New York cambia, ma nulla è mutato nella mia malinconia

Mi sono spiato illudermi e fallire

abortire i figli come i sogni

mi sono guardato piangere in uno specchio di neve

mi sono visto che ridevo

mi sono visto di spalle che partivo

Fabrizio De André, in questo breve passaggio di Anime Salve, riesce a definire il concetto di malinconia in maniera diretta e tangibile, dandogli una collocazione, tratteggiandone gli sfuggenti contorni in un frammento potente e dolorosissimo.

La traccia Anime Salve dell’omonimo disco, ultimo del cantautore genovese e realizzato in fortunata collaborazione con Fossati, non è altro che un canto accorato in cui viene celebrata la solitudine cosmica dell’anima, definita, quest’ultima, “bell’inganno”. Anima ormai lontana dal mondo sensibile (“ti saluto dai paesi di domani”) e finalmente in grado di visioni antiche e ricordi ancestrali.

Le camminate di Puccini e i proiettori di Bergman

di Biancamaria Sacchetti

Vi è chi eredita una tenuta, un frutteto, un nome o magari un bel mucchio di debiti. Vi è poi chi eredita un mestiere, prendendo parte ad una vera e propria staffetta generazionale, in cui il testimone da passare è un determinato lavoro che, pur subendo delle piccole variazioni, rimarrà negli anni o addirittura nei secoli sempre il medesimo.

Nascere in una di queste famiglie votate alla “conservazione del mestiere a tutti i costi” potrà essere una fortunata circostanza che assicurerà, delle volte, fermezza economica e serene abitudini di vita. Una simile gabbia aurea rischierà, però, di annichilire, in taluni casi,  le potenzialità di scelta, ossia di limitare il libero arbitrio, da quello applicabile agli usi più marginali e quotidiani fino alle decisioni capitali dell’esistenza.

Emily Dickinson, il suo spazio poetico sulle buste di carta

Questo pezzo è uscito su la Repubblica.

Sono raccolte oggi in un bellissimo volume a colori le riproduzioni di alcune buste su cui Emily Dickinson, quando era a corto di altra carta, scriveva poesie. A firmare il libro insieme a Dickinson sono Marta Werner, accademica, docente di poesia, e l’artista Jen Bervin. Entrambe autrici di altri progetti sull’opera di Emily Dickinson, in qualche modo innamorate di poetessa e versi, le due americane hanno il merito di avere trovato una chiave che è al tempo stesso coltissima e diretta per raccontarne vastità e bellezza.

Nina Cassian: poesie tra viscere e disincanto

Questo articolo è uscito su Alias, l’inserto culturale del manifesto.

Di Nina Cassian, finora, i lettori italiani conoscevano a malapena il nome. A parte sporadiche apparizioni nelle antologie di poesia romena, il suo unico volume pubblicato nella nostra lingua, Inverno, uscì nel lontano 1960, peraltro in una traduzione oggi irrimediabilmente invecchiata. Ecco perché la splendida antologia curata per Adelphi da Ottavio Fatica, C’è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007 (traduzione di Anita Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica, pp. 301, € 25,00), rappresenta un’autentica rivelazione da annoverarsi senz’altro tra gli eventi editoriali più rilevanti di quest’anno.

Edna d’Irlanda. Intervista a Edna O’Brien

Questa intervista è apparsa in versione ridotta sul Venerdì di Repubblica. L’8 dicembre Edna O’Brien sarà a Roma a Più libri più liberi per un incontro alle 18 in Sala Smeraldo. (Foto: Rex Features; Associated Press)

C’è una pagina del suo memoir (Country Girl, pubblicato pochi mesi fa in America da Faber and Faber e in uscita a il 27 novembre in Italia per Elliot Edizioni) in cui Edna O’Brien scrive: “Ma ogni libro che sia valido deve essere per certi versi autobiografico, perché non si possono né si devono fabbricare le emozioni”. Autrice amatissima sin dall’uscita nel 1960 del suo primo romanzo,Ragazze di campagna (appena ripubblicato in Italia da Elliot Edizioni), definita da Philip Roth “la più dotata tra le scrittrici contemporanee di lingua inglese”, O’Brien ha raccontato emozioni e cose della vita (spesso della propria, in modo direttamente autobiografico o romanzando, senza mai smettere di restare fedele alla propria e altrui realtà), grandi amori e solitudini, interni piccolo borghesi e paesaggi sconfinati, prevalentemente d’Irlanda.

Nata e cresciuta a Drewsboro, in Irlanda, a ventitré anni sposò lo scrittore Ernest Gébler contro la volontà della propria famiglia. Insieme al marito andò a vivere all’Isola di Man, nel Mar d’Irlanda, ospiti dello scrittore J.P. Donleavys, e poi a Londra, che mai più abbandonò. Diventò madre di due bambini (maschi entrambi), cominciò a scrivere. Quel primo romanzo, rivoluzionario per l’Irlanda puritana del Novecento, fece di lei la scrittrice che è oggi e al tempo stesso segnò la fine del matrimonio con un uomo che proprio non ce la faceva ad accettare l’idea di una moglie che avesse più successo di lui. Come non bastasse, il libro venne odiato dalla madre e bruciato e bandito nella sua amata Irlanda. Un’altra donna al posto di O’Brien si sarebbe arresa per molto meno, lei perseverò. Da allora a ora Edna O’Brien non ha mai smesso di scrivere.

