Manganelli Sconclusionato #5. Intervista a Ermanno Cavazzoni
Manganelli Sconclusionato è una rassegna di interviste a cura di Emiliano Ceresi (qui tutte le puntate precedenti), dottorando in “Italianistica” dell’Università di Palermo, che si propone, nell’anno del Centenario dalla nascita dello scrittore, di ripercorrere attraverso la voce di scrittori, autori e critici, l’opera e il lascito intellettuale di Giorgio Manganelli. Ospite della quinta conversazione del Manganelli […]
Il principe Myškin e altri idioti. Appunti per un’ipotesi anagrafica
Pubblichiamo un testo di Remo Rapino, in libreria con Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, uscito per minimum fax.
di Remo Rapino
Sono Gimpel l’idiota. Non che io mi senta un idiota. Anzi.
Ma è così che mi chiama la gente.
Isaac Bashevis Singer, Gimpel l’idiota
Bonfiglio Liborio[1] è l’ultimo ad entrare nel cortile. Il cortile ha una forma circolare, ma non sempre il cerchio è rotondo. Liborio si mette in un angolo, ai margini di quell’insolito universo. Ermanno Cavazzoni lo definirebbe dotato di una idiozia esemplare[2]. Liborio guarda ma non sa – lo saprà mai? – che i suoi occhi stanno osservando il principe Myškin e altri idioti, con le loro vite più o meno brevi, miracoli compresi, matasse di parole non dette, pensieri d’aria.
Dal greco idiòtes (uomo privato, inesperto, incompetente, contrapposto all’uomo pubblico, in grado di rivestire cariche politiche, colto, capace, esperto) al latino idiota: così la parola idiota, nel XIV secolo, entra nella nostra lingua. Nell’età medievale il folle, l’idiota, pur incarnando devianze e trasgressioni, era in qualche modo ammesso all’interno della comunità.
La testa di Bentham e altre reliquie
Si chiamano reliquie profane. A distinguerle da quelle sacre è la loro origine: non il corpo di un santo bensì quello, a modo suo ugualmente glorioso, di un artista, di uno scienziato, di un imperatore.
Le vicende di questi «cocci organici di corpi» sono narrate da Antonio Castronuovo in Ossa, cervelli, mummie e capelli, il nuovo titolo della collana Compagnia Extra di Quodlibet – curata da Jean Talon ed Ermanno Cavazzoni –, un progetto editoriale che da qualche anno, coniugando tassonomie e narrazioni, dà forma a una Wunderkammer letteraria (nei volumetti fin qui pubblicati si catalogano tra gli altri anacoreti, semicolti, mattoidi, eresie e persino micronazioni).
Fenomenologia dell’eremita
Questo pezzo è uscito in forma ridotta sul Venerdì.
Se ne stanno lontani, non semplicemente appartati ma avulsi dal cosiddetto consesso civile; chi, molto di rado, ha avuto a che fare con loro li descrive come figure aspre, eppure a volte di colpo tenere: bizzarre, senz’altro, ma più esattamente – avendo costoro elevato la solitudine a metodo – inquietanti.
Traendo spunto dalle historiae dei compilatori vissuti nei primi secoli d.C., in Gli eremiti del deserto (Quodlibet) Ermanno Cavazzoni ricostruisce le vicende eroicomiche di un manipolo di campioni dell’emarginazione volontaria vissuti tra Egitto, Siria e Palestina.
Luigi Malerba, scrittore anfibio
Il mio primo personaggio malerbiano l’ho incontrato a undici anni: l’Ambanelli della Scoperta dell’alfabeto. Ero tutta contenta, la prof mi aveva assegnato il racconto di uno scrittore che a casa stava sullo scaffale dei grandi. In salotto, indicai impettita Il pataffio a me proibito: «Io questo signore ce l’ho come compito di scuola». La scena è involontariamente emblematica, non sapevo ancora che tutta la produzione malerbiana è attraversata da scarti improvvisi, non sapevo che ogni lettore ha il suo Malerba: lo sperimentatore del Serpente, lo sbeffeggiatore delle Galline pensierose, il linguista paradossale dei Neologissimi.
Piccoli editori capestro
Pubblichiamo un articolo di Carolina Cutolo uscito su Orwell. (Immagine: Installazione di Janet Cardiff e George Bures Miller.)
«Del resto, per quanto amaro possa essere questo per me, il danno maggiore è per i miei contemporanei che non sanno utilizzarmi, che non si accorgono di me, o, forse, ostentano di non accorgersi di me». Questo ritratto satirico della vanagloria e dell’amarezza di un pensatore, un artista, uno scrittore che non riesce a pubblicare, risale al 1942, anno di pubblicazione del Diario di Gino Cornabò di Achille Campanile. Oggi, a sessant’anni di distanza, la condizione dell’aspirante scrittore in Italia è andata ben oltre la caricatura.
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