Ascanio Celestini e il Coisp: perché il cinema non può raccontare il caso di Giuseppe Uva?

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Alcuni giorni fa è stato diffuso il testo di una lettera che Franco Maccari, segretario generale del COISP (sindacato indipendente di Polizia), ha pubblicamente indirizzato ad Ascanio Celestini. Si tratta di una lettera dai toni accesi, dovuti al fatto che nel suo ultimo film, «Viva la sposa» che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia, Celestini affronta la vicenda di Giuseppe Uva, morto il 14 giugno 2008 dopo un fermo di polizia e successivo Tso, il trattamento sanitario obbligatorio. Ecco uno stralcio della lettera:

Lo hanno detto gli economisti!

È un peccato che del post pubblicato sul suo blog da Stefano Feltri giovedì 13 agosto non sia rimasta traccia della versione originale, pubblicata il giorno prima. Il breve articolo in cui il vice direttore del Fatto Quotidiano prendeva posizione contro le facoltà umanistiche, tacciate di scarsa utilità e di spreco di risorse pubbliche, è stato successivamente corretto – cosa evidenziata da lui stesso in calce all’attuale versione – poiché riportava degli errori. E visto che il commento aveva suscitato un dibattito piuttosto vivace – tanto che l’autore ha sentito poi l’esigenza di tornare sull’argomento il giorno dopo – sembrava giusto correggerlo. E fin qui nulla di male: la rete consente di aggiornare le versioni dei propri scritti e se ci si avvale di questa facoltà onestamente (cioè segnalandolo) non c’è alcun problema.

Remo Remotti, genio e disciplina

Ancora in ricordo di Remo Remotti, ripubblichiamo una delle sue ultime interviste, concessa a Graziano Graziani e uscita originariamente su Paese Sera. (Foto di Ilaria Scarpa)

Nell’immaginario collettivo Remo Remotti c’è entrato in molti modi. Come Siro Siri, l’istrionico vicino di casa di Nanni Moretti in «Bianca», o come l’autore di “Roma Addio”, geniale invettiva sulla Roma anni Cinquanta. Classe 1924, sulla soglia dei novant’anni Remotti si esibisce ancora in vari locali di Roma, come il Beba do Samba di San Lorenzo, e un pubblico di affezionati anche giovanissimi lo segue con affetto. L’anno scorso ha pubblicato una compilation – «Remo!» – che raccoglie i suoi recital più famosi e quattro brani inediti. Noi lo abbiamo incontrato nella sua casa di Roma, vicino piazza Bologna, piena fino all’inverosimile dei suoi quadri e dei dipinti di amici e colleghi pittori.

Yes We Dead – lo zombi politico di Elvira Frosini e Daniele Timpano

Questo testo è stato usato come accompagnamento al programma di sala dello spettacolo Zombitudine, in programma al Romaeuropa Festival 2014, fino al 28 novembre al Teatro dell’Orologio di Roma. (La foto è di Sefora Delli Rocioli)

“Gli zombi siamo noi”, dicono Elvira Frosini e Daniele Timpano. Siamo noi i morti viventi che affollano gli uffici, le strade, i centri commerciali e persino i teatri. Portiamo visibili sul nostro corpo i segni del disfacimento da cui pure ci sentiamo braccati, assediati come il classico drappello di sopravvissuti degli zombie-movie, ultima sparuta minoranza umana in un mondo di morti. E se la nostra umanità fosse svanita? Se la linea di demarcazione tra il dentro e il fuori, peraltro già sottile, si fosse completamente dissolta? Se la barbara orda famelica e la minoranza che resiste non fossero altro che ruoli che ci scambiamo di volta in volta?

Evocare l’invisibile. Il teatro di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini

Pubblichiamo l’introduzione di Graziano Graziani al volume che raccoglie la Trilogia dell’invisibile di Deflorian/Tagliarini (edito da Titivillus). Il progetto è in scena fino al 16 novembre al teatro India di Roma. 

