuro del teatro

Concludiamo lo speciale dedicato a Santarcangelo 13 con un pezzo di Lorenzo Donati. Qui tutti i contributi.  (Foto: Ilaria Scarpa.)

di Lorenzo Donati

Santarcangelo · 13 si è chiuso da poco più di una settimana e la sua eco ci accompagnerà lungo il corso del prossimo anno, non solo dal punto di vista teatrale. Forte di una storia quarantennale, la più lunga di tutti i festival della ricerca italiana, Santarcangelo è sempre stato al centro di discussioni e polemiche sulla sua missione, sia guardando dentro al teatro, alle idee che ha scelto negli anni di sostenere, sia pensando al fuori, partendo dalla necessaria relazione con il territorio per arrivare al sistema teatrale. Nonostante sia ancora troppo presto per misurare la reale portata culturale dell’edizione appena trascorsa, ci sentiamo di dire che si sia raggiunto un’apice: nel delineare alcune linee di ricerca, emerse con evidenza; nel prospettare attraversamenti disciplinari non solo teatrali; nel proporre opere come spunti per dibattere le direzioni attuali dell’arte teatrale, mettendosi quindi in discussione. Quelli che seguono sono dunque appunti ancora a caldo, in vista di un ragionare futuro che possa verificarli o smentirli.

Mes Aynak, un sito a rischio

Questo reportage è uscito su Alias/il manifesto. (Foto: Giuliano Battiston.)

Mes Aynak, provincia di Logar

A una quarantina di chilometri a sud-est di Kabul, nel distretto di Muhammad Agha, nella turbolenta provincia di Logar, c’è un patrimonio minerario che fa gola a molti. Si tratta del secondo più ampio giacimento di rame al mondo: qualcosa come 6 milioni di tonnellate di rame nascoste nel sottosuolo. Per arrivarci da Kabul, si percorre prima un tratto di strada asfaltato, trafficato e rumoroso come tante strade afghane. Poi si svolta a sinistra, per imboccare un ampio sentiero sterrato che si insinua per una quindicina di chilometri in un panorama desertico e asciutto, dove gli uomini sembrano aver conquistato a fatica il diritto di sopravvivere. Questi ultimi quindici chilometri sono costellati di checkpoint e di controlli: impossibile procedere senza un permesso rilasciato con molta riluttanza dal ministero per le Miniere, a meno che non si viaggi nell’auto di qualcuno ben conosciuto dalle forze di sicurezza che presidiano l’intero tratto di strada. La zona è diventata una delle più protette del paese, quasi più del quartiere delle ambasciate di Kabul, dalla fine del 2007. Da quando cioè il governo afghano ha siglato un accordo con il consorzio China Metallurgical Group, di proprietà statale, e con l’azienda privata Jiangxi Copper Company Limited: 3 miliardi di dollari in cambio del diritto esclusivo per trent’anni di estrarre il rame di Mes Aynak.

Speciale Santarcangelo 13. L’infanzia della radio, infanzia del teatro

Prosegue lo speciale dedicato a Santarcangelo 13 con un pezzo di Nicola Villa. Per chi le avesse perse, la prima e la seconda parte dello speciale. (Foto: Ilaria Scarpa.)


Il caso del Festival di Santarcangelo del teatro in piazza è unico: si tratta di un appuntamento internazionale di teatro di ricerca, uno dei più longevi in Italia che quest’anno è arrivato alla sua 43esima edizione, che non affronta solamente il teatro e le sue diramazioni, ma è sempre attento alla vitalità di altre arti contemporanee nel tentativo di contaminare il più possibile i linguaggi. Chi l’ha frequentato in questi anni, non è rimasto stupito allora che quest’anno una mini-rassegna fosse dedicata a due temi apparentemente lontani dal teatro:  radio e infanzia.

