Donald Antrim e “La luce smeraldo nell’aria”

Questo pezzo è uscito sul Mucchio, che ringraziamo.

Donald Antrim è uno scrittore americano che appartiene alla generazione degli attuali cinquanta-sessantenni. Quelli che, come si dice, sono diventati letterariamente adulti dopo aver passato la giovinezza (leggi: l’età della formazione) sull’onda lunghissima del postmoderno, con tutte le sue sfumature e gemmazioni.

Dopodiché ciascuno ha seguito la sua strada, mentre via via il mondo intorno, come sempre accade, cambiava (e continua a cambiare), e con lui le mode e tutto il resto – così va la vita. Il viaggio di Antrim è rappresentato al meglio da questa raccolta di racconti, La luce smeraldo nell’aria, traduzione di Cristiana Mennella – ed è una strada che vale la pena di imboccare.

Buon anno da minima&moralia

Con Porcospini all’università, un racconto di Donald Barthelme tratto da Dilettanti (minimum fax) e apparso per la prima volta nel 1970 sul New Yorker, la redazione di minima&moralia augura a tutti i lettori un felice anno nuovo.

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Porcospini all’università 

di Donald Barthelme
(traduzione di Vincenzo Latronico)

«E già l’ombra rossastra del crepuscolo / furtiva avanza sui prati del mio cuore», disse il Preside. La sua bella moglie, Paula, protese due mani esili e graziose piene di Negroni.

Una sentinella irruppe nella stanza, dalla porta. «Porcospini!», gridò.
«Porcospini che?», chiese il Preside.
«Migliaia e migliaia di porcospini. Sono a cinque chilometri da qui, e si avvicinano in fretta!»
«Non è detto che vogliano iscriversi», disse il Preside.
«Forse sono solo di passaggio».
«Non puoi esserne certo», disse la moglie.
«Che aspetto hanno?», chiese alla sentinella, che si stava estraendo delle spine di porcospino dalle caviglie.

Dov’è Bill? Appunti su William T. Vollmann

(fonte immagine)

di Marco Drago

William T. Vollmann per me è un bel problema, e non solo per me, sia chiaro. Lo è un po’ per tutti un bel problema, William T. Vollmann. Temo – è una battuta – che sia un bel problema anche per William T. Vollmann.

Sono in una inedita condizione di doppia lettura (o lettura parallela) di due suoi libri, Riding Toward Everywhere (2008) e Kissing the mask (2010). Il primo – per quel che ho capito, sono all’inizio – parla di lui che si unisce a tre tizi che passano il tempo prendendo passaggi dai treni merci. Passaggi illegali, ovviamente. Gente che, in piena notte, salta al volo su un lunghissimo treno di vagoni aperti carichi di tronchi appena tagliati e si fa tutta la California senza motivo. Train hoppers, quelli che un tempo si chiamavano hobos. Una specie di sottocultura con personaggi e mitologie interne che farebbero gioire Bob Dylan. È un libro breve, per essere stato scritto da William T. Vollmann (Bill da qui in avanti) e contiene 65 pagine di fotografie scattate da Bill durante i vagabondaggi. L’altro libro di Bill che sto leggendo, invece, l’ho quasi finito, è lunghissimo, e parla delle maschere del teatro noh giapponese. E di femminilità. E delle donne asiatiche (una fissa di Bill). E poi parla di tante di quelle cose che ci vorrebbe una tesi di laurea per cercare di sviscerarlo tutto.

L’arrembaggio sgangherato dei fascio-leghisti

Una cancellata si è materializzata all’Esquilino, in un sabato mattina romano. Larga da marciapiede a marciapiede, costruita in stile barricata/puzzle, alta più o meno due metri e mezzo, con dentatura appuntita in cima. Ad occhio, un patchwork poco geometrico. È blu, dello stesso blu dei blindati della polizia che la sostengono, ed è piazzata all’imbocco di via Napoleone III, una delle tante strade che partono da piazza Vittorio Emanuele II, la piazza più grande di Roma, costruita dai “piemontesi” nel quartiere oggi pieno di botteghe indiane, bengalesi, cinesi. I passanti si soffermano, guardano oltre la griglia di ferro. Giornalisti e turisti scattano fotografie, residenti e commercianti la osservano prima con stupore, quindi con quella che sembra una crescente familiarità. Si finisce con l’abituarsi a tutto. Troppo larga per una porta di calcio, la cancellata potrebbe andar bene per una partita di pallavolo, non fosse per la dentatura in cima. La superficie irregolare del reticolo renderebbe pressoché impraticabile lo squash. Difficile attaccarci bigliettini o messaggi. I poliziotti se ne stanno nei blindati, a vigilare sul loro checkpoint-charlie-per-un-giorno.

Scrivere secondo John Barth

Pubblichiamo un estratto dalla raccolta L’algebra e il fuoco. Saggi sulla scrittura di John Barth a cura di Martina Testa, e vi invitiamo alle 21 alla libreria minimum fax di Roma per l’incontro Perché leggere John Barth? con Giordano Tedoldi e Damiano Abeni.

Va da sé

di John Barth

Cos’è la narrativa? Cos’è una storia? Cosa spiega il fatto che gente di ogni epoca e di ogni luogo pare trovare piacere, sia a livello individuale che di cultura collettiva, nell’inventarsi delle storie e poi nel raccontarle o scriverle o metterle in scena, come anche nel sentirle o leggerle o vederle rappresentate?

