Comunisti d’America, rivoluzionari di carta

Pubblichiamo un articolo di Riccardo Staglianò uscito sul Venerdì di Repubblica.

di Riccardo Staglianò

New York. La rivoluzione sarà rilegata. Alla Barnes&Noble di Union Square, la libreria il cui caffè si trasforma spesso in temporanea base operativa per anarchici e socialisti newyorchesi, il nuovo pantheon siede immobile sullo scaffale delle riviste. I neonati Jacobin e The New Inquiry. L’adolescente n+1. L’anziano ma rinvigorito Dissent. Per citarne solo alcuni, tacendo della collana Pocket Communism della gloriosa Verso, portabandiera della New Left britannica, a pochi metri di distanza tra i libri. La sinistra è morta, viva l’editoria di sinistra. Rianimata da editor ventenni, per un pubblico (mentalmente) giovane, che vuol fare di tutto per smentire la profezia del pur amatissimo Slavoy Žižek su Occupy Wall Street: «I carnevali costano poco. Quello che importa è il giorno dopo». Loro ci sono ancora. Nonostante le varie dichiarazioni di morte presunta, come quella che si desume da un utile rapporto del locale istituto Rosa Luxemburg: «La sinistra (americana) è dura da trovare e ancor più da definire». Soprattutto se sei europeo, abituato all’equivalenza tra politica e partiti. Che qui conduce solo a frustranti aporie.