Cosmopolis: il mondo in una limousine

Pubblichiamo una recensione di Christian Caliandro, uscita in forma ridotta su «Artribune», su «Cosmopolis» di David Cronenberg.

L’anticinema di Cosmopolis non è certo per tutti: moltissimi, anzi, non sanno proprio che farsene; lo ritengono irritante, didascalico, sconnesso, e in ultima analisi indigesto. Ma il film di David Cronenberg, tratto dal romanzo del 2003 di Don DeLillo, riesce laddove moltissimi avevano finora fallito miseramente. Cronenberg mette infatti linguaggio e stile al servizio di una meditazione sulle “magnifiche sorti e progressive” dell’ipercapitalismo odierno: più che la fine del mondo, Cosmopolis mette in scena la fine di un mondo – e l’inizio di un altro.

La limousine di Eric Packer (Robert Pattinson), in viaggio nel cuore di una Manhattan (ricreata ‘per sottrazione’ a Toronto) stravolta dalle poteste e dagli scontri non è solo il teatro delle conversazioni tra il protagonista e i personaggi collaterali, portatori di sfumature sulla storia e sulle sue coloriture cultural-psicologiche. La limousine è una vera e propria capsula spazio-temporale, in grado di isolare lo spirito di un’intera epoca. Le qualità più sfuggenti e sottili e invisibili del presente – quel contemporaneo che ci sembra a volte così indecifrabile e misterioso, proprio per la sua mutevolezza e la sua apparente stupidità.