Intervista a Federico Buffa

Questa intervista è uscita su IL a febbraio.

Federico Buffa commenta partite di basket americano da quasi vent’anni e insieme al suo socio Flavio Tranquillo ha creato uno dei linguaggi più sperimentali della storia dell’informazione italiana. Trasformando l’American english in italiano corrente, Tranquillo e Buffa hanno insegnato agli appassionati italiani una lingua esoterica e la storia di un continente. Hanno detto “Dodici Rodman ad allacciata di scarpe” al posto di “Dodici rimbalzi a partita”. Per Sky, Buffa da qualche anno si occupa anche di calcio. Parliamo di lingua, mentori, entrature, politica in un bar di Milano, nel tardo pomeriggio.

Come cominciano i tuoi rapporti con l’America?

C’è mio padre che vorrebbe farmi fare un anno negli Stati Uniti al liceo – che all’epoca era una cosa abbastanza traumatica – perché conosce una persona il cui figlio lo fa. Io vado in una sorta di ritiro preliminare sul lago di Como di sabato mattina e vengo tagliato al primo turno: “Inadatto al mondo americano”, al che mi sono abbastanza rassegnato. Mi immaginavo giocatore di calcio della squadra e immaginavo che sarei stato piuttosto forte rispetto ai miei coetanei degli anni ’70 americani. Mi avranno ritenuto chiuso e ombroso e quindi inadatto ad andare negli Stati Uniti per un anno. Non mi sono mai perdonato di non esserci andato.

The Americans

Questo pezzo è uscito su IL ad agosto 2013.  

“La più grande allegoria contemporanea della vita coniugale”: una frase magniloquente che mi è appena uscita e che devo mettere all’inizio del pezzo prima di cominciare a descrivere di cosa parla The Americans sulla carta.

Prima di dire di cosa parla, devo aggiungere che in un pezzo dello scorso numero di IL, la coppia Bonazzi-Greco, parlando del rapporto a tre fra loro due e le serie tv faceva capire che il vero tema delle serie tv è la vita di coppia, e la sua ombra, l’adulterio. Guardare insieme Don Draper che tradisce la moglie e imbarazzarsi all’idea che quella scena dica qualcosa su chi la sta guardando insieme, in coppia. Il che non è assurdo, perché le serie tv le guardano soprattutto i trenta-quarantenni quando finalmente rinunciano a uscire tutte le sere e si accasano. Mad Men parla di adulterio; Breaking Bad mostra come, volendo, tutta l’impresa di diventare un re della droga possa essere letta alla luce dei silenzi a tavola della moglie e ancora di più alla luce dell’inquietante interrogativo: ora che ho rivelato chi sono veramente, mia moglie è più inorridita o attratta?

Intervista a Daria Bignardi

Questa intervista è uscita su IL a dicembre 2013.

Pranziamo leggero ordinando le stesse cose in un caffè letterario fra milanesi bene, fuori piove sul parco Don Giussani. Prima di parlare dell’inizio della sua carriera ha raccontato dei mesi a Londra dopo la laurea al DAMS, a fare la commessa in un negozio, a imparare l’inglese, a copiare gli abiti anni Quaranta di Kim, la sua collega in negozio, già vintage a metà anni Ottanta, con i fidanzati “di colore, anche loro vestiti tutti elegantissimi… Kim si metteva il rossetto e le scarpe basse con la punta”, e ascoltava i Black Uhuru…

Daria Bignardi:  A ventitrè anni ero tornata a Ferrara da Londra perché mio padre stava morendo. Sai, ero in quell’età in cui non sai bene cosa farai, hai delle priorità proprio fisiche, una delle mie era la ribellione alla famiglia… L’hai letto Non vi lascerò orfani: io avevo dei bravissimi e carissimi genitori che erano degli anziani missini, molto anziani e molto missini, onestissimi, persone meravigliose appunto per onesta, affetto… ma molto anziani: mio padre mi ha avuta che aveva quasi cinquant’anni, e poi erano gli anni ’80 e io non potevo certo immaginare di rimanere a lungo in famiglia perché loro erano molto tradizionali come valori, come regole…

Intervista a Massimiliano Gioni

Questa intervista è uscita su IL a ottobre 2013.