“Radio e infanzia”, questo il titolo del progetto curato dal co-direttore del festival Rodolfo Sacchettini e esperto della storia del radiodramma italiano, non è stato solo un programma speciale dedicato ai più piccoli, ma un’occasione per riflettere dell’antica alleanza tra teatro e radio. La radio di massa, fin dalle sue origini che sono piuttosto recenti (gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso), ha da sempre guardato al teatro come fonte a cui attingere per la realizzazione di radiodrammi e letture. A Santarcangelo 13 questo rapporto tra i due mondi, questa ricerca nell’infanzia della radio, è stato corroborato da due prime nazionali, due conferenze radiofoniche per bambini (in diretta su Radio 3, ma anche live per il pubblico del festival) che hanno messo in luce due figure importanti sia della prima sperimentazione radiofonica, che della pedagogia.

Critica letteraria e giornalismo culturale

Questo pezzo è uscito su Alias/il manifesto. (Fonte immagine.)

di Raffaele Manica

Quante volte, aprendo un vecchio libro, vi si trova dentro, con sorpresa, un ritaglio dimenticato. Non si sa se questa attività, ritagliare pagine di giornale, sussista ancora. Se c’è, è demodée o, con più attuale anglo-preferenza, vintage. Ritagliare una parte di vecchie terze pagine, isolando per poi ricomporre un ampio puzzle, è il compito che si è assunto, assolvendolo in modo eccellente, Mauro Bersani per congegnare il secondo volume di La critica letteraria e il Corriere della Sera, dedicato agli anni 1945-1992 , aperto da un’introduzione che ricostruisce in maniera funzionale anche i rapporti con altre testate (Fondazione Corriere della Sera, pp. XXXVI-1869, € 60,00; un primo volume, per gli anni 1876-1945, è uscito nel 2011 a cura e con introduzione di Bruno Pischedda e con prefazione di Paolo Di Stefano). Non la letteratura, ma la critica letteraria, che è un restringimento di campo importante: proprio la critica letteraria, la sempre moribonda, soprattutto negli anni qui in considerazione, che vanno dall’ultima stagione infocata delle riviste – dal secondo dopoguerra agli anni sessanta e fino ai primi settanta – al tramonto delle riviste o almeno della loro presenza predominante nella discussione letteraria, con l’arrivo di mezzi di comunicazione più veloci almeno quanto, in genere, più superficiali.

Non dimenticare la propria storia

Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica. (Fonte immagine.)

La conferma che A.M. Homes sia una delle più grandi scrittrici americane viventi arriva puntuale insieme a ogni suo romanzo. Che Dio ci perdoni (Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini, 19 euro, pagine 464) è l’ultimo della sua opera. Uscito lo scorso anno negli Stati Uniti, amato e celebrato dai colleghi scrittori Jay McInerney, Salman Rushdie, Gary Shteyngart e Jeanette Winterson, il romanzo è ambientato in questo ventunesimo secolo e in una cittadina non lontana da New York, nei 365 giorni che vanno da un giorno del Ringraziamento all’altro.

Protagonisti un professore di storia innamorato di Richard Nixon, Harold Silver, e suo fratello George, che nelle primissime pagine del libro scopre la moglie a letto con Harold e la uccide fracassandole una lampada in testa. George viene arrestato e Harold si trasferisce a casa sua prendendosi cura dei due nipoti, del cane e del gatto. Di lì in avanti, malgrado Harold abbia già superato la mezza età, il libro procede come un romanzo di formazione che di quest’uomo segue la vita quotidiana alla ricerca di un punto fermo da cui ricominciare.

I Segnalati

I segnalati di Giordano Tedoldi è per chi scrive un romanzo per fortuna impossibile da recensire, difficile addirittura da condividere con dei lettori attraverso le pagine di un quotidiano o una rivista o un blog. È un romanzo di cui mi piacerebbe parlare invece a voce e non in pubblico, in un’atmosfera di giusta intimità, con interlocutori predisposti a non capire nulla di quanto andrei raccontando ma felici (sia io che loro) per la strana atmosfera che il racconto andrebbe comunque a creare, viste ovviamente le premesse, visto cioè l’allineamento di pianeti o particelle sempre più determinante per creare con i nostri simili un temporaneo legame di reale intimità, di reale pericolo, che vada oltre un’intimità e un pericolo consueti, cioè oltre lo spiazzamento codificato da ciò che funziona (esclusa dunque l’arte) nei film, nei libri, nella musica di buono o anche a volte ottimo livello. Se I segnalati non funziona (e questo non lo so, me lo sono domandato, ho smesso di domandarmelo) e allo stesso tempo non possiede un briciolo di paraletterario (nemmeno il paraletterario che stringe i bulloni di certi grandi libri fino a che questi diventano sapientemente una somma che fa a meno delle parti), contiene di conseguenza il resto, cioè quello che oggi per me conta. Quello a cui posso affezionarmi.

