Smaltimento rifiuti – Sui precari, i luoghi e i vecchi
Pubblichiamo un articolo di Cosimo Argentina, autore di Per sempre carnivori, uscito sull’ultimo numero del trimestrale Graffiti. (Immagine: Man Ray e Marcel Duchamp)
Luoghi. Un precario, un vero precario ferox, fa della precarietà la propria agiografia. Si precarizza il possibile e l’impossibile: amori, lavori, mete, parenti, barzellette, pizzerie, latrine… si arriva ad essere solidali con il giallo del semaforo. Si vive dove capita e tra una dimora e l’altra si riempie l’auto di seconda mano di accappatoi, radio, calzini, colluttori e pillole per la pressione (perché il vero precario, il precario sul serio diventa iperteso, non ci sono cazzi).
Non so quante case ho cambiato aspettando che saltasse fuori qualcosa di buono e potessi incassare un simulacro di stabilità. Prima con quel nomade di mio padre e con quella figlia della guerra di mia madre ce la siamo dichiarata a Taranto per tre anni, a Lecce dove ricordo solo la vetrata di un asilo e il vicino di casa ficcanaso, poi di nuovo a Taranto e quindi ad Alessandria dove scansavo i cigli indifesi e osservavo i tori da monta sulla pesa.
L’arte della guerra di carta e inchiostro
Questo pezzo è uscito sul bimestrale Graffiti. (Immagine: Hiroshige.)
Leggendo L’arte della guerra di quel figlio di puttana di Sun Tzu mi è venuto in mente uno strampalato ipotetico Dao che riguardi la scrittura conscio che non seguirò mai tutti i dettami di un’eventuale via o principio universale che porta alla scrittura. Ma siccome predicar bene e razzolare male non è solo la prerogativa dei preti (fa’ come prete dice e non come prete fa), ci provo in questa pagina consapevole che non sarò in grado di rispettare nemmeno il 50% dei punti previsti.
Punto 1. Il Dao è dato nel momento in cui lo scrittore si pone la madre di tutte le domande: premesso che tu sia consapevole del tuo talento, quanto sei disposto a offrire per la Scrittura? Non ci sono mezze risposte a questa domanda. L’unica risposta è tutto. La vita. Il culo. Tutto, insomma.
Grandi perdenti americani
Questo pezzo è uscito su la Repubblica. (Immagine: Gary Shteyngart. Fonte: University of Tennessee’s Daily Beacon.)
Ho sempre trovato curiosa l’abbondanza di alter-ego imbranati nei romanzi degli scrittori americani maschi sotto la cinquantina: sono persone affermate, che normalmente conquistano donne interessanti e di bell’aspetto, ma i loro personaggi no. Quando ho chiesto il perché a uno di loro, uno scrittore americano di mezza età, lui mi ha risposto ironicamente che forse per loro il sesso come divertimento è una cosa da college, non si può mettere nei romanzi.
Per gli italiani cresciuti con il Decameron di Boccaccio e quello di Pasolini, è strano trovarsi davanti personaggi maschili che raramente si divertono e godono. Cercando un esempio per spiegarmi, ho aperto a caso Tutti gli intellettuali giovani e tristi di Keith Gessen e ho letto questo: “…e di colpo Sam si accorse che non ce l’aveva duro. Tradimento! Pieno di pensieri lussuriosi (…) ma incapace di lussuria nei gesti. Ne aveva scritto sant’Agostino”: il tono è quello esagitato di Philip Roth, ma il contenuto è l’impotenza: la scena in questione parla di un abboccamento con una blogger, e del terrore del protagonista che la blogger il giorno dopo scriva di lui: in caso di insuccesso, “decine di migliaia di lettori l’avrebbero saputo entro la fine della settimana”.
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