Fausto Paravidino, il nostro drammaturgo all’inglese

(Immagine: Fausto Paravidino in scena con Il Diario di Mariapia.)

Fausto Paravidino è un uomo minuto, dalla voce profonda, intensa e graffiante. Lo vidi per la prima volta cinque anni fa: in una scuola di teatro di Roma stavano mettendo in scena una delle sue opere, Due fratelli, e lui venne a vederla. Ne ebbi paura, come ne ho sempre di fronte alle persone che stimo molto, e mi fece tenerezza, era così piccolo. Alla fine della rappresentazione tutti si raggrupparono verso l’uscita intonando convenevoli di circostanza (la cosa peggiore del teatro sono i commenti di fine spettacolo, bisognerebbe avere il dono di diventare sordi dall’ultimo applauso al momento di tornare a casa) io rimasi muta ed immobile al mio posto. Non mi sarei mai permessa di avvicinarlo fingendo fosse un caro amico: quei fastidiosissimi “ciao Fausto!” che sentii mi parvero un affronto, un segno di indelicatezza. Quelle sciocchezze dette per dire qualcosa mi urtarono, uscii e me ne tornai a casa cercando di farmi un’idea su Fausto Paravidino.

L’ho rivisto lo scorso ottobre al Franco Parenti di Milano per la rappresentazione di Il Diario di Mariapia, il suo ultimo spettacolo. Ho provato quella stessa sensazione: un po’ meno paura, molta stima, altrettanta tenerezza. Il Diario di Mariapia è un testo scritto al capezzale della madre morente di Paravidino, come una dettatura delle ultime impressioni sulla vita, sui figli, sulle cose. Uno scandaglio piuttosto straziante di un donna forte e intelligente che sta per lasciare la vita, vivificato dalle due figure di Fausto e Iris (personaggi di sé stessi e di altri intorno alla malata) e dalla semplicità e scorrevolezza della scrittura.