L’invenzione della madre: Nicola Lagioia intervista Marco Peano
È in libreria per minimum fax L’invenzione della madre, il romanzo d’esordio di Marco Peano. Come raccontare la malattia e la perdita di un genitore? Pubblichiamo un’intervista di Nicola Lagioia a Marco Peano e vi segnaliamo l’incontro di domani, giovedì 5 febbraio, alle 19.30 alla libreria Giufà di Roma. Con l’autore intervengono Michela Murgia e Nicola Lagioia. (Immagine: Le tre età della donna, Gustav Klimt)
Il tuo romanzo si apre con un’epigrafe di Donald Antrim. È una frase molto potente, e anche per certi spaventosa nella sua definitività. Dice che il deterioramento della vita di sua madre ne riassume la storia. E dice anche che questa storia è legata indissolubilmente a quella del figlio. Antrim non arriva a dire in modo esplicito che l’idea stessa di madre contiene quella di figlio senza che a quest’ultimo sia data la possibilità di emanciparsene, ma la sensazione che accarezzi un pensiero simile c’è. Allora, da una parte (questo nel tuo romanzo mi sembra di percepirlo in modo chiaro) tra madre e figlio si consuma il rapporto d’amore più profondo e antico (e forse anche spaventosamente bello) che all’uomo sia dato di provare. Dall’altra mi chiedo se questo non significhi costringere i figli in una gabbia per uscire dalla quale non esiste una chiave. Come se ne esce? È necessario uscirne?
Uno dei motivi per cui ho scritto L’invenzione della madre, oltre alla necessità di doverlo fare, è legato al desiderio di raccontare il rapporto madre-figlio in una situazione estrema come quella della fine vita. In fase di stesura, mi sono accorto che uno dei temi che stavo affrontando – e che innervavano la storia in maniera significativa – era la difficoltà ad accettare il cambiamento.
George Saunders racconta Donald Antrim
Stasera saranno annunciati i vincitori del National Book Award. Dieci dicembre, l’ultima raccolta di racconti di George Saunders, è tra i libri finalisti nella sezione Fiction. Poco tempo fa Donald Antrim ha vinto il Genius Grant della fondazione MacArthur, una borsa di studio che premia ogni anno i migliori talenti creativi. Vi facciamo leggere la prefazione di George Saunders a Il verificazionista di Donald Antrim, pubblicato di recente nei tascabili di minimum fax. Traduzione di Dario Matrone. (Fonte immagine)
di George Saunders
Arf, ma perché questo pratino è così meraviglioso?
A volte succede che un cane, mentre si dimena beato a pancia all’aria, si fermi e lanci un’occhiata al proprietario, come per dire: «Scusa, padrone. Me la sto solo un po’ spassando».
Prevedo che anche voi reagirete con una specie di dimenamento sull’erba alla lettura del Verificazionista, uno dei più piacevoli, divertenti, irrequieti, complessi, appassionanti romanzi degli ultimi vent’anni. Se la mia reazione può essere in qualche modo indicativa, verrete risucchiati immediatamente, e navigherete tra le pagine del romanzo sempre più incantati, elettrizzati dall’audacia di Antrim, nuovamente consci che l’economia di mezzi e la larghezza di spirito non si escludono reciprocamente.
Ma ahimè, quando noi umani veniamo assorbiti così piacevolmente da un’opera d’arte come prevedo capiterà a voi, può darsi che, a differenza di quel cane, non ci fidiamo del nostro piacere, e proviamo il bisogno di analizzare ciò che lo ha provocato arrivando, nei casi più depravati, persino a scriverne un’introduzione. Soprattutto se l’opera suscita piacere in modi nuovi e inattesi (ovvero, se è originale), può succedere che ne usciamo fuori un po’… scardinati. Insicuri, storditi, disorientati – Cavolo, ci viene da dire, ma che m’è preso? Com’è possibile che una descrizione di eventi che non sono mai accaduti, e che, nel caso specifico, non potrebbero mai accadere, mi abbia fatto sentire così spaventosamente vivo?
#ScatolaNera 3: Il diario di Matthew Klam
Il diario del tour italiano di Matthew Klam è uscito sul sito di minimum fax nel 2002. La traduzione è di Martina Testa.
Primo giorno, 24 maggio
Il mio volo è atterrato alle sette di mattina di venerdì; sono salito su un taxi e l’autista ha messo in moto (per portarmi a casa di M., il mio editore, che mi avrebbe ospitato per i primi due giorni) e ha cominciato a guidare come un pilota di Formula Uno. Erano quindici anni che avevo smesso di studiare l’italiano, ma mi sono ricordato qualcosa: “Tu guida la machina fantastico!”, e lui ha apprezzato molto. Ci siamo avvicinati a Roma: sull’aereo non avevo chiuso occhio e nel mio cervello insonnolito pensavo che avrei visto un posto tipo Parigi o Barcellona, e invece erano tutte colline verdi e alberi bellissimi che parevano usciti da un dipinto del Rinascimento; poi, entrare in città è stato come essere inghiottiti da una balena, all’improvviso un chiasso incredibile! Da ogni parte si alzavano chiese, rovine, folli monumenti costruiti da Mussolini, la strada curvava di punto in bianco, i palazzi erano splendidi, chiese antiche, vecchi palazzi signorili enormi e grandiosi… una sola di queste cose sarebbe già il fiore all’occhiello di qualunque città americana, ma qui sono tutte ammucchiate insieme. Le cupole delle basiliche sopra la mia testa, le strade acciottolate, il taxi che sobbalzava da tutte le parti.
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Stato dell’arte e proposta teorica