“Tre orfani”, i fantasmi letterari di Giorgio Vasta

C’è una casa, la casa è a Palermo. Un uomo entra nella cucina di questa casa una mattina molto presto, è il giorno del suo cinquantesimo compleanno, è il 12 marzo del 2020. La casa è quella in cui vive da due mesi e mezzo, come dichiara egli stesso in qualità di narratore della storia. […]

Leoluca Orlando e Palermo, se l’incanto diventa destino

Pubblichiamo un pezzo uscito su Repubblica – Palermo, che ringraziamo.

Incantare è un’arte. Incantare è una strategia. Incantare è anche una trappola. Se l’«incanto» – evocare il magico tramite ponderate cantilene – è tra i pilastri del discorso istituzionale, ogni amministratore ha una sua peculiare tecnica fascinatoria. Leggendo il discorso pubblico del sindaco di Palermo da questa prospettiva, la sensazione è che per Leoluca Orlando l’incanto sia non solo una tecnica ma un destino.

Prima condizione dell’incanto orlandiano è partire da un’evidenza incontestabile: «Oggi Palermo è migliore di com’era negli scorsi decenni».

A proposito dell’asino

L’asino resiste. Carico di balle di fieno lungo un sentiero della campagna etiope, legato alla macina che polverizza peperoncini in un villaggio cinese, usato per trasportare i pali di legno utili per puntellare le miniere del Far West o come cavalcatura dei soldati australiani durante la Prima guerra mondiale, l’asino resiste; introdotto come prova in tribunale quando a Londra nel 1822 Richard Martin chiese e ottenne di rendere inequivocabili le ferite che erano state inflitte all’animale dal suo padrone (da qui il Martin’s Act, la prima legge a contrastare la crudeltà contro gli animali), trasportato in aereo dalla US Army durante la Seconda guerra e gettato giù col paracadute (dopo averlo drogato perché atterrando non irrigidisse le zampe), ridotto ad animale di compagnia («Gli asini miniatura hanno la natura affettuosa di un terranova, la docilità di una mucca», disse nel 1929 Robert Green, che per primo importò asini miniatura negli Stati Uniti), l’asino resiste; e ancora, seppure descritto come immagine di stupidità, di pigrizia, di potenza sessuale e di mitezza, al contempo sacro e osceno, esposto, esibito, spettacolarizzato o umiliato, l’asino non fa altro che resistere.Unico e molteplice, appartenente a un drappello di animali struggenti – con lui almeno il puffin islandese e il kiwi australiano –, l’asino ha attraversato i millenni sopportando l’insopportabile e opponendo all’ottusità del mondo una tenacia asciutta, senza epica e senza eroismi.

Il paradosso dell’Islanda

Pubblichiamo un pezzo uscito sul Venerdì, che ringraziamo.

Partiamo da un paradosso: l’Islanda esiste, eppure non esiste. Quel territorio che compare all’improvviso, quando l’Europa è quasi terminata e sta per cominciare l’immensa distesa bianca della Groenlandia, è in grado di raggiungere livelli di concretezza così vertiginosi – l’Islanda sembra la sintesi di tutti i modi in cui la materia può essere presente sulla Terra – da farsi percepire come un luogo immaginario.

Un Altrove radicale, che può però essere raggiunto in qualche ora di volo.

Biografo degli sconosciuti. “Una vita scartata” di Alexander Masters

Pubblichiamo un pezzo uscito sul Venerdì, che ringraziamo.

Cambridge, anno 2001. Da un cassonetto scrostato colmo di rifiuti affiora un libro umido e gualcito; basta allungarsi, sporgersi all’interno del cratere metallico, e ce n’è un altro ugualmente malridotto, poi un altro ancora e ancora uno, e ancora e ancora.

Completato il rinvenimento, ci si ritrova davanti agli occhi un enorme mucchio di carta solcata da una grafia minuta e nervosa, un mostro di scrittura che corrisponde a centoquarantotto quaderni (quindicimila pagine in tutto) all’interno dei quali qualcuno, in un arco di tempo compreso tra il 1952 e il 2001, ha annotato cinque milioni di parole – a volte più intellegibili, a volte simili a una processione di insetti – e una serie di disegni con personaggi e situazioni ricorrenti.

