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Da oggi è online Cattedrale, un progetto dedicato interamente al racconto. Nasce come osservatorio che intende monitorare, promuovere e sostenere il racconto nella sua forma letteraria. Pubblichiamo un intervento di Rossella Milone, coordinatrice del progetto e vi invitiamo a visitarlo su www.cattedrale.eu  (nella foto, Raymond Carver. Fonte immagine)

Parlare di racconti

di Rossella Milone

Durante l’ultima edizione del festival Pordenonelegge, è stato organizzato il consueto appuntamento con la Mappa dei sentimenti: degli incontri specifici con alcuni scrittori che raccontano, a modo loro, i sentimenti più comuni della nostra umanità – dalla gelosia all’amore, dall’inquietudine alla speranza, dall’odio alla felicità. A differenza degli altri anni, però, in questa edizione l’organizzazione ha pensato di affidare ciascuna di queste parole a una forma di narrazione precisa, cioè al racconto, perché in effetti è questo che fa la letteratura meglio di qualsiasi altra cosa: parlare di noi e di quello che ci lega agli altri.

Gli scrittori invitati hanno quindi scritto i racconti. Il pubblico li ha ascoltati nell’arco di due giorni, disseminati in vari posti della città, in varie ore. Un po’ come quando i racconti erano ancora orali e ancora compivano quella strana stregoneria di spostarti dal tuo solito posto e portarti altrove per finta, attraverso l’affabulazione.

A conclusione della Mappa dei sentimenti c’è stato anche un dibattito presso il ridotto del Teatro Verdi, con me e Giulio Mozzi. L’incontro si chiamava: ‘Il racconto. Eccellenza formale o indifferenza editoriale?’ Considerando che al Teatro Verdi intero – non al ridotto – c’era contemporaneamente un incontro con Massimo Cacciari, considerando che pioveva e che il racconto in Italia – a quanto dicono – non si legge, il ridotto del Teatro Verdi era mezzo pieno (non mezzo vuoto), con un pubblico interessatissimo e attento.

Ovviamente dovevamo parlare di racconti e del perché in Italia i racconti vendono poco e non si leggono. Giulio e io ci siamo divisi un po’ i compiti: io avrei parlato dell’aspetto più letterario, lui delle dinamiche editoriali meno nobili. I compiti, chiaramente, non vengono rispettati, però succede una cosa interessante sin dall’inizio: Giulio chiede alla platea: ‘Quante persone leggono più racconti che romanzi?’ E le mani che si alzano non sono pochine; ma sono quelle di persone che, nonostante la pioggia, nonostante Cacciari, sono venute lì apposta perché evidentemente stiamo parlando a lettori di racconti. La chiacchierata è informale e appassionata, perché i lettori di racconti – come gli scrittori di racconti – si sentono un po’ ghettizzati e quando stanno insieme fanno una specie di squadra tutta compatta. Dopo aver sviscerato, inutilmente, i probabili motivi per cui i racconti non si vendono e non si leggono, verso la fine si profila uno scenario apocalittico secondo cui per Mozzi e alcuni della platea il racconto è spacciato, o quasi. Secondo me e un’altra parte della sala, no. Al che da una poltrona si alza una donna sulla sessantina con un caschetto bianco, un paio di piccoli occhiali, un maglioncino grigio a collo alto. La signora ha in viso il rossore tipico di quando uno si altera, o si emoziona, o si innamora – e a me piace pensare, in quel momento, che la signora sia così rossa perché è innamorata dei racconti, ed è arrabbiata per il loro stato di salute. Ci ha chiesto, puntando un dito contro me e Mozzi: ‘Ma perché non fate qualcosa? Perché non ci inventiamo qualcosa per parlare di racconti? Perché non li portiamo in tivvù?’ A quel punto, ho abbandonato all’istante il palchetto di legno – solo con il pensiero – e ho lasciato la signora a discutere con un Mozzi abbastanza disilluso che le elencava tutti i motivi per cui non era affatto pensabile che qualcuno, specie in televisione, si occupasse di racconti.

Mentre la povera signora, paonazza, incassava i no e i perché, io ho cominciato a pensare a tutte le circostanze, gli spazi cartacei e virtuali, i siti, i lit-blog, i festival, i premi, i libri, insomma a tutti i luoghi in cui si parla del romanzo e di letteratura, e l’ho confrontato allo spazio – fisico e concettuale – che invece viene dedicato ai racconti. Una miseria, proprio.

Pordenonelegge ci ha pensato, ed è riuscito a creare un momento interamente dedicato arginandolo tra i tantissimi incontri di varia natura. Quantomeno, ha posto una domanda intorno alla quale si è potuto sviluppare un dibattito. Ecco: ho pensato che in Italia, tra i tanti problemi che il racconto deve affrontare, c’è anche e soprattutto quello della visibilità, che forse non è la causa principale delle sue difficoltà editoriali e dei problemi che incontra sul mercato, ma ne è una componente sicuramente importante. Parlare di qualcosa serve a farla conoscere, così ho pensato di parlare di racconti in maniera sistematica, non casuale, con un progetto che identificasse i nervi e le congiunture della questione racconto, e che lì si puntasse un faro.

