Su David Foster Wallace

Fino al primo novembre a Pistoia c’è la sesta edizione del festival Arca Puccini. Quest’anno il programma è incentrato su David Foster Wallace: pubblichiamo una riflessione di Giovanni Sarteschi, uno degli organizzatori del festival. (Fonte immagine)

di Giovanni Sarteschi

David Foster Wallace non avrebbe mai accettato di essere definito uno scrittore politico. Eppure nella sua opera – poco importa che parli di grammatica, logica, sport, letteratura, musica, matematica, tv, filosofia, cinema, pornografia – vibra indomita una domanda di senso che rifugge dai castelli dottrinari, come pure da ogni soggettivismo sia psicologico che metafisico, e si incarna nella storia; che è prima di tutto storia, per frammenti, dell’America e dell’Occidente a cavallo fra vecchio e nuovo secolo. E la letteratura sembra tornare, con lui, per dirla con Todorov, «pensiero e conoscenza del mondo psichico e sociale in cui viviamo».

C’è, in Wallace, una cifra poetica netta e quasi un programma letterario: bucare il recinto della solitudine nel quale l’uomo contemporaneo è andato a cacciarsi con le sue stesse mani; farlo con una varietà impressionante di modi, tecniche e forme, ma sempre alla ricerca di un rapporto umano dell’individuo con l’ambiente che lo circonda e prima di tutto con gli altri; un rapporto demistificato, capace nientemeno che di «redimere».