Ha trentanove anni, dal 2006 vive a New York dov’è curatore per il New Museum di New York ma torna spesso a Milano dove lavora come direttore artistico per la Fondazione Trussardi, che è a un passo dalla Scala. È appena atterrato, viene da New York, porta una camicia azzurrina perfettamente stirata. Ci sediamo a un ristorante a bere caffè e quando accendo il registratore gli domando come vola.

Massimiliano Gioni: Con l’aereo, ah ah… La classe di viaggio vuoi sapere? O economy o business, dipende. Ad esempio, questo è un viaggio breve, domani vado a Beirut quindi sono arrivato in business. Se devo lavorare moltissimo il giorno in cui arrivo viaggio in business, altrimenti in economy. Io ho due lavori principali che sono Trussardi e New Museum e poi ci sono altre cose che faccio, dipende a cosa sto lavorando, alcuni li pago io alcuni sono conti spese… Per me, e questo lo dico non perché mi stai registrando, se devo scegliere se mettere i soldi in una mostra o mettere i soldi sul mio conto spese tristemente li metto nella mostra…

I pranzi della domenica – la vera storia di un networking culturale. Intervista a Antonio Monda

Questa intervista è uscita su IL a giugno 2013.

Insegna cinema a New York, scrive su Repubblica, produce documentari, organizza festival letterari e di cinema sia in Italia che a Manhattan, ha pubblicato saggi e romanzi. È famoso in Italia per dei famosi pranzi della domenica a casa sua, frequentatati da giganti americani come Philip Roth, Martin Scorsese, Meryl Streep, e gli italiani di passaggio. È tramite Monda che, per esempio, Sorrentino conosce David Byrne e lo fa recitare nel suo film americano – in cui Monda fa un cameo seduto su una panchina di Central Park. Compare anche all’inizio di Le avventure acquatiche di Steve Zissou di Wes Anderson, dove ospita Bill Murray-Zissou a un festival. È il campione italiano del networking culturale: un tipo di eccellenza poco apprezzata dalla classe intellettuale italiana. Lo intervisto nel suo studio a New York University, su Broadway tra Village e East Village. Il corridoio è pieno di poster di film, sembra più una casa di produzione che un dipartimento universitario. La stanza è piccola, c’è una targa con una frase di Churchill: “Never Never Never Quit”. Cinquantenne ragazzino, un’educazione nelle scuole cattoliche maschili e in una storica famiglia democristiana, Monda ha ancora l’aria da studente: porta pantaloni a coste lisi, il lembo destro del colletto della camicia gli cade sempre sotto il collo del maglioncino a rombi. Con candore mi racconta le regole del networking e la storia un po’ Sergio Leone un po’ Visconti con cui ha realizzato il sogno americano.

Intervista a Bernardo Valli

Questa intervista è uscita su IL a maggio 2013. (La foto è di Marco Visini.)

Vive a Parigi dal 1975 e mi colpisce che un uomo che ha raccontato i più grandi eventi storici e conflitti mondiali degli ultimi cinquant’anni si dichiari legato alla città da motivi puramente letterari: “Io sono un lettore, un lettore non studioso, un lettore-lettore. In questo quartiere”, il nono arrondissement, siamo a casa sua, in salotto, in un mattino di fine marzo freddo e coperto, “c’è tutta la letteratura francese dell’Ottocento. C’è l’Education Sentimentale, a Rue des Martyrs e via del quattro settembre… Flaubert abitava a Rue Herold, quando veniva da Rouen. Dov’è il museo della vie romantique viveva un pittore, che era il pittore dell’imperatrice Sissi, da lui veniva Lamartine, veniva Turgenev, veniva George Sand, era un luogo d’incontro. Se guarda nei romanzi di Balzac c’è ogni strada del quartiere, sono tutti luoghi della commedia umana. I racconti di Bel Ami alla Trinité, è lì che lui seduce la padrona, e lui abitava qua… Zola abitava qui. Voglio dire, qui c’è stato tutto quello che io ho letto da ragazzo… Cos’era la casa di un borghese della pianura padana nella mia giovinezza? C’erano tutti i romanzi francesi. Secondo me questa è la spiegazione per la quale io vivo bene a Parigi. Ha poco a che fare con la Francia di oggi”.