Cattedrale nasce così. Senza la pretesa di risolvere nulla, ma con la voglia di parlare di qualcosa che ci piace e attorno alla quale creare un dibattito. L’idea non è quella di dare vita a un altro blog o a un’altra rivista: Cattedrale è un osservatorio, e in quanto tale ha bisogno di tempi di riflessione e di approfondimento lontani dalle dinamiche di un blog, pur mantenendo una sponda con gli sviluppi fulminei della filiera editoriale al fine di approfondirli. L’osservatorio, in questo senso, intende monitorare, sostenere e promuovere la forma racconto nei suoi svariati profili: da quelli creativi a quelli editoriali, dagli aspetti più propriamente letterari osservati dagli addetti ai lavori, fino a coinvolgere librai e lettori. Lo abbiamo chiamato Cattedrale perché, aldilà della citazione carveriana, abbiamo pensato che il racconto assomiglia a certe cattedrali nel deserto, immerso in un vuoto di persistente noncuranza. L’Osservatorio è uno spazio che vuole riempire il vuoto, creare il luogo attraverso cui porre domande, capire.

Se la signora col caschetto bianco si trova, per caso, a leggere questo post, ecco, magari può venirci a trovare su Cattedrale insieme agli altri, e parlare con noi, finalmente, di racconti.

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9 commenti

  1. In realtà non mi pare ci sia così tanto da preoccuparsi, o meglio forse sì, ma c’è da sperare. La cultura del tutto subito e la cultura digitale agevolano e facilitano in un certo senso il “tappare i buchi” leggendo qualche racconto veloce sul proprio cellulare o sul proprio e-reader o su qualche rivista o giornale; e le attese tra una cosa e l’altra si assaporano di più, sono piene.

  2. Non amo i racconti. Ho letto, perché più volte consigliato, la raccolta IL PUNTO di David Means. Racconti davvero straordinari, una scrittura a tratti incredibile. Ma non lo seguirò sulla sua strada: comunque i racconti mi lasciano sempre insoddisfatto. Mah, forse non li capisco fino in fondo.

  3. Quella sera , al Ridotto del Verdi, c’ ero anch’io ed ho assistito alla performance della signora col caschetto , ma anche – dalla platea- a quella di Giulio con le sue risposte.
    La ringrazio , gentile Rossella , di avermi consigliato al termine di quella conversazione troppo breve di leggere i racconti di Chiara, di cui sono rimasto entusiasta.
    Spero che il prossimo anno Pordenonelegge riesca a dedicare maggiore spazio al racconto.
    Buon lavoro

  4. Penso che vi seguirò. Appena ne avrò il tempo vi invierò un mio pezzo sul tema. Ma sarò conciso, tranquilli!
    Da subito faccio una considerazione: pare che nel 2014 un Italiano su due non abbia letto nemmeno un libro. C’è dunque materia su cui ragionare.
    Il racconto: Se qualcuno dice che non gli piace, deve almeno spiegarci il perché. Personalmente credo che la forma breve abbia un buon avvenire davanti a sé. Non dice niente la diffusa frammentarietà che nell’Occidente post-industriale caratterizza sia la vita sociale sia quella individuale?
    Concludo con un’apparente contraddizione (mia): dei romanzi che ho letto di recente mi ha conquistato senza scampo INFINITE JEST di DFW: Misteri della “Logosfera”.
    Buon lavoro e cordiali saluti.

    Enrico
    .

  5. Secondo me i racconti non hanno fortuna perché il lettore è sostanzialmente “pigro”. Non ama colmare i “vuoti della narrazione con la fantasia e si sente “tradito” quando la trama non è abbastanza esaustiva da rispondere a tutte le domande che si pone. Il lettore ama essere coccolato con le scene già pronte, con la puntuale descrizione dei personaggi e con emozioni preconfezionate. Un romanzo risponde, in genere, a quest’esigenza, il racconto prevede una partecipazione più “attiva”. Mi auguro di aver chiarito il mio punto di vista, scaturito da una vera indagine che ho condotto tra amici e conoscenti. Io, per esempio, amo le storie brevi e intense, ma ho scritto anche un romanzo (“ad un passo dall’alba”) dove mi soffermo sui dettagli ed ho notato che è la mia opera più “gettonata”, ma , qualità a parte, è quella che amo di meno….

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Autore

rossellamilone@minimaetmoralia.it

Rossella Milone è nata a Pompei nel 1979 e vive a Roma. Ha pubblicato le raccolte di racconti Il silenzio del lottatore (minimum fax, 2025), La memoria dei vivi (Einaudi 2008), Prendetevi cura delle bambine (Avagliano 2007) – per la quale ha ottenuto una menzione al Premio Calvino - e  Per Laterza è uscito nel 2001 Nella pancia, sulla schiena, tra le mani, Per Einaudi sono usciti i romanzi Cattiva (2018) e Poche parole, moltissime cose (2013). Del 2023 è la novella Gli analfabeti, per Industria&Letteratura, proclamato libro del mese di Fahrenheit e classificato al terzo posto nelle classifiche di qualità de L'Indiscreto.  Per minimum fax ha pubblicato il racconto Un posto nel mondo all’interno dell’antologia L’età della febbre. Collabora con diverse testate giornalistiche e coordina l’osservatorio sul racconto Cattedrale.

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