Vittorio Giacopini, durante un intervento alla fiera della piccola e media editoria di Roma di qualche anno fa, individuava un elemento di debolezza della letteratura italiana contemporanea, quello che lui definiva “deficit di esperienza”. Se la gente passa la maggior parte del suo tempo tra casa e ufficio, se si informa attraverso un computer e sempre attraverso un computer legge, guarda film, comunica, stabilisce delle relazioni, la parte della vita in cui si fa esperienza diretta del reale si riduce drasticamente. È un effetto evidente, quasi lapalissiano, delle società del terziario avanzato, che la contemporaneità – con la sua accelerazione tecnologica e l’erosione costante del tempo libero a favore di quello lavorativo – ha portato alle estreme conseguenze. E se uno scrittore non ha esperienza diretta della realtà, di cosa può mai scrivere nei suoi libri? Ecco allora l’avanzata vittoriosa e inarrestabile della letteratura di genere, dove il racconto finzionale deve seguire o variare quello che, a tutti gli effetti, è una sorta di “canone”; oppure lo sviluppo, ben più minoritario, di una letteratura minimale e di autofiction che restringe il campo visivo a quella parte di esperienza che è ancora possibile praticare.

Claudio Morganti, Gianni Celati e la vita errabonda dell’attore Vecchiatto

Radio 3 dedica il mese di novembre al teatro: vi segnaliamo il programma completo e pubblichiamo una recensione di Graziano Graziani allo spettacolo La recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto di Claudio Morganti e Elena Bucci. (L’immagine è di Ilaria Costanzo. Fonte.)

«La recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto» messo in scena da Claudio Morganti e Elena Bucci è un piccolo capolavoro. “Piccolo” per la sua dimensione scenica – io ho avuto la fortuna di vederlo nella cripta del Magnolfi, a Prato, per il festival Contemporanea, con poche altre decine di persone sedute ai tavolini che sorseggiavano un vino offerto dalla compagnia – ma nella sostanza si tratta di uno dei più bei lavori degli ultimi anni, nonostante stiamo parlando di una lettura scenica. Come succede a diversi gioielli della scena contemporanea degli ultimi anni, complice un sistema teatrale ingessato e perennemente “a due velocità”, il lavoro di Bucci e Morganti non è stato visto da un grande numero di persone – cosa a cui ha posto parzialmente rimedio Radio 3, che ha scelto inaugurato il suo “mese del teatro”, che si svolge tradizionalmente a novembre, proprio con questo lavoro prezioso.

Che cosa vogliamo da un assessore alla cultura a Roma

Sarà solo questione di percezione da cronache locali ma in questi giorni mi pare che Ignazio Marino si sia risvegliato dopo un prolungato letargo di vari mesi in cui è riuscito nell’impresa non facile di inimicarsi qualunque suo sostenitore della prima, della seconda, e dell’ultim’ora. Non so quanti articoli ho letto contro di lui sui quotidiani nazionali e romani, non so se lui stesso si sia reso conto del risentimento diffuso per la sua inerzia (“Manco sotto Carraro ho visto ‘na roba del genere”), non so se ha idea di quanti morti si becca ogni sera verso le sei dai pendolari sulla Ostiense-Viterbo o sulla Fara Sabina-Fiumicino “lui e quella sua cazzo di bicicletta”, non so quante persone anche a lui vicine mi hanno detto: ‘Non lo sopporta nessuno, fa tutto da solo, si crede stocazzo’, non so se lui sappia che tutti nel suo partito lo chiamano con sprezzo l’Allegro Chirurgo, non so quanto siano martellanti per le sue orecchie le voci che vorrebbero elezioni anticipate e una candidatura di Marianna Madia al suo posto addirittura il prossimo inverno… Di fatto, leggendo distrattamente i giornali, l’ho rivisto comparire in giro questi giorni, più tonico del solito, più assertivo – forse qualche ufficio stampa ha cercato di rivedere un po’ la strategia comunicativa che l’ha portato a essere in un anno di Campidoglio più odiato di Alemanno, e vi giuro non era facile.