Domande del genere sono talmente elementari che ci sembrerebbe di poter rispondere a ciascuna: «Va da sé». Ma (1) quando io ero un giovane apprendista scrittore di narrativa, appena insignito del diploma di Master of Arts ma ancora ben lungi da qualsiasi maestria nella mia arte, presi la decisione – non so se per una scelta automatica dettata dalla passione o per una profondamente sentita mancanza di alternative – di pagare l’affitto insegnando all’università, almeno fino a quando i proventi delle mie opere letterarie non mi avrebbero gonfiato il portafoglio; e inoltre decisi di dedicare il versante accademico della mia vita a dire e ripetere all’infinito, come un mantra, tutto ciò che riguardo l’arte della narrativa non c’è bisogno di dire, fino a quando l’ovvio non si sarebbe spogliato della propria ovvietà diventando così nuovo e arcano, come succede alla propria firma dopo che uno l’ha riscritta mille e una volta di fila – alquanto interessante esercizio di defamiliarizzazione ontologica.

Un’intervista a David Foster Wallace

Oggi David Foster Wallace avrebbe compiuto cinquantadue anni. Pubblichiamo un’intervista che rilasciò nel 1996 a Laura Miller di Salon contenuta nella raccolta Un antidoto contro la solitudine. Traduzione di Martina Testa.

di Laura Miller

L’aspetto dimesso, da topo di biblioteca, con cui si presenta David Foster Wallace contraddice il look delle foto pubblicitarie, con la barba di qualche giorno e la bandana in testa. Ma del resto, anche il più alternativo degli scrittori deve avere un certo grado di serietà e disciplina per produrre un libro di 1079 pagine in tre anni. Infinite Jest, il mastodontico secondo romanzo di Wallace, giustappone la vita in un’accademia tennistica d’élite con le vicissitudini dei residenti di una casa famiglia nei paraggi, il tutto ambientato in un futuro prossimo in cui gli Stati Uniti, il Canada e il Messico si sono unificati, tutta la parte settentrionale del New England è diventata un’enorme discarica per rifiuti tossici, e qualunque cosa, dalle auto private agli anni stessi, è sponsorizzata da grandi aziende. Pieno di slang, ambizioso e qua e là fin troppo innamorato del prodigioso intelletto del suo autore, Infinite Jest ha comunque alla base una solida zavorra emotiva che gli impedisce di andare a gambe all’aria. E c’è qualcosa di raro ed esaltante in un autore contemporaneo che mira a catturare lo spirito dei suoi tempi.

Buon 2014 da minima&moralia

Care lettrici e cari lettori di minima&moralia,

questa è la nostra lettera di ringraziamento per averci seguito durante il 2013 con un’assiduità e una costanza che ci hanno ripagato molte volte delle energie spese quotidianamente in questo blog. In un modo per noi davvero inaspettato, avete fatto sì che minima&moralia diventasse non solo un importante punto di riferimento per il dibattito culturale in rete, ma addirittura uno dei primi quindici blog italiani più seguiti in assoluto.

Sono successe delle cose, quest’anno, che noi stessi avremmo faticato a immaginare persino usando (per una volta) l’ottimismo della ragione. È ad esempio accaduto che un unico post collezionasse in poche ore oltre 30mila contatti unici, che i redattori di minima&moralia si trovassero a chiacchierare (fuori dalla Rete) con lettori fino a quel momento sconosciuti a proposito del contenuto di un post, che un paio di post (anzi ben quattro) collezionassero in poche ore oltre quaranta insulti da parte dei commentatori che meno li avevano graditi, che un importante quotidiano italiano decidesse (per la prima volta) di aprire le sue pagine culturali con un pezzo pubblicato su minima&moralia, che insospettabili rappresentanti del mondo istituzionale ci confidassero o addirittura dichiarassero di essere lettori affezionati di questo blog, che ci arrivassero più proposte di collaborazione di quelle che potremmo accogliere se l’anno fosse fatto di quattrocento giorni, che un post decisamente critico nei confronti di una potente istituzione culturale e politica italiana scatenasse una curiosa e per noi divertentissima reprimenda da parte della consorte della persona fisica interessata regalandoci un meraviglioso Pascale-moment (Francesca, non certo Antonio), che di giorno in giorno ci disperassimo perché, se da una parte tenere in piedi il blog in modo sempre più soddisfacente riduceva le ore di cui era composta la singola giornata e poi la settimana e poi il semestre, dall’altra questo ci toglieva energie per consentire (al blog) di fare il vero e decisivo salto di qualità attraverso ciò che effettivamente ancora manca: un vero finanziatore.

La promessa sprecata della fantascienza

Nel 1973 L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon ottenne il premio Nebula, il più alto riconoscimento esistente nel campo un tempo conosciuto come “fantascienza” – un termine che adesso è ormai quasi del tutto dimenticato. Scusate, stavo solo fantasticando. Nel nostro mondo Lenny Bruce è morto, mentre Bob Hope tira avanti.

Le maestre ritrovate (I e II)

Questo articolo è apparso sul blog di Paolo Cognetti, Capitano mio Capitano. Cognetti, in occasione della riscoperta da parte della nostra editoria di due importanti autrici americane, ci racconta della sua grande passione per la letteratura d’oltreocenao. Sotto richiesta dell’autore vi chiediamo di commentare il testo, se volete farlo, direttamente sul suo blog. Sono tortuose […]

Perle Wallaciane

Per concludere questo lungo weekend di omaggio all’arte e alla persona di David Foster Wallace, vi proponiamo una piccola silloge del suo pensiero; riflessioni dell’autore, raccolte e tradotte da Martina Testa (la «voce» italiana di Wallace), sul valore della letteratura, sul contesto sociale ed etico che stiamo vivendo, sull’importanza e la gratificazione dell’insegnamento umanistico, sul […]