L’America in Iraq raccontata da Kevin Powers e Ben Fountain

La guerra in Iraq raccontata da Kevin Powers con Yellow Birds (Einaudi Stile Libero) e Ben Fountain con È il tuo giorno, Billy Lynn! (minimum fax): ne scrive Luca Briasco in un pezzo uscito su Alias, il supplemento culturale del manifesto.

di Luca Briasco

Il 2012 è stato un anno di svolta per la narrativa americana: nel giro di pochi mesi sono usciti due romanzi che hanno conquistato l’attenzione della critica e accumulato elogi: ambedue finalisti del National Book Award e vincitori di molti altri, importanti premi letterari, erano tra i favoriti per la conquista del Pulitzer Prize per il 2013, ma i giurati, come accade ormai da qualche anno, li hanno ignorati, conferendo l’alloro a un’opera straordinaria quanto “fuori dagli schemi” come Il signore degli orfani, di Adam Johnson. Due romanzi, soprattutto, che prendono di petto la “sporca guerra” in Iraq, vera e propria piaga nell’immaginario liberal dell’ultimo decennio: una guerra scatenata sulla base di un’oggettiva menzogna, ammantata di un patriottismo post-11 settembre duro a morire, e trasformatasi nel correlativo oggettivo di una nazione che ha rifiutato a lungo di interrogarsi su se stessa, sulla propria crisi morale, sulla progressiva corrosione – o peggio ancora, cessione – di quelle libertà che ne costituiscono il fondamento etico e filosofico.

Rimozione e pacificazione

Pubblichiamo un editoriale di Massimo Recalcati uscito oggi su la Repubblica.

La recente condanna di Berlusconi e l’insostenibile leggerezza ancora più recente del ministro dell’Interno Alfano, entrambi impegnati a negare anziché assumere le proprie responsabilità, hanno definitivamente fatto scoppiare la bolla della “pacificazione”. Siamo chiari: la tesi che il governo delle larghe intese avrebbe inaugurato un nuovo tempo politico, quello, appunto, della cosiddetta pacificazione, che coincideva, tra le altre cose, con la riabilitazione di Berlusconi come statista ponderato, si fondava su quello che in termini strettamente psicoanalitici si chiama “rimozione della realtà”. Ovvero l’esatto contrario di quel “principio di realtà” che era apparso carico di promesse sincere nel discorso inaugurale del presidente Letta alla Camera dei deputati.

Dalla comunità alla community, dalle sezioni ai meetup. Una storia di parole e politica

Questo pezzo è uscito sul numero di maggio di Nuova Rivista Letteraria. (Fonte immagine.)

di Alberto Sebastiani

Le sezioni di partito sono state per decenni un luogo di discussione, dibattito, partecipazione, decisione. E quando si dice “sezione” e si aggiunge la parola “partito”, in Italia la prima associazione è Partito Comunista Italiano. “Il Partito”. Nella storia repubblicana del nostro paese, in particolare quella del dopoguerra e dei “Partiti Chiesa”, insomma della tanto vituperata “prima Repubblica”, il Pci è per antonomasia “Il Partito”. In cui avere fede (fino a diventare una situazione caricaturale: dal “Contrordine compagni” guareschiano al “perché il Partito è il Partito” della canzone Ambarabaciccicoccò di Vasco Rossi del 1978, fino alla vignetta di Andrea Pazienza sugli elefanti che non volano, va bene, ma se lo dice l’Unità allora diciamo che svolazzano, per non smentire la voce ufficiale del “Partito”). Un’immagine granitica, ricca di miti, ma tra luci e ombre. Guido Morselli nel romanzo Il comunista riprende il mito di Togliatti che non dormiva mai, del suo ufficio con la luce sempre accesa, fin dalla mattina presto. Eppure nel suo libro racconta le ombre meschine che vivono nel “Partito”, dalla provincia reggiana, da cui proviene il protagonista, alla capitale. Accanto ai “militanti” sinceri, una larga fetta di persone orchestra e si muove opportunisticamente sotto il parapioggia della tessera del “Partito”, fingendo di condividere ideali a cui non crede minimamente.

