Generations of love, diciotto anni dopo. Intervista a Matteo B. Bianchi

di Marco Mancassola

“I mutamenti del pianeta sono più veloci della mia capacità di registrarli”, scrive il narratore di Generations of love –  una frase che riecheggia a lungo dopo aver riletto, a diciott’anni dalla prima edizione, il romanzo d’esordio di Matteo B. Bianchi (uscito nel 1999 e ora ripubblicato da Fandango, in una edizione arricchita di “contenuti speciali”). Se quella frase era già attuale ai tempi della prima uscita del libro, oggi riassume un sentimento conclamato e generalizzato. Lo stato di accelerazione in cui viviamo sembra rendere il nostro tempo un oggetto sfuggente per le coscienze, figurarsi per i romanzi – i cui ritmi di scrittura (e anche di lettura) sembrerebbero incommensurabili a quelli del ribollire del mondo.

Eppure, c’è qualcosa di speciale nel rapporto fra un romanzo di formazione d’esordio e il tempo in cui è stato scritto e letto; c’è qualcosa di speciale anche in un romanzo che viene ripubblicato dopo alcuni anni, tornando ad abitare un mondo sottilmente, radicalmente cambiato.