Il revival della masseria tra jet set e capolarato

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Guarda le masserie, e capirai la grande trasformazione della Puglia negli ultimi decenni. Perché se è vero, come diceva Cesare Brandi, che la vera Puglia è quella rurale, quella delle pianure di terra rossa solcate dagli ulivi, dalla vite, dal grano, quella delle carrarecce, dei muretti a secco e della pietra addomesticata, è proprio là che un intero mondo è mutato. Anzi, sì è letteralmente capovolto, molto più che nelle città che sorgono lungo la costa. Di quel mondo rurale, plurale e diversificato, la masseria era il cardine architettonico, economico, antropologico, una sorta di ecosistema capace di resistere al passaggio del tempo.

“Ossigenarsi a Taranto” (ossigenare Taranto)

Questo articolo è uscito sullla «Gazzetta del Mezzogiorno»

Taranto e taranta. «Guardare da vicino le parole, conduce lontano lo sguardo» ammoniva l’aforista viennese Karl Kraus. Così, fra i due lemmi fratelli si iscrive l’essere biunivoco – ed equivoco – della Puglia di questi ultimi anni. Apulia felix et infelix nel contempo, baciata e avvelenata dall’olimpo: l’ebbrezza e l’Ilva, Dioniso e Tanato; ovvero la danza e l’acciaio, Efesto e Tersicore. Due morsi dello stesso ragno nel Salento che per Ernesto De Martino è «la terra del rimorso», quindi del pentimento e del tormento, ma anche del mordere di nuovo, appunto.

Una Puglia siffatta può ricordare «la sonnambula meravigliosa» degli studi  antropologici di Clara Gallini sul magnetismo ottocentesco. Isterica e seducente, orgogliosa e patologica, essa somatizza e ipnotizza, è riottosa alla ragione e persino alle interpretazioni dell’inconscio o dell’irrazionale. Naturale che gli esorcismi della politica (culturale) non funzionino più. Per esempio, l’anteprima dell’estate scorsa a Taranto della «Notte della Taranta» – il festival dei concerti salentini – attirò quasi più polemiche che pubblico (modesti entrambi). L’arcaismo danzante fattosi festival di successo della World Music provò a reincarnarsi nella originaria funzione terapeutica, cioè a purificare nel ritmo i problemi economici, sociali e giudiziari del Siderurgico, ma la catarsi fu gioco forza rinviata.

Inchiesta su “patrimonio” e “sussidiarietà”. Retoriche, politiche, usi pubblicitari

Riprendiamo un articolo di Michele Dantini uscito su ROARS. (Immagine: Alessandro Magnasco, L’arresto dei briganti.)

di Michele Dantini

Il dibattito sulla trasformazione di Brera in Fondazione di diritto privato oppone storici dell’arte a storici dell’arte, responsabili della tutela a “decisori” e economisti. Con l’attribuzione alla Fondazione della duplice competenza su beni immobili e collezioni il governo è apparso consolidare la fuorviante distinzione tra “tutela” e “gestione” e svilire le funzioni pubbliche di custodia, pure previste dalla Costituzione. Esistono garanzie che gli obiettivi scientifici e didattici risultino vincolanti anche in futuro? Inoltre: è ammissibile che il problema della riqualificazione delle competenze pubbliche sia ancora una volta tralasciato? Un convegno organizzato dall’Associazione Bianchi Bandinelli ha da poco richiamato l’attenzione sull’emergenza in cui versano le professioni della tutela. Scavi archeologici e campagne di catalogazione sono affidate a giovani precari mentre crescono collaborazioni esterne con società prive di personale qualificato.

Il teatro di Virgilio Sieni

Pubblichiamo un articolo di Alessandro Leogrande, uscito sul «Corriere del Mezzogiorno», su Virgilio Sieni.

Non è affatto scontato che il teatro provochi ciò che dovrebbe provocare, o almeno cercare di provocare. Sconcerto, sospensione, messa a nudo, ribaltamento dei codici, sventramento della percezione, accumularsi di reminiscenze… Oggi sempre più spesso  non capita, tanto che i teorici più radicali della “morte del teatro” non hanno tutti i torti. Ma questo, per fortuna, non riguarda Virgilio Sieni e il suo singolare, assoluto tentativo di riportare il teatro alla danza, e la danza a un complesso sedimentarsi di gesti originari.

Il “Grande Adagio Popolare” andato in scena a Bari è un affresco del gesto (e della relazione tra esso e la città, il suo tessuto urbano, la sua ragnatela sociale) che apre infiniti squarci. L’“Adagio” di Sieni è un percorso diviso quattro momenti. I primi due, “Racconti” e “Sul volto”, si sono animati a Palazzo Fizzarotti e all’ex Palazzo delle Poste. Gli ultimi due, “Madri e figli” e “Visitazioni”, hanno invece avuto luogo rispettivamente al Palazzo della Provincia e alla Camera di Commercio.