La vita attraverso gli scacchi

Questo pezzo è uscito su la Repubblica.

Più che a un sistema di lineamenti aggrovigliati nella concentrazione, l’espressione di chi gioca a scacchi somiglia a un cratere. Qualcosa di contratto e di spalancato, un vuoto ruvido. Questa abissale concentrazione genera visioni. Davanti agli occhi del giocatore i pezzi si animano inventandosi una vita autonoma: i cavalli continuano a muoversi elusivi ma non sono più semplicemente i cavalli, le torri sono sì goffe e irruenti ma nel precipitare orizzontali da un’estremità all’altra sembrano esseri umani, mentre i pedoni brucano spazio e tempo un centimetro alla volta come più o meno accade a ognuno di noi, ogni giorno, da millenni.

Gioia, la protagonista di L’esperimento di Mauro Covacich (Einaudi), ha ventisei anni e gioca a scacchi. È brava, potrebbe diventare Gran Maestro. Partecipa ai tornei ma per guadagnarsi da vivere deve anche giocare in rete (il precariato dirama dappertutto). Le sue gambe non funzionano bene ma il suo sguardo è in grado di condurla dappertutto. Durante un blitz chess a Biarritz, per diciannove secondi Gioia scompare a se stessa. Poi torna in sé e vince l’incontro. Da quel momento le sue visioni – accuratamente annotate – diventeranno inseparabili dal resto della sua esistenza. Non reificazioni, oggetti di studio scissi; semmai compenetrazioni, scene alle quali il lettore del romanzo conferisce il medesimo livello di realtà dei capitoli in cui si racconta il legame di Gioia con il gioco, con il suo allenatore, con un giornalista del quale si innamora.

Speciale Santarcangelo ’13 – Tra la scena e la politica

La politica irrompe a Santarcangelo 13 con due tra gli spettacoli che più hanno interessato e fatto discutere il pubblico. In un caso il regista lettone Valters Sīlis affronta, con LEĢIONĀRI le ferite aperte da una storia di estradizione tra i paesi baltici e l’Unione Sovietica e risuonano, a sorpresa, eco inquietanti con l’attuale scandalo italo-kazako. Nell’altro Teatro Sotterraneo raccoglie la necessaria sfida della cattiveria facendo precipitare nel primo studio BE NORMAL! le domande e i dubbi su questo presente. Dalle questioni dell’est all’impasse italiana si osserva un teatro vispo e presente.

Si intercettano e arrivano con grande potenza i segnali dell’assestamento post sovietico. Non è per niente un caso che un regista lettone, Valters Silis, metta in scena a Santarcangelo •13 la rielaborazione di una ferita dell’orgoglio nazionale, la decisione del parlamento svedese nel 1946 di estradare 168 legionari baltici su richiesta dell’Unione Sovietica.

I soldati – con il ritorno dell’Unione Sovietica in Lettonia, Estonia e Lituania, dopo l’invasione nazista dell’“Operazione Barbarossa” – furono rimpatriati: fino alla morte di Stalin le repressioni delle spinte indipendentiste e le deportazioni in Siberia furono attuate con estrema durezza.

Legionnaries viene definito in scena dai due personaggi Karlis e Calle un lavoro di teatro post-drammatico: «Can you imagine that? Potete immaginare che dietro alle bandiere della Germania nazista, dell’Unione Sovietica, della Svezia e della Lettonia – che occupano quasi tutto il fondale – ci sia la Seconda guerra mondiale?»

“Anche Cancellieri e Bonino sono coinvolte nel caso kazako”

Riprendiamo quest’intervista a Christopher Hein di Giancarlo Capozzoli dal sito di Micromega.