L’Estate del nostro scontento. Riflessioni attorno alla polemica sull’Estate Romana

L’Estate romana è cominciata nel segno della polemica. Quella che si è scatenata attorno ai risultati del bando pubblico indetto dal Comune di Roma per l’omonima e tradizionale manifestazione capitolina. Che disegnano, nel bene e nel male, una geografia rivoluzionata della storica kermesse. Sono scomparse alcune manifestazioni storiche come All’Ombra del Colosseo e la rassegna di teatro Garofano Verde, sui temi dell’omosessualità. Sono invece risultate  tra i primi posti in graduatoria alcune iniziative legare alla sperimentazione artistica come Short Theatre, Attraversamenti Multipli, Teatri di Vetro. Ne è nato un putiferio, con accuse a dir poco esplicite: sono passati gli “amici degli amici”, sono state fatte fuori le esperienze storiche per far passare illustri sconosciuti, manifestazioni alle prime edizioni e senza presenza sul territorio… Questo il tenore di articoli a dir poco imprecisi (come quello apparso l’11 giugno su Repubblica, sul quale è intervenuta con sguardo attento Teatro e Critica) o di più garbate prese di posizione pubbliche degli esclusi (come ad esempio la comunicazione di Fed.It.Art).

Galleggiare nella tempesta. “L’uomo nel diluvio” di Valerio Malorni e Simone Amendola

Valerio Malorni e Simone Amendola ieri hanno vinto il premio Inbox dedicato al teatro emergente. Pubblichiamo un articolo di Graziano Graziani sullo spettacolo L’uomo nel diluvio apparso sui Quaderni del Teatro di Roma ad aprile 2014.

L’uomo nel diluvio è Valerio Malorni, padre di una bambina piccola e geniale attore romano, che vive per vocazione – ma anche per destino generazionale – la condizione di precario. Un precariato estremo, quasi un’arte di arrangiarsi due-punto-zero, una situazione di liquidità e incertezza che si propaga senza alcun ostacolo o barriera dal lavoro alla vita privata. Se poi scendiamo dal gruppo generazionale (i venti-trenta-quarantenni) a quello più ristretto degli artisti, dei lavoratori della conoscenza, di chi è impiegato nel settore della cultura, quella precarietà diventa quasi endemica. Come a dire: l’uomo nel diluvio siamo noi, tutti noi.

Non siate così stupidi e irresponsabili da lasciare implodere il mondo del teatro a Roma

Negli ultimi mesi nella Roma teatrale – quel magma informe fatto di grandi festival e piccoli esercenti, di occupanti e di compagnie, di artisti e di critici – si respira quasi un’aria da fine dei tempi. Siamo sulla soglia di qualcosa che ancora non ha una forma, forse una metamorfosi, un cambiamento, ma forse anche una banale, lenta e prolungata decadenza. Ma cos’è che sta succedendo? Occorrerebbe mettere assieme una serie di avvenimenti che, a un occhio profano, potrebbero sembrare non troppo connessi tra loro. Come la chiusura del Palladium, sottratto alla decennale gestione della Fondazione Romaeuropa che lo aveva trasformato in una piazza della scena contemporanea. La chiusura, per lavori, del Teatro India, che di quella scena è l’epicentro naturale. Lo sgombero dell’Angelo Mai, centro di produzione culturale indipendente, che arriva dopo i cinque anni di stop imposti al Rialto (oggi in ripartenza) e il depotenziamento di altri spazi come il Kollatino Undergorund. Infine, la prolungata assenza di una direzione al Teatro di Roma, dove la “nomina lampo” di Ninni Cutaia aveva dapprima acceso, e subito dopo gelato, le speranze di un territorio complesso e variegato.