La critica musicale oggi: intervista a Rossano Lo Mele

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Non se ne può più di sentir dire che scrivere di musica equivale a ballare di architettura. La celebre massima, che il popolo attribuisce a Frank Zappa mentre i più informati fanno risalire all’attore-musicista Martin Mull, è spesso la formula magica per chiudere un discorso teso a screditare chi, nonostante la crisi irreversibile della carta stampata e gli altri innumerevoli ostacoli, si ostina a praticare un’arte forse minore, magari anacronistica, ma pur sempre un’arte, la critica musicale. Non è il solo luogo comune: un altro molto abusato è quello per cui i critici musicali sono tutti musicisti falliti (anche se c’è chi, come Colapesce, un po’ ironicamente e un po’ no dice di essere un critico musicale fallito e di essere, per questo, diventato musicista).

Sono invece pochi – ed è un discorso soprattutto italiano – quelli che rispettano il ruolo che i critici musicali hanno (avuto) nell’educazione degli appassionati di pop e rock, forse immemori di quando loro stessi coccolavano la propria collezione di dischi con una tenerezza riservata a poche altre cose o quando attendevano con trepidazione che all’edicola in fondo alla strada arrivasse il nuovo numero della propria rivista di riferimento.

Di cosa parliamo quando parliamo di groupie

Pubblichiamo un pezzo uscito su Linus, che ringraziamo.

Nel 2000 il regista, attore e scrittore americano Cameron Crowe ridiede lustro alla figura della groupie con il film semi-autobiografico Almost Famous. Protagonista della storia è un giornalista adolescente che viene mandato dalla rivista Rolling Stone in tour con la sua rock band preferita per scrivere un reportage. Coprotagoniste sono un manipolo di incantevoli ragazze, capitanate da una certa Penny Lane, che in qualità di groupie accompagnano la band in tour e in modo anticonvenzionale ma efficace si prendono anche cura dell’educazione sentimentale del ragazzino.

“Billie Holiday”, di José Muñoz e Carlos Sampayo

di Nicola Lagioia Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di dialogare in pubblico con José Muñoz, in occasione della pubblicazione, da parte della casa editrice Sur, di “Billie Holiday”, realizzata da Muñoz insieme a Carlos Sampayo. A un certo punto della chiacchierata Muñoz ha detto: “depressione, chiaroveggenza e lucidità sono tre sorelle che si prendono per mano”. Quello che segue è il testo […]

Un tè a casa di Paul McCartney: David Leavitt e la musica

David Leavitt, il celebre autore di Ballo di famiglia, è uno dei venticinque scrittori intervistati da Pierluigi Lucadei nel suo libro Ascolti d’autore, pubblicato nelle scorse settimane da Galaad con una postfazione di Nicola Lagioia.

È vero che da bambino volevi diventare un cantante?

Sì, verissimo, ma purtroppo ero stonato.

Hai studiato qualche strumento?

Da bambino ho preso lezioni di chitarra da Linda Waterfall, una cantante folk ancora in attività, ma suonavo in modo terribile. Oggi, nonostante non suoni nessuno strumento, spesso sogno di saper suonare il pianoforte o il clarinetto. Soprattutto mi piacerebbe saper cantare. Se potessi cantare, sarei felice di smetterla con la scrittura.

Il Grand Tour italiano di Frank Zappa

Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica.

Racconta Frank Zappa nella sua autobiografia che poco più che dodicenne scoprì la musica di Edgar Varèse, e che appropriatosi del giradischi della madre costringeva chiunque venisse a casa loro ad ascoltare Varèse come prova definitiva di intelligenza. Già allora aveva capito che il mondo si divideva in due, e che non devono piacerci per forza tutti né dobbiamo piacere per forza agli altri. Più avanti negli anni sarebbe stato così per lui e la sua musica, definendo in modo chiaro gli schieramenti: quelli che ascoltano una canzone di Zappa, la amano e poi ascoltano tutto il resto, quelli che proprio Zappa non ce la fanno.

I nuovi freak

Questo pezzo è uscito su XL – la Repubblica. (Le foto sono di Ilaria Magliocchetti Lombi)

A Coney Island ci arriviamo per caso e per curiosità. Una mattina di giugno io e Ilaria ci ritroviamo al 1208 di Surf Avenue davanti all’edificio basso e colorato del Coney Island Circus Sideshow con i suoi grandi pannelli che raccontano per immagini vari prodigi. Dentro il bar del locale gli stessi prodigi in carne e ossa: la donna barbuta, il fachiro, la mangiatrice di fuoco, il contorsionista. Affascinate decidiamo di entrare e guardare lo spettacolo. Di lì in avanti e per un paio di mesi resteremo intrappolate nelle storie di questi nuovi freak del ventunesimo secolo che per mestiere, natura e vocazione intrattengono il pubblico con le loro arti e deformità.

Con la parola freak si indicavano un tempo i fenomeni da baraccone, ovvero quelle persone deformi fisicamente che si esibivano nei circhi. Di quei freak si ha storia e memoria grazie al bellissimo romanzo di Victor Hugo L’uomo che ride, all’ottimo saggio di Leslie Fiedler Freaks. Miti e immagini dell’io segreto e soprattutto al film capolavoro di Tod Browning del 1932 Freaks. Nel film Hans, il nano di un circo, si innamora di una donna normale e avvenente che lo raggira sposandolo per poi cercare di ucciderlo. La donna si tirerà dietro le ire della ex di Hans, nana anche lei, e degli altri freak del circo che infine la mutileranno trasformandola in una di loro. “L’autentico freak è uno di noi”, scriverà mezzo secolo dopo Fiedler nel suo saggio, spiegando poi che la distanza dalla normalità è meno di quanto si creda.

Zappa Day!

Oggi è il ventesimo anniversario della morte di Frank Zappa. Questo è l’inizio della sua autobiografia.

di Frank Zappa

L’esistenza di questo libro è fondata sulla premessa che a qualcuno, da qualche parte, interessi sapere chi sono, come sono diventato così e di che cazzo parlo. Per rispondere alla Domanda Teorica Numero Uno, inizierò a spiegare CHI NON SONO. Ecco dunque un paio di famose Leggende su Frank Zappa…
Siccome su HOT RATS, 1969, registrai una canzone intitolata Son Of Mr.Green Genes (Figlio del signor Geni Verdi), per anni si è creduto che il personaggio della trasmissione televisiva Captain Kangaroo (interpretato da lumpy Brannum) fosse il mio vero padre. Prima risposta: non era lui.