Intervista a Michael Chabon

È in edicola il nuovo numero di IL, il magazine del Sole 24 Ore. Pubblichiamo un’intervista di Francesco Pacifico a Michael Chabon uscita su IL a settembre 2013. (Immagine: Getty Images)

Intervista ai tavolini di legno e vetro di un albergo di Capri, a venti metri dalla piscina, intorno il via vai pomeridiano assonnato degli altri ospiti del festival Le Conversazioni. Chabon interverrà in serata insieme alla moglie Ayelet Waldman.

Mi sembri un maniaco della scrittura, qual è il tuo metodo di lavoro?

Varia da libro a libro. A volte, raramente, un’idea mi arriva praticamente tutta formata, la vedo tutta insieme, e sento già come i diversi elementi faranno parte della storia e devo appuntarmeli rapidamente per non scordarli. E mi dico: e questo, e quest’altro, e poi succederà anche questo. Mi è successo solo due volte. Con Wonder Boys, il mio terzo libro. E con il libro che sto scrivendo adesso… Ma è troppo presto per parlarne in dettaglio… Altre volte mi viene un aspetto, un elemento, all’inizio, di cui sono sicuro di voler parlare.

Intervista a Francesco De Gregori

Questa intervista a Francesco De Gregori è uscita su IL a marzo 2013. Ringraziamo l’intervistatore, la testata e l’intervistato.

Per telefono, prendendo appuntamento per pranzo, mi ha chiesto che genere di intervista volessi fare. Gli ho detto che volevo solo fargli domande sul suo lavoro e non gli avrei chiesto le sue opinioni sul mondo. Ha risposto: “Ah bene, ecco, così mi avevano anticipato”, preferisce anche lui così.

Pranzo in un ristorante nel quartiere Prati, a Roma, diluvia, macchina in seconda fila, sala fumatori, pesce al forno. Francesco De Gregori è una specie di ragazzo molto romano dall’aria leggera, maglia a maniche lunghe, sigarette francesi, barbetta. Prima di cominciare parla molto del mestiere di scrittore e di cos’è la poesia e delle tecniche di scrittura del poeta Valerio Magrelli, suo amico. Fa molte domande; sono state espunte.

Componi alla chitarra?

Mmm no compongo anche molto al pianoforte però quando sto in giro mi lamento che in camerino non ce l’ho quasi mai quindi compongo con la chitarra, però a casa con il pianoforte…

Intervista a Laura Morante

Questa intervista è uscita su IL ad aprile 2013.

La chiamo al numero di casa: riconosco il quartiere dalle prime tre cifre del numero, abita vicino a casa dei miei, a Roma. Io sono fuori Roma e non posso incontrarla. Il telefono ha dei problemi perciò per lunghi tratti non riesco a interromperla e Laura Morante continua volentieri a parlare del suo lavoro.

Faceva la ballerina, ha esordito al cinema con i due Bertolucci, in teatro con Carmelo Bene (cose off a parte). Ha recitato Anche per Gianni Amelio, Pupi Avati, Gabriele Salvatores, Cristina Comencini, Michele Placido, Gabriele Muccino, Paolo Virzì, Alain Resnais, Nanni Moretti. Per Moretti è stata Bianca e poi la madre del figlio morto ne La stanza del figlio. Elsa Morante era sua zia. Nel 2012 ha esordito alla regia con Ciliegine.

La differenza tra consumo culturale e la letteratura. A proposito dell’osannato “Americani” di John Jeremiah Sullivan

Questo pezzo è uscito su Europa.

Quando ti rendi conto di essere l’unico a non amare un certo film o un certo libro, per un verso il giudizio che ne scaturisce non è su quel certo libro e quel certo film, ma su di te – cosa ho di sbagliato? -, e per cercare di non nutrire quel senso di colpa che da quando hai l’età della ragione ti hanno malevolmente insegnato a prendere per sana autocritica, l’unica chance che hai di non passare nella schiera di chi odi di più – gli snob, gli snob intellettualmente disonesti – devi almeno provare a avvalorare la tua analisi con una copiosa quantità di evidenze a supporto. Le righe che seguono sono questo tentativo.