1988-1990, Keith & Paz (2017-2018)
di Teresa Capello Un parallelo – dal punto di vista, diciamo, di un fruitore attento – fra due importanti mostre Personali: Keith Haring a Milano, Palazzo Reale, nel 2017 – “About art” – e la recente “Andrea Pazienza. Trent’anni senza”, attualmente in corso al MACRO di Roma fino a metà luglio – pare necessario. Tra […]
Andrea Pazienza, trent’anni senza: Zanardi
In occasione della grande mostra Andrea Pazienza, trent’anni senza, inaugurata in occasione del Festival Arf!, che l’ha prodotta assieme al Comicon, presentiamo un testo tratto dal catalogo della mostra di Adriano Ercolani, su Zanardi, uno dei personaggi più celebre dell’autore. Il Festival Arf!, inaugurato ieri, si terrà fino al 27 Maggio presso il Mattatoio, ex MACRO a Testaccio a Roma; la mostra sarà visitabile fino al 15 Luglio.
di Adriano Ercolani
Perfido, rapace, amorale, vile e sadico: signore signori, vi presentiamo Massimo Zanardi.
Celebre è la dichiarazione dell’autore che meglio definisce l’anima del personaggio: «La caratteristica principale di Zanardi è il vuoto. L’assoluto vuoto che permea ogni azione».
Arf, il Festival del fumetto a Roma
di Federico Vergari
Questo pezzo l’ho scritto l’altro giorno. Il 23 maggio, il giorno in cui Andrea Pazienza avrebbe compiuto 62 anni ed è un pezzo che al suo interno parla (anche) di un mostra su di lui. Anzi, della mostra sui Trent’anni senza Pazienza che si inaugurerà al Mattatoio di Testaccio con l’inizio della quarta edizione dell’Arf di Roma il 25 maggio.
Senza. Una preposizione privativa che ci delinea subito il terreno dell’evento. La mancanza. Senza ancora averla vista, la certezza è che esclameremo uscendo dall’Arf: Chissà se ci fosse ancora oggi, Pazienza. Sono già trent’anni che non c’è più. Io all’epoca avevo sette anni e ho soltanto un vago ricordo della sua morte. Credo di ricordarmela solo perché colpì mia sorella, già allora grande appassionata e alla quale devo il mio amore per il fumetto.
Andrea Pazienza, Amore mio
Questo testo è la prefazione al libro di storie brevi di Andrea Pazienza Amore mio, ottavo volume della nuova collana curata da Repubblica/Fandango. (fonte immagine).
A un certo punto c’è Mario che viene mollato dalla fidanzata Cia per un musicista di nome Benka e allora chiama la madre (di Cia) e le dice: “Sua figlia va a letto con un drogato”. La madre gli risponde: “Mario, sei tu?” E Mario: “Sì, cioè no. Questa è una telefonata anonima. Sua figlia torna tardi la sera perché si droga e va con i drogati”. La storia si chiama Suite for Benka, l’ha disegnata Andrea Pazienza. È una delle decine di storie brevi che negli anni Ottanta pubblicava su Frigidaire, Il Male, Linus, Alter alter, Corto Maltese, Orient Express, forse qualche altra. Poi negli anni Novanta quasi tutte quelle riviste già non c’erano più. Nemmeno Andrea Pazienza c’era più. Per fortuna le storie sono rimaste.
Un’estate Paz
Questo pezzo è uscito su Linus: ringraziamo la testata e l’autrice.
di Giulia Cavaliere
Anch’io, come la giovane Elisabetta Pellerano, ho scoperto il Gargano per amore. Come la compagna e musa, l’amante e l’infinito tormento di Andrea Pazienza, sono stata trascinata sulla sabbia di San Menaio nel centro di un’estate italiana. Ho percorso sul sedile del passeggero centinaia di chilometri avanti e indietro immersa nella Foresta Umbra sulla strada Statale 89, detta anche “Garganica”, quella stessa via di tornanti che Paz ha tracciato in vita un migliaio di volte senz’altro, con papà Enrico e mamma Giuliana da bambino e al volante da adulto, in una naturale spinta verso un luogo che era, forse più di ogni altro, casa sua, e verso il quale, nel 1983, arrivando a gran velocità fatto di eroina da Bologna sulla sua vecchia Renault, correva a cercare di disintossicarsi.
