Vivere e lavorare alla Shakespeare & Company di Parigi

Dal nostro archivio, un pezzo di Sara Marzullo apparso su minima&moralia il 4 ottobre 2016.

È in una sera di fine giugno che Julia mi invita a cenare con gli altri tumbleweed nell’appartamento che un tempo era stato di George Whitman. Da un po’ a questa parte lo hanno messo a disposizione dello staff e dei ragazzi che dormono tra i libri, perché abbiano un posto dove cucinare; in questa stagione il tramonto arriva tardissimo e fuori dalla finestra Notre Dame è splendida come sono splendide le cose che non paiono mai vere.

Sotto il tavolo c’è Aggie, la gatta chiamata come Agatha Christie che un giorno è apparsa nella sezione dei gialli e che ha finito per essere adottata dalla libreria; se questa non fosse un’immagine davvero troppo stucchevole, direi che chiunque qui si sente come quel gatto: una volta che impari a muoverti in mezzo a quegli scaffali, andarsene diventa difficile.

Se le vite immaginate spiegano quelle reali

Questo pezzo è uscito su la Repubblica. (La foto è di Ron Haviv)

Uno degli scatti più noti del fotografo americano Ron Haviv ritrae un soldato della Guardia volontaria serba mentre sferra un calcio al cadavere di un civile musulmano. Colpendo, il militare tiene serenamente una sigaretta tra le dita della mano – il polso piegato, la postura nel complesso indolente. Ciò che di quell’immagine sconvolge è la coesistenza di segni inconciliabili: la violenza e l’ordinarietà, il furore e il quotidiano.

Il libro delle mie vite di Aleksandar Hemon (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli) è l’illustrazione tenerissima e spietata di come questa coesistenza di opposti – insostenibile eppure inevitabile – non riguarda una singola foto: è tout court la struttura in cui viviamo. Nelle nostre esistenze convivono (spesso inestricabilmente connessi) elementi discordanti che mettono di continuo alla prova la nostra capacità di comprensione, costringendoci a un ininterrotto stupore.