“226 contrari, 55 sì, 13 astenuti. Inoltre Letta afferma che Alfano è estraneo ai fatti e inoppugnabile. Mah!”, dichiara il Direttore del Cir, Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein, quando apro la porta del suo ufficio, nel cuore di Roma, alle 14.20 circa di ieri pomeriggio.
“Alfano per ora si è salvato. Ma vedrai che a settembre lo fanno cadere. Conosco troppo bene i vertici del Viminale per non sapere che l’atteggiamento dell’attuale Ministro degli Interni è stato a dir poco scandaloso”.

Affittasi Firenze, il prezzo è questo

Pubblichiamo un articolo di Tomaso Montanari uscito oggi sul Fatto Quotidiano. (Immagine: Wikipedia.)

Nonostante l’insabbiamento ottenuto grazie ad una stampa fiorentina ormai universalmente compiacente, la vicenda del noleggio di Ponte Vecchio a Montezemolo rimane assai oscura.

Matteo Renzi ha annunciato querela contro il senatore dei 5 Stelle Maurizio Romani, reo di aver testualmente ripetuto in Senato le parole del comunicato stampa di Ornella De Zordo, la consigliera comunale che ha fatto luce sulla vicenda. Ma il sindaco sa bene che nessun parlamentare può essere processato per opinioni liberamente espresse in aula, e dunque sa bene che non sarà mai costretto a tirare fuori le carte. E infatti si guarda bene dal rispondere a queste tre domande: 1) esiste una carta che attesti il versamento di 120.000 euro da pare della Ferrari al Comune di Firenze? 2) Esiste la documentazione del taglio di 120.000 euro che le vacanze dei bambini disabili fiorentini avrebbero subito da parte di un non meglio precisato ente? 3) Perché l’obbligo di lasciare 3 metri e mezzo per il passaggio sul Ponte dei mezzi di soccorso (obbligo del tutto disatteso, come documentano le foto del banchetto)  è stato notificato alla Ferrari solo il giorno dopo l’evento?

Speciale Santarcangelo 13 – Intervista a Leonardo Di Costanzo

Si sta svolgendo in questi giorni Santarcangelo 13, festival internazionale del teatro in piazza: iniziamo a raccontarvelo con alcuni articoli che usciranno nei prossimi giorni. Invitiamo i lettori di minima&moralia che ne abbiano la possibilità a raggiungere Santarcangelo di Romagna per vedere spettacoli di teatro italiani e stranieri in uno dei maggiori festival europei di teatro di ricerca. “L’intervallo” di Leonardo Di Costanzo – uno dei film italiani più importanti dell’anno e purtroppo poco visto per colpa di un meccanismo distributivo incapace di recepire le opere di valore e allo stesso modo sfacciatamente ottuso nel privarne lo spettatore  – ha vinto da poco il David di Donatello per la migliore opera prima e lo scorso 13 luglio, durante il Festival di Santarcangelo, ha ricevuto il premio “Lo straniero” dal direttore della rivista Goffredo Fofi. Pubblichiamo una recensione del film e un’intervista al regista.

La giornata de “L’intervallo” si apre con un’inquadratura fissa di Napoli all’alba, sullo sfondo il Centro Direzionale. Non ci sono il Vesuvio o le Vele di Scampia: già da quella prima visione, che sarà la stessa dell’ultima scena, ma a notte fatta, non c’è l’intenzione di “vendere” Napoli, come di frequente succede quando ci si accorge che la morbosità dello spettatore preferisce indulgere sui morti ammazzati o sulle storie del Sistema camorrista.

Leonardo Di Costanzo, dopo anni da documentarista, si cimenta nella regia della prima opera di finzione, che ha vinto il David di Donatello per il miglior regista esordiente e il Premio Lo straniero, assegnato durante il Festival di Santarcangelo da Goffredo Fofi.

Salvatore è un ragazzo che vende granite; una mattina, mentre sta uscendo con il carretto, viene bloccato da un uomo in scooter che lo chiude dentro a un luogo abbandonato – l’ex ospedale psichiatrico “Leonardo Bianchi” – e che gli affida il compito non far scappare Veronica, una ragazza che Bernardino, boss del quartiere, vuole incontrare la sera, dopo la segregazione. Salvatore è estraneo alle vicende del Sistema, ma rivuole il suo carretto, e suo malgrado rimane costretto nel ruolo del carceriere.