Da Dickinson a Dylan, e viceversa

Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica.

Sei nuove date italiane per il Never Ending Tour di Bob Dylan che dal 2 all’8 novembre sarà a Milano, Roma e Padova. Prima di allora Svezia, Norvegia, Danimarca, Germania, Svizzera e Olanda. E prima ancora l’America. La primavera scorsa ad Amherst, Massachusetts, per esempio, dove sono stati azzerati i sei gradi di separazione tra lui ed Emily Dickinson. Amherst dov’è nata, cresciuta e morta Dickinson e che per una notte ha ospitato una delle infinite tappe del tour di Dylan. Arrivo lì alle due del pomeriggio, ripartirò la mattina dopo, il tempo di visitare casa Dickinson e di vedere Dylan sul palco della Mullin Center Arena dentro il campus della University of Massachusetts.

Lo scaffale ideale

Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica. (Immagine: lo “scaffale ideale” di Jennifer Egan.)

Cosa pensate di trovare nello scaffale dei libri più amati da Patti Smith? E in quello di James Franco? Di Jennifer Egan? Miranda July? Jonathan Lethem? David Sedaris? Sfogliate My Ideal Bookshelf (Little, Brown and Company, $ 24,99) e ogni risposta vi verrà data. Raccolti online nel sito idealbookshelf.com e poi pubblicati in un meraviglioso volume cartonato di 226 pagine, ecco gli “scaffali ideali” di più di un centinaio di varie celebrità. Sono prevalentemente scrittori (in buona compagnia dei sopra citati ci sono Rick Moody, Michael Chabon, Vendela Vida, Junot Díaz, Stephenie Meyer, George Saunders, Daniel Alarcón e Chuck Klosterman), ma anche musicisti (Kim Gordon, Thurston Moore, Rosanne Cash e Stephen Merritt), registi (Judd Apatow, Mira Nair), illustratori (Maira Kalman, Christoph Niemann), giornalisti (il critico musicale Alex Ross e il direttore della Paris Review Lorin Stein), skater (Tony Hawk), ballerini (Adrian Danchig-Waring e Pontus Lidberg), cuochi (Hugh Acheson, Dan Barber, Gabrielle Hamilton) e curatori di musei (Paola Antonelli di design per il MoMA). Queste alcune delle celebrità contenute nel volume, ognuna disegnata in forma di scaffale con sopra i rispettivi libri preferiti.

C’è chi dice sì e seduce il mondo

Pubblichiamo una recensione di Giorgio Vasta, uscita su Repubblica, su Mabel dice sì di Luca Ricci (Einaudi). (Immagine: Henri Cartier-Bresson.)

«Non lo sai che la parola NO è la parola più selvaggia che affidiamo al Linguaggio?», scriveva in una lettera Emily Dickinson nel 1878. Per Molly Bloom, invece, il senso delle cose si raduna e si esprime nel molteplice e crescente che chiude l’Ulisse di James Joyce. Hermann Melville fonda (e sprofonda) il suo Bartleby sul mitissimo implacabile «Preferirei di no» mentre, ancora, è l’affermazione che scandisce le scelte della voce narrante di Gli esordi di Antonio Moresco (e a ogni sì segue uno scarto, una deviazione, un vuoto).

Flannery O’Connor e noi

Invito a leggere e diffondere l’ultimo numero de «Lo Straniero», dove tra le altre cose si può trovare un’intervista molto interessante a Matteo Garrone sul suo ultimo film, un’accorata testimonianza dalla Grecia che buca la fredda parete di dati e statistiche, una lettera da Kabul, un pezzo su certe svolte culturali nel cattolicesimo secondo Mario Perniola, una sezione su scienza e potere partendo da Huxley e Tolstoj, e molto altro.

A chi scrive era stato chiesto (partendo da «Sola a presidiare la fortezza», la raccolta di lettere di Flannery O’Connor) di scrivere un pezzo che parlasse dell’oggi scrutando, sul lato opposto, il profilo di una scrittrice che col tempo continua a crescere prodigiosamente.

Giunti a un certo punto del disastro, si torna a Flannery O’Connor. Si torna a Emily Dickinson, alle sorelle Brontë, a Faulkner, a Hawthorne, a Melville, a Conrad, persino a Hölderlin o ad Artaud. “Il libro è scritto da una che crede che ci fu una caduta, ci sia stata una Redenzione e ci sarà un giudizio”, scrive la O’Connor a proposito del suo primo romanzo in una lettera risalente al 5 marzo del 1954.

Giudice, che il dubbio sia sempre con te

La recensione di Giorgio Vasta al romanzo «Per legge superiore» di Giorgio Fontana (Sellerio), uscita la scorsa domenica sul «Sole 24 Ore».

All’interno di Per legge superiore (Sellerio 2011) – il nuovo romanzo di Giorgio Fontana che seguendo di alcuni mesi la riflessione sul presente italiano contenuta in La velocità del buio (Zona 2011) conferma l’attitudine coraggiosamente analitica dello scrittore milanese, riscontrabile anche dalla lettura del suo blog – si attivano due percorsi che entrano in dialogo con due differenti film.