Nato a San Benedetto del Tronto ma cresciuto nella provincia di Foggia, in quella “San Severo, città del mio pensiero, dove prospera la vite e l’inverno è alquanto mite” che descriveva come una città gremita di club, medici arricchiti senza merito in grado di partecipare soltanto a congressi tennistici, il giovane Pazienza non trova pace né luogo deputato alla sua sensibilità e al suo talento; iscritto dal padre, pittore, al liceo artistico di Foggia, verrà presto ritirato e spedito a proseguire la scuola a Pescara dove, in un ambiente meno selvaggio e in una solitudine che non si scrollerà mai più di dosso, conoscerà il futuro compagno di avventure artistiche Tanino Liberatore.
Le straordinarie avventure di Andrea Pazienza
Tra qualche giorno Andrea Pazienza avrebbe compiuto sessant’anni: era nato a nato a San Benedetto del Tronto il 23 maggio 1956, ci ha lasciato il 16 giugno 1988. Di seguito pubblichiamo la prefazione di Nicola Lagioia a Le straordinarie avventure di Penthotal, il primo volume della nuova collana curata da Repubblica/Fandango che sarà in edicola a partire da domani (fonte immagine).
Così, a un certo punto, Pentothal parte alla volta di Napoli.
“Alle mie spalle, a meno di un giorno di cammino, erano i cavalieri di Federico, lanciati alla conquista delle Terre di Mare. Importante per me era arrivare a Napoli prima di loro, altrimenti mi sarebbe stato difficile trovare Luigi nella confusione della battaglia”.
Per anni, per più di un decennio, e purtroppo ancora oggi, non mi riesce mai di andare a Napoli senza vedermi a bordo di un’automobile decappottabile anni Venti, in marcia verso un’enorme cinta muraria ricostruita come quella di un’antica città mediorientale disegnata da Moebius (Ninive o Damasco o Babilonia), dove ho un appuntamento con un tizio di nome Luigi, il quale mi porta a casa di Vittoria, questa bellissima svedese con cui ci ritroviamo di notte completamente nudi a guardare il cielo stellato sul lungomare Nazario Sauro dopo esserci fumati due bei cannoni di libanese bauxitico.
Tamburo
Altri lo faranno meglio di me, con più competenza. Soprattutto chi l’ha conosciuto. Era solo per ricordare anche in questa sede Stefano Tamburini. Se ne andò trent’anni fa, in un imprecisato giorno di aprile del 1986. Spero di fare cosa gradita segnalando qualche link. Il primo – da Radio Radicale – è l’audio della trasmissione televisiva andata […]
Fidarsi del proprio istinto. Intervista a Luca Marinelli
Questa intervista è uscita sul Mucchio, che ringraziamo (fonte immagine).
di Rosario Sparti
Viso scavato, naso importante, grandi occhi luminosi. A guardarlo bene il volto di Luca Marinelli ha qualcosa di cartoonesco. Del resto il suo Cesare, corpo dolente di Non essere cattivo, richiamava alla mente certi personaggi di Andrea Pazienza. Ma con Lo chiamavano Jeeg Robot, film d’esordio di Gabriele Mainetti, l’attore può davvero indossare i panni del cattivo da fumetto, interpretando il ruolo dello Zingaro: un Joker di borgata, ossessionato dall’idea di diventare famoso su YouTube, che trascorre le giornate tra una rapina e il ricordo della sua partecipazione a “Buona Domenica”, finché non incappa in un ladruncolo dai misteriosi superpoteri che mette i bastoni tra le ruote alla sua resistibile ascesa al comando della mala capitolina.
Marinelli, classe 1984, gli regala follia, intensità e talento vocale, con un’interpretazione elettrizzante, pari a quelle che l’hanno imposto come uno degli attori italiani più camaleontici e completi della sua generazione.
“Osservo, sogno e disegno”: intervista a Milo Manara
Questa intervista è uscita sul Foglio: ringraziamo l’autore e la testata.
di Salvatore Merlo
“Quando gli amici di mio nipote, che ha diciassette anni, cominciano a guardarmi con una faccia strana, devo ammettere che a volte mi capita di pensare: ‘Ma non è che, forse, stanno leggendo i miei lavori?’”. E quando sorride, quest’uomo di settant’anni, colto e raffinato, composto nel tono e nei modi, si trasforma come il cielo nuvoloso in un giorno di vento, e il suo volto, delicato e misteriosamente ironico, improvvisamente assomiglia a quello di un monello.
Uno sguardo che nasconde, sotto un innocente pagliaio, un sottilissimo ago di spiritosa malizia. “Una volta Michele Serra mi ha detto: ‘Milo, sei l’unico uomo che riesce ad eccitarmi’”. Ed è a questo punto, trovandosi davanti al maestro dell’erotismo a fumetti, che si pone un problema non facile, quello cioè di travestire di abili perifrasi la domanda ormai improrogabile: ma lei lo sa che i ragazzini si masturbano sui suoi disegni?
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Stato dell’arte e proposta teorica