Storie di fantasmi: “Piena”, il nuovo libro di Philippe Forest

Questo pezzo è uscito su Robinson, l’inserto culturale di Repubblica, che ringraziamo.

«Qualunque perdita fa provare la strana sensazione di aver perso tutto insieme all’essere o all’oggetto che sono scomparsi. Sicuramente perché c’è qualcuno o qualcosa che ci manca da sempre e ogni nuova defezione ce ne ricorda l’assenza». È un ragionamento del protagonista e voce narrante di Piena, il nuovo romanzo di Philippe Forest (Fandango, traduzione di Gabriella Bosco), vincitore nel 2016 del Premio Langue Française e del Premio Franz Hessel, un pensiero che può essere considerato come il nucleo del lavoro di Forest negli ultimi vent’anni, fin da Tutti i bambini tranne uno, il suo esordio del ’97 in cui raccontava la morte di cancro di Pauline, la sua bambina.

I sogni di un digiunatore. Le visioni instabili di Paolo Albani

Pubblichiamo un pezzo uscito su Robinson, l’inserto culturale di Repubblica, che ringraziamo.

Un ragazzo e una ragazza sorpresi a fare l’amore dentro una casella postale – e la scoperta che «la piaga delle coppie abusive che trovano rifugio nelle caselle postali»si diffonde per tutto il Paese; oppure le vicissitudini dell’uomo che, abbandonato dalla compagna, commissiona a un pittore decine di trompe-l’œil della donna amata per disseminarli nella casa in cui viveva col suo amore; o ancora lo strano caso di Calogero S., grande mangiatore di olive, che ritrovandosi un giorno con un alberello nello stomaco finisce per esibirsi come Uomo-Ulivo sotto il tendone del Circo Castellani; e poi il racconto dell’esistenza quaresimale di Giovanni Succi, a fine ’800 tra i più celebri artisti del digiuno: interrogato sulla sua attività onirica, Succi dichiarò che mai una volta aveva sognato qualcosa da mangiare (perché in realtà ciò che il digiunatore desidera non è il nutrimento ma la sua stessa fame).

Il mondo che impazzisce: “La festa nera” di Violetta Bellocchio

Photo by Andrei Lazarev on Unsplash

Questo pezzo è uscito sul Venerdì, che ringraziamo.

Il dopo è adesso, il futuro è nel presente e, se pure può apparire paradossale, somiglia tantissimo al passato più arcaico, a una specie di preistoria, al grado zero delle cose: questi i presupposti da cui muove Altrove,la collana diretta da Michele Vaccari e inaugurata di recente da Chiarelettere con un primo titolo, Il grido di Luciano Funetta.

Prima o poi. Appunti sul tempo nella serialità televisiva

Pubblichiamo, ringraziando editore e autore, un pezzo contenuto in Tempo di serie. La temporalità nella narrazione seriale, a cura di Fabio Cleto e Francesca Pasquali, un libro pubblicato da Unicopli sul nesso tra tempo e serialità televisiva.

Quando ho ricevuto l’invito a contribuire a questo volume, come sarà capitato a ognuno degli autori ho provato a pensare come declinare il nesso – tempo e serialità televisiva – che il titolo propone. Ho valutato alcune suggestioni, ho preso qualche appunto, ho deciso e ho cambiato idea. Una delle questioni che mi sono sembrate più coinvolgenti riguarda una conseguenza, insieme defilata e cruciale, relativa all’avvento delle serie TV e al loro consumo planetario, vale a dire la loro capacità di incidere sulle prassi sociali e sulla vita affettiva. Nonostante abbia alla fine scelto di affrontare un altro tema, mi permetto però un minimo accenno.

Vivere e sparire a Venezia

Vivere e sparire a Venezia: un viaggio letterario in compagnia di Brodskji, Luiselli, Scarpa, Vasta, Barthes e Mario Soldati.