Grandi scrittori immortalati da grandi fotografi
Questo pezzo è uscito su Europa. (Immagine: Emmanuel Carrère, Parigi, 2004. ©Lise Sarfati/Magnum Photos/Contrasto)
Soprattutto, gli scrittori pensano e osservano. Riconoscerli è semplice perché di solito sono circondati da oggetti e ambienti che certificano il loro talento artistico. Gli scrittori sono i loro stessi gesti, i vezzi e i velluti che sigillano la loro diversità (penne, baffi, scrivanie, papillon, bretelle, scarpette e bicchieri di vino). È appena uscito Scrittori (libro edito da Contrasto) che presenta 250 fotografie di grandi scrittori immortalati da fotografi altrettanto celebri (Cartier-Bresson, Robert Capa, Elliott Erwitt, Ugo Mulas, Salgado, e altri). Ma questo splendido catalogo è anche involontariamente un manuale di retorica che illustra la mitologia che avvolge intellettuali, romanzieri e poeti. Per prima cosa, lo scrittore autentico è circondato da libri. Libri sfogliati, libri che caricano chi li sfiora del loro potere evocativo. Molti volumi infatti tra le mani di Adonis e Yeats, di Apollinaire e Cabrera Infante, mentre Márquez ha una copia di Cent’anni di solitudine aperta sulla testa, e spessissimo i libri rifulgono dallo sfondo: dagli scaffali di Margaret Atwood, George Bataille, Malaparte e Gadda. Pile torreggiano da terra e circondano Peter Handke, Musil è sommerso da quelli impilati sulla scrivania; abbondano le librerie ordinate di Vargas Llosa, di Vila Matas, della Némirovsky, e quelle disordinate à la Mishima.
Jim Carroll, il poeta della pallacanestro
Pubblichiamo la prefazione di Tiziana Lo Porto a Jim entra nel campo di basket di Jim Carroll. Vi segnaliamo che domani, lunedì 2 giugno, Tiziano Lo Porto sarà ospite del festival La grande invasione di Ivrea per partecipare all’incontro A proposito di Jim Carroll insieme a Violetta Bellocchio.
Tutto quello che c’è da dire e da sapere su Jim Carroll sta in un rapido elenco di parole: pallacanestro, poesia, rock’n’roll, eroina. L’ordine non è importante, le parole sono quelle. Racchiudono in sé grazia e vulnerabilità, potenza e resa. Così per la durata di una vita, nel caso di Jim Carroll costellata di episodi memorabili e mai lontanamente facile.
La vanità è una grande qualità
Vedere giocare Jim a pallacanestro è un sistema infallibile per capirne l’opera. Jim Carroll giocava con vanità. A un certo punto della sua vita disse: «La vanità è una grande qualità nel rock. È come quando giocavo a pallacanestro: non è importante segnare due punti ma essere figo mentre lo stai facendo, è una possibilità per trascendere te stesso».
Richard Yates e l’America degli anni Cinquanta – Un tentativo di indagine
di Marco Mantello
Limitiamoci alla piccola borghesia universale, per favore, lasciamo da parte i poveracci, i clandestini e i pazzi. E ripetiamolo tutti insieme, con convinzione: non è vero che quando si muore si muore soli.
Se non sei un barbone dickensiano sotto i ponti di Buniago di Maserà, o un vedovo di settant’anni chiuso in casa col telecomando, è molto difficile andarsene senza avere della gente intorno, delle opinioni, finanche azioni od omissioni dirette a gestire in modo più o meno cooperativo il come e il quando morirai.
I reparti di rianimazione degli ospedali sono luoghi affollatissimi.
Nella casa del malato terminale c’è sempre qualcuno, fosse anche solo un’infermiera, una moglie o una colf. Gente che tace, che ha qualcosa da eseguire, gente in visita, amici, preti